Abitare l’altro
di Silvano Petrosino
L’uomo esiste, in quanto abita. Potremmo davvero ripartire da qui, da questa nota affermazione di Martin Heidegger, per riportare al centro nella nostra attenzione la tematica, spesso mal posta o mal compresa, dell’abitare. Il filosofo tedesco introduce uno scarto, affermando che l’uomo esiste non perché lavora, produce, consuma, ma perché abita, appunto.
Ma che cosa è l’abitare, Heidegger non fa che riprendere un passo della Genesi 2,15 (“Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse”), affermando che l’essenza dell’abitare è il custodire e il prendersi cura.
L’abitare è il prendersi cura, è coltivare e custodire. Ma dovremmo fare un passo avanti, un passo avanti. Chiediamoci: che cosa dobbiamo coltivare e custodire? Heidegger direbbe “la vita”, “l’Essere”, ma io credo che la questione decisiva sia capire che il coltivare e il custodire dell’uomo è relativo all’alterità.
L’uomo si distingue dall’animale proprio perché fa esperienza dell’alterità, dell’altro come altro. Tutti noi siamo in relazione con l’altro, anche l’animale lo è, ma soltanto l’uomo fa esperienza dell’altro.
Il completamento dell’affermazione di Heidegger – l’uomo esiste in quanto abita – assume, a mio avviso, questa forma: l’uomo abita, perché è abitato. L’uomo è un abitante abitato. Abitato da che cosa? Da un’alterità che non riesce né a evitare, né a dominare.
TYSM LITERARY REVIEW
VOL. 16, ISSUE 21
JANUARY 2015
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