philosophy and social criticism

“Cerco un gesto, un gesto naturale”

Francesco Paolella

Nota su:

Michela Marzano, La filosofia del corpo, Il melangolo, Genova 2010.

Attorno a questo mio corpo. Ritratti e autoritratti degli scrittori della letteratura italiana, a cura di Laura Pacelli, Maria Francesca Papi e Fabio Pierangeli, Hacca, Matelica 2010.

Iniziando a scrivere questa nota sul tema del corpo (su una filosofia del corpo, sul rapporto fra corpo e scrittura), mi è subito tornato in mente un magnifico disco di Gaber, del 1973, Far finta di essere sani. In particolare, mi sono ricordato di brani come Cerco un gesto, un gesto naturale o L’elastico o La marcia dei colitici. Fin troppo facile, considerando che la questione è: che cosa significa pensare al corpo, innanzitutto al proprio corpo – corpo tradizionalmente prigione dell’anima, ma anche imprigionato da quella, se pensiamo con Foucault? E che cosa significa scriverne? E oggi, in particolare, come ci si occupa di questo strano oggetto che ognuno di noi è?

Il mio corpo mi appartiene e mi rappresenta. E’ sì sotto il mio controllo, devo averne cura il più possibile, e riesco sempre più a plasmarlo secondo i miei desideri. Eppure, resta comunque un peso, un oggetto debole, minacciato e minaccioso. E’ pur sempre il mio destino (un destino di bruttezza, di disarmonia, di malattia, di impotenza, reali o temute). Io possiedo il mio corpo, eppure ne sono prima o poi posseduto.

Su questa contraddittorietà, propria dell’attuale culto del corpo – dalla ricerca della magrezza alla chirurgia estetica alla prevenzione delle malattie – ha scritto un bel libro Michela Marzano, libro appena tradotto in Italia. Oltre a compiere una sintesi della storia del rapporto fra filosofia e corporeità – da Platone a Descartes, da Spinoza a Nietzsche a Merleau-Ponty – Marzano propone alcuni temi di discussione particolarmente interessanti: un primo è appunto quello del controllo del proprio corpo, a cui già si accennava, controllo inteso come espressione necessaria di una realizzata padronanza di sé:

L’unico corpo che oggi sembra bene accetto è un corpo assoggettato al proprio dominio. Dalle immagini della pubblicità ai videoclips ci troviamo di fronte a un numero crescente di rappresentazioni che alludono, in un modo o nell’altro, all’idea di “controllo”: esibire un corpo perfettamente assoggettato diviene la prova più evidente della capacità di un individuo di assumere il controllo della propria vita. Nasce da qui nelle donne e anche negli uomini l’esigenza di “proteggersi” dai segni del tempo e di rimodellare l’aspetto attraverso il regime alimentare, l’esercizio fisico, la chirurgia estetica. Ogni persona “degna di attenzione” non può che dedicare una “cura attenta” al proprio corpo, sottraendolo alle minacce più temibili: l’eruzione della carne, la gioventù che si allontana, le dissimmetrie del viso (p. 20).

Ecco che ad esempio è un dovere il liberarsi dal peso (reale o non) in eccesso, perché solo così si può vivere degnamente, ci si può riappropriare della propria vita. E questo appunto in nome della libertà (una libertà per molti versi obbligatoria). Il corpo è trasformato nella sua immagine; esso viene pensato e modellato secondo la retorica (propria di una ideologia ultra-libertaria) del “tutto è possibile”. Liberarsi del corpo, ridurlo a strumento silenzioso e mai ingombrante, addomesticarlo, per essere liberi. Marzano giustamente dedica pagine al campo del cyberspazio e più in generale di tutti gli altri “luoghi” virtuali (da facebook ai videogiochi ai siti d’incontri), in cui questa infinita possibilità di dominio sul proprio corpo si esprime in modo massivo. Si tratta di un corpo immaginario ovviamente, ma esso viene vissuto come una seconda identità, che talvolta finisce per annullare la prima. Sembra davvero che il corpo reale, con le imperfezioni, con le carenze, con i limiti che gli sono propri, sia obsoleto: molto meglio costruirsi un personaggio diverso, infinitamente duplicabile, e sostanzialmente anonimo per di più. E che ne è dell’unicità di un volto, della scoperta dell’altro, e della scoperta di sé attraverso il contatto con l’altro? Che ne è dell’esperienza della propria vulnerabilità, della propria fragilità? Si cerca di tenerle nell’ombra fino a quando questo è possibile, fino a quando un accidente non ci viene a svegliare, fino al momento di una malattia, fino al trauma di scoprirci invecchiati. Insomma fino a quando non ci troviamo inchiodati a un oggetto che ci è sempre stato prossimo, ma che abbiamo cercato di tenere lontano, appunto dominandolo.

L’esperienza del dolore è una esperienza di impotenza, ma è allo stesso tempo l’esperienza della identità fra sé e il proprio corpo. Il corpo intero, la mente, un organo, un arto, anche solo un dente, riescono a loro volta a possedermi. La medicina non può rimuovere il problema, anzi in certi casi lo fa, curando, acuire. Subire un trapianto (è assolutamente da tenere presente L’intruso di Jean-Luc Nancy, pubblicato qualche anno fa in Italia da Cronopio) significa fare esperienza radicale di una alterità (l’organo di un estraneo) che diventa parte, e parte essenziale, della propria identità:

Tra “io” e “io” si sviluppa sempre una dialettica sottile e complessa, più o meno accentuata, più o meno dilaniante. Che non cessa mai. Ma quando la lacerazione è tale che la sopravvivenza viene a dipendere da un organo appartenuto a un altro, “io” non è più soltanto obbligato ad accettare l’affaticamento che sopravviene tra il soggetto dell’enunciazione e il soggetto del suo enunciato. “Io” è costretto a giocare col proprio riflesso, a digerire la presenza dell’altro, ad assimilare la presenza di un estraneo. E’ infatti il “diverso da sé” che consente all’“io” di sopravvivere , e questo nonostante il rigetto del corpo e le sue difese immunitarie (p. 49).

L’esperienza della sessualità e del desiderio è un altro caso in cui ogni corpo entra prepotentemente in gioco, mettendo in gioco la propria identità. Oltre alla questione dei rapporti fra sesso e genere (l’identità sessuale è il frutto di una costruzione o ha alla sua base un dato irriducibilmente anatomico? – su questo tema è appena uscito fra l’altro per Carocci Le filosofie della sessualità, a firma di Vera Tripodi), del pensiero queer e del costruttivismo à la Judith Butler, è quanto mai importante riflettere ancora sulla compromissione con l’altro che la sessualità comporta, ai rischi di reificazione dell’altro, del desiderato. A questo tema Marzano riserva un interessante capitolo: che cosa significa voler ridurre un’altra persona al suo corpo? Qui ci bastano due esempi: da un lato, Sade, con la sua connessione fra sessualità e dispotismo (maschilista). In Sade i corpi femminili vengono ridotti a oggetti d’arredo, vengono ridotti a pezzi di una catena di montaggio dei supplizi, sono esposti allo sguardo del dominatore onnipotente, sono asserviti e dissezionati, senza diritto al pudore. Dall’altro lato e in altro contesto, ecco l’esperienza fondamentale (biopolitica) del campo di sterminio: uomini ridotti a corpi torturati, a pezzi, ad essere soltanto un organo – il proprio stomaco divorato dalla fame. Nei libri di Primo Levi domina così la descrizione di corpi abbietti, talmente ridotti alla propria materialità sofferente da divenire estranei a sé.

Ed eccoci al secondo libro di cui voglio occuparmi. Attorno a questo mio corpo è la raccolta di più di sessanta, brevi profili di altrettanti scrittori italiani, dalle origini e fino ai contemporanei. I curatori del volume sono partiti dall’idea di fare una storia della letteratura dal basso (tramite dei “ritratti di carne”), studiando il rapporto di ogni poeta o narratore con il proprio corpo, con i propri tic, le proprie nevrosi, i propri difetti, ma più in generale con l’uso che del corpo ognuno ha fatto. I profili che si possono leggere sono estremamente vari (ci sono diverse testimonianze, e ricostruzioni dell’aspetto fisico partendo da diari, lettere e così via). Se è abbastanza semplice ritrovare in autori come Ottieri o Pasolini l’essenzialità (quanto mai problematica) del corpo per la loro opera letteraria, questa lunga galleria rappresenta spesso una ossessiva attenzione alla “voce” del corpo negli scrittori, e mostra proprio quel senso di fragilità e di debolezza a cui prima mi riferivo. Giuseppe Berto ha scritto “vivisezionandosi”:

Nel Male oscuro, romanzo della nevrosi, l’alter ego dell’autore è attento e sensibile ai segnali del proprio corpo, li analizza minuziosamente imparando sulla propria pelle a decifrare il linguaggio psicosomatico, a capire ciò che la sua mente intende comunicare attraverso il corpo. Effettuando l’anatomia della sua sofferenza, dei suoi presunti più che reali disturbi, ci consegna l’autoritratto di un ipocondriaco. La sua massima, di aperta ascendenza cartesiana, è “soffro e quindi sono”. Il corpo dolente, sensibile, è un indice di realtà ontologica (p. 69).

O pensiamo ad Elsa Morante, alla sua scissione fra pesanteur e grâce, per dirla con Simone Weil, alla sua esperienza di precarietà fisica, alla precarietà della sua bellezza che, unica, permetterebbe di essere amati. E che dire della pesantezza di Manganelli o di Gadda? Tondelli merita un’ultima citazione, Tondelli, rimasto per sempre fissato nell’immagine di un corpo giovane, ma come nascosto:

Il corpo in perenne movimento di Tondelli, calato in mezzo al giovanilismo imperante delle mode e degli atteggiamenti, viveva in virtù di un rapporto con l’esterno e si riversava nella scrittura, in particolare nella descrizione di corpi altrui, presi a oggetto del proprio viaggio-destino di osservatore, e mai manifestamente del proprio. Il suo corpo, abbagliato dalla creatività metropolitana come dalla frenesia dei ragazzi d’Emilia – la provincia d’origine – si confondeva, pur restando sobrio, con i segni di una contemporaneità che gli appariva concreta. Nella “fauna di coetanei vivissima e spumeggiante” degli anni Ottanta, Tondelli convulsamente si perdeva a tal punto da non lasciare trasparire la propria concretezza fisica; il suo corpo, smarrendosi in un fatto collettivo osservabile da una distanza narrativa, si tramutava direttamente in corpo scritto (pp. 554-555).

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ISSN:2037-0857