Avviso ai leader europei: bisogna abolire la democrazia
di Christian Laval
A commento dell’ “accordo” con cui le istituzioni di Bruxelles e un Eurogruppo a trazione tedesca hanno nuovamente imposto la teologia del debito e un umiliante regime dell’austerity alle forze sociali greche che, alla ricerca di una via di uscita dalla barbarie, avevano osato pronunciarsi con un sonoro “No” contro il comando finanziario, pubblichiamo questo articolo del filosofo e sociologo Christian Laval. Laval denuncia la volontà ormai dichiarata di sopprimere ciò che resta di pericolosamente democratico nel contesto della post-democrazia europea: una “democrazia del debito” che pur mantenendo le forme democratiche ne svuota implacabilmente la sostanza.
Laval è autore di molti rilevanti studi. Tra gli altri, insieme a Pierre Dardot, ricordiamo gli importanti La nuova ragione del mondo. Critica della razionalità neoliberista, Roma, Derive Approdi, 2013 e Del comune, o della rivoluzione nel XXI secolo, Roma, Derive Approdi, 2015, lavori fondamentali per la comprensione della razionalità neoliberale e per la ricerca collettiva di nuove forme possibili della democrazia [a. s.].
L’articolo è tratto dal blog personale dell’autore. La traduzione è di Alessandro Simoncini.
A sentire le voci dominanti nei media europei e nelle sfere politiche delle élites, ci si può domandare se la democrazia, nella sua versione più classicamente istituzionale, non sia diventata un ingombrante retaggio del passato che converrebbe definitivamente eliminare per lasciar posto al governo degli “adulti”, secondo la felice espressione di Madame Christine Lagarde, la “patrona” del Fondo Monetario Internazionale.
I popoli, si sa, hanno la pericolosa abitudine di lasciarsi andare alle loro passioni, ai loro pregiudizi, alle loro pulsioni. Essi sono per natura pericolosi, irresponsabili, a volte pigri, e spesso violenti e invidiosi. Lo si sa da quando ci sono dei padroni. Ma che fare quando il fatto di concedere a questi popoli il diritto di voto mette in pericolo la stabilità sociale, le virtù più necessarie, le migliori regole stabilite senza le quali non è concepibile alcun ordine? Non è questa una minaccia costante e troppo pressante? La redistribuzione violenta della ricchezza, la distruzione della proprietà privata, la fine della civiltà e della cultura, il totalitarismo non sono l’esito possibile, ed anzi probabile, della mania di consultare regolarmente questi popoli, sempre pericolosi?
Certo, sta bene che si sia dovuto concedere una qualche parte ai popoli in cambio del loro rispetto per la legge del lavoro: una parte sul piano materiale e una su quello della politica. Però, come la loro quota di ricchezza non deve eccedere le possibilità di accumulazione del capitale, così il loro ruolo sul terreno della politica non può oltrepassare i confini della ragione. E che cos’è la ragione, se non ciò che è contenuto ed espresso nelle sacre leggi della produttività e della competitività?
Alla fine del XX secolo i neoliberali hanno escogitato un bell’espediente contro il carattere ingovernabile dei popoli: la disciplina di mercato. La mondializzazione, la finanza, la disoccupazione, hanno infine avuto ragione delle forze coalizzate del lavoro che si opponevano all’economia di mercato. Ma gli ordoliberali tedeschi – che come sappiamo sono stati fortemente influenti sulla costruzione europea, e lo sono sempre di più come si vede dal fatto che i socialisti sono arrivati ad aderire ai postulati dei loro partner di destra – hanno fatto di più: hanno stabilito il regno assoluto delle regole. Non c’è più alcun bisogno di fare politica, di deliberare sui fini, di confrontarsi sui valori e sulle priorità: le cifre e le razionalità si impongono senza lunghi dibattiti, all’interno di un sistema di obiettivi quantificati agevolmente leggibili su tavole statistiche rigorosamente fissate, come il pannello di controllo di un aereoplano o di un’impresa.
Il “pilotaggio” ha così rimpiazzato il voto. Scoperta geniale, dovuta alla civiltà moderna, che è stata resa praticamente realizzabile mediante la creazione di una moneta comune, la quale impone questo rispetto assoluto delle regole. Quella fu la “felice” fine dell’arcaica democrazia che gli antichi Greci avevano creduto possibile ad Atene nel V secolo a.c. Un altro modo di governare si è imposto nel XX secolo, tra Bruxelles, Strasburgo e Francoforte: è razionale, efficace, perfettamente adatto alle circostanze. È soprattutto virtuoso: obbliga i popoli ad auto-imporsi le penitenze e a pentirsi, a obbedire ai precetti della Ragione Economica, a comprendere che c’è qualcosa di ben più Alto e più Grande delle loro volontà.
Certo, da questo governo di sana amministrazione non sono ancora state tratte tutte le conseguenze. Infatti, anche se mantenere le elezioni è utile per far credere ai popoli di rivestire un piccolo ruolo nella scelta dei loro leader presenta anche veri rischi, come mostra l’esempio recente della Grecia. Quando un popolo vede scelleratamente degradare la propria condizione, e pur se si spinge a ammettere di esserne il responsabile, può avere l’illusione che un’altra strada sia possibile, almeno quando certi demagoghi sono abbastanza abili da farglielo credere. È questo “pericolo greco” che bisogna ora azzerare.
Abbiamo visto tutti gli sforzi che si sono dovuti dispensare per riportare questo popolo a migliori prospettive e predisporlo ad un rigoroso monitoraggio delle decisioni e delle leggi del suo governo e del suo parlamento. Che perdita di tempo! E soprattutto che minaccia per la costruzione monetaria e finanziaria, solo per il fatto che un popolo minuscolo si sia voluto prendere per l’inventore della democrazia! Ebbene è giunto il momento, e si presenta l’occasione, di eliminare il pericolo sopprimendo un regime elettorale che non serve più a nulla.
Dal momento che i parlamenti e i governi non fanno altro che “pilotare”, adottiamo un regime politico di nuovo tipo nel quale esisterà solo un potere esecutivo incaricato di far rispettare le regole di gestione e di conseguire gli obiettivi di competitività. Questo regime non farà altro che dare forma a quanto già esiste, si dirà. Certo. Ma avrà l’immenso vantaggio di azzerare il “pericolo greco”. Questo regime lo si chiamerà come si vorrà: “eurocrazia”, “regolocrazia” o “schäublecrazia”. Lo si potrebbe chiamare anche “adultocrazia”, in omaggio a Madame Lagarde. Infatti un giorno, chiedendo che si negoziasse solo tra “adulti”, Lagarde ha sottolineato con forza che i popoli mantengono sempre qualcosa del bambino: sono indisciplinati, imprevedibili, ingovernabili e, a ben vedere, minacciosi.
tysm
philosophy and social criticism
vol. 25, issue no. 25
june 2015
ISSN: 2037-0857
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