philosophy and social criticism

Anatomie postmoderne e arte

di Francisco Ortega

traduzione a cura di Gabriella Erba

Körperwelten/ Bodyworlds, la mostra dell’anatomopatologo Gunther von Hagens  fa leva su un tabù: l’esposizione di cadaveri tramutati in installazioni artistiche.  Von Hagens rivendica il “diritto all’esposizione dei corpi”, riproponendo lo spettacolo delle pubbliche dimostrazioni di anatomia dai tempi dei teatri anatomici. La collezione di cadaveri plastinati[1] viene definita “arte anatomica”, recuperando in tal modo la funzione artistica e spettacolare dell’anatomia rinascimentale.

Un amalgama di scienza e arte, formazione medica e intrattenimento, caratteristiche della storia dell’anatomia, Bodyworlds  richiama da un lato la storia della tradizione anatomica e del suo rapporto con l’arte, d’altro la cultura somatica contemporanea, caratterizzata dall’ossessione per il corpo, per le sue performances, funzioni e strutture.

Uno dei cadaveri dell’esposizione, Orthopedical plastinate, appare rivestito da protesi interne ed esterne a rappresentare la natura del corpo contemporaneo. Un corpo cyborg, un misto di parti organiche e tecnologiche, né corpo naturale né artificiale, giacché la sua distinzione ha ormai perso ogni significato. Si tratta del corpo-cadavere della tradizione anatomica nella sua versione postmoderna, come cyborg-cadavere: “supporti tecnologici e chimici sono presentati come estensioni ‘naturali’ del corpo umano vivo, nello stesso modo in cui il processo di palstinazione prolunga la durata del corpo morto” (van Dijck, 2001, p. 110).

Allo stesso modo in cui la rappresentazione anatomica è stata soggetta alle convenzioni artistiche della propria epoca, Bodyworlds integra diversi stili e convenzioni artistiche in sintonia con l’eclettismo proprio della postmodernità, noto come pastiche. Vi sono “plastinati” che richiamano il Pensatore di Rodin, l’uomo vitruviano di Leonardo, o le illustrazioni anatomiche di Vesalio. Tuttavia von Hagens va ben oltre le convenzioni artistiche di rappresentazione del corpo. I plastinati di Bodyworlds non sono rappresentazioni di corpi, come nel De umani corporis fabrica del 1543, l’opera di Vesalio che fonda la nascita dell’anatomia moderna, ma imitazioni di rappresentazioni. In Bodyworlds oggetto e rappresentazione si fondono nel corpo plastinato “reale” che imita un’opera d’arte, ossia, una rappresentazione del corpo. In sintesi la distinzione tra oggetto e rappresentazione perde il suo senso originale. Riprendendo un concetto di Hillel Schwartz, nella “cultura della copia”, la distinzione tra originale e copia è divenuta obsoleta, in quanto entrambi sono intercambiabili:

Corpi e modelli di corpi, corpi e rappresentazioni sono divenute intercambiabili in Bodyworlds. Organi plastinati, cadaveri ortopedici, cadaveri espansi e parti di corpo sezionate ci dicono che il corpo anatomico, già oggetto misto di scienza e arte, si è tramutato in prodotto ibrido tra modello artistico e organismo modellato. Allo stesso modo in cui il tulipano ‘reale’ ora è un tulipano trattato e perfezionato con prodotti chimici per soddisfare il gusto comune, il corpo ‘reale’ è ora un cadavere chirurgicamente, chimicamente e artisticamente modificato per aderire agli standard artistici dominanti (Dijck, 200, p. 119).

I cadaveri plastinati di von Hagens esemplificano il destino dei corpi nella biomedicina e nella cultura popolare contemporanea, nella quale originale e copia, corpo e rappresentazione, naturale e artificiale non sono più stabiliti in modo certo e definitivo. In Bodyworlds ritroviamo il corpo trasparente, oggettivato e disincarnato prodotto dagli scanner TAC (tomografia assiale computerizzata), RM (risonanza magnetica) e PET (tomografia a emissione di positroni).

Queste nuove tecnologie di imaging generano, come afferma Stafford,  ricostruzioni del corpo e del cervello “apparentemente senza vita interna, private di evidenze riconoscibili di angoscia o dolore, che o astraggono la mente dalle sue circostanze materiali o rendono il corpo immateriale” (Stafford, 1996, p. 133). L’immagine di corpo fornita dalle nuove tecnologie è quella di un corpo frammentato, oggettivato e dematerializzato, isolato dall’ambiente.

Ispirate alle nuove tecniche di neuroimaging, anche le opere dell’artista britannica Susan Aldworth[2], tematizzano le promesse di trasparenza e di immediata accessibilità visiva del corpo, segnatamente del cervello, cercando di dare una risposta, attraverso il linguaggio artistico alle ricerche di neuroscienziati e psicologi cognitivi che utilizzano le tecniche di neuroimaging per esplorare la relazione tra strutture fisiche e funzioni mentali. Oltre a mettere in evidenza le implicazioni etiche conseguenti alla localizzazione dell’identità nel cervello, Aldworth problematizza ciò che la cultura popolare assume come premessa quando parla di cervello, ossia la localizzazione dell’identità personale nel cervello, alla base della costituzione del soggetto cerebrale. Opere come Cogito ergo sum  o A penny for your thoughts, Un centesimo per i tuoi pensieri, ci costringono a riflettere su ciò che stiamo vedendo quando guardiamo un’immagine del cervello. In un testo presente in uno dei suoi lavori possiamo leggere: “puoi guardare il mio cervello ma non mi incontrerai mai”. E in un altro: “Sono così dentro la mia testa come fuori dal mio cervello”.

In questo contesto la percezione, l’esperienza e la gestione del corpo si trasformano in una questione esclusivamente visuale, il corpo, apprensibile solo visualmente, è chiuso in un “sistema ottico totale” (Waldby, 2000). Se le tecnologie di visualizzazione modellano lo sguardo dell’osservatore e l’oggetto osservato, l’apprensione e percezione del corpo nella contemporaneità passa inevitabilmente attraverso lo schermo della televisione o del computer, in continuità con l’oggettivazione visuale caratteristica della biomedicina.

Il corpo digitale e virtualizzato delle anatomie del XXI secolo non segna tuttavia una rottura con il modello di corpo della tradizione anatomofisiologica. Il suo ingresso nella realtà virtuale e la sostituzione di carne, ossa, sangue e tessuti con byte di informazione nell’“iperrealtà di immagini senza fondamento” (Williams, 1997), è di fatto una grande trasformazione, come molti teorici del cyberspace e della realtà virtuale continuano a sostenere. Tuttavia, in entrambi i casi, il modello di corpo continua ad essere lo stesso, un corpo atomizzato, frammentato e oggettivato, privato della sua dimensione soggettiva, disincarnato: il corpo che ho e non il corpo che sono. Un corpo che nella società dello spettacolo guadagna realtà solo quando è mediato da uno schermo.

Le possibilità di visualizzare l’interno del corpo, attraverso le nuove tecnologie o l’anatomia artistica postmoderna di Bodyworlds, offrono nuovi modi di dare senso alla costruzione dell’identità personale, allorché il rifugiarsi all’interno del cuore ha perduto la propria attrattiva. L’infinita ricchezza del mondo interiore è sostituita dalla trasparenza uniforme di una visceralità privata della sua opacità costitutiva. La ricerca di conoscenza e di senso di sé e degli altri, nell’interno del corpo, non ha più il senso metaforico che ebbe nella nostra tradizione. La visceralità è la visceralità. Seppure narcisisticamente decantata, essa non è una metafora dell’interiorità psicologica o morale. ma una  costruzione identitaria conformista, un adeguamento alla norma anatomica. Ora, l’identificazione alla norma anatomica è il rifugio di un io che, nella cultura somatica, ha fatto dell’apparenza la sua essenza. In una società che ha svalutato il mondo intero come fonte di verità e conoscenza di sé, l’interno del corpo si offre come sostituto dell’interiorità perduta, un’interiorità somatica alla quale poter ricorrere nella ricerca della conoscenza di sé.

Carlino, A., (1999), Books of the Body. Anatomical Ritual and Renaissance Learning, Chicago and London, The University of Chicago Press; orig. it. 1994, La fabbrica del corpo. Libri e dissezione nel Rinascimento, Torino, Einaudi.

Dijck, J. V., (2001), Bodyworlds: The Art of Plastinated Cadavers, «Configurations», n. 9, pp. 99-126.

Schwartz, H., (1986), Never satisfied: a cultural history of diets, fantasies, and fat, New York, Anchor Books.

Stafford, B. M., (1996), Good Looking. Essays on the Virtue of Images, Cambridge, Massachusetts, The MIT Press.

Waldby, C., (2000), The Visible Human Project. Informatic bodies and posthuman medicine, London e New York, Routledge.


[1] La plastinazione è una procedura  di conservazione del corpo umano tramite la sostituzione dei liquidi con polimeri di silicone. www.bodyworld.com

[2] La pagina web di Aldworth è avvincente e mostra numerose immagini e descrizioni del suo lavoro. Cfr. www.susanaldworth.com

Estratto da F. Ortega, Il corpo incerto. Bio-imaging, body art e costruzione della soggettività, Antigone edizioni, Torino, 2008, a cura di Gabriella Erba