Costretti a donare? Nota su “L’enigma del dono” di Maurice Godelier
di Marco Dotti
In apertura del suo Saggio sul dono, pubblicato nel 1923-1924 sulle pagine dell’“Année sociologique”, Marcel Mauss poneva una doppia domanda. Una domanda che, ancora oggi, non manca di interrogare chiunque si rapporti al controverso tema del dono e alla sua struttura per molti versi enigmatica.
Qual è, scriveva allora Mauss, “la norma di diritto e di interesse che, nelle società di tipo arretrato o arcaico, fa sì che il donativo ricevuto sia obbligatoriamente ricambiato?” Quale, proseguiva l’attento allievo di Emile Durkheim, “la forza contenuta nella cosa donata che fa sì che il donatario ricambi?”. Donare, avrebbe in seguito dimostrato lo stesso Mauss, è un atto che attiene a tre obblighi fondamentali: oltre al donare, appunto, abbiamo infatti l’obbligo di ricevere e quello di ricambiare il dono accettato, una volta accettato. Ma qui, nell’apparente linearità delle domande e nella semplicità delle tre azioni descritte dai verbi “donare, ricambiare e ricevere” sorge un primo problema apparentemente, ma solo apparentemente di esclusiva pertinenza interna all’opera di Mauss. Perché nelle due domande Mauss pone l’accento su uno solo dei tre obblighi, il “ricambiare”, mentre altrove lega le tre azioni del donare, del ricambiare e del ricevere in maniera inestricabile, in modo da impedirne o quasi un’analisi separata?
Come giustamente osserva Maurice Godelier, nel suo Enigma del dono, apparso in Italia per i tipi di Jaca Book (traduzione di Guendalina Carbonelli, 2013 → QUI un’intervista che avevamo fatto nel 2009, sempre su questo tema, con l’Autore), la seconda domanda di Mauss sembra offrire già una risposta alla prima. Mauss, infatti, pare riferirsi qui all’esistenza di un “esprit de la chose donnée” che spinge chi riceve a contraccambiare, come se diritto e interesse non bastassero da sé a spiegare il tutto e bisognasse associarvi una sorta di dimensione religiosa in funzione di forza centripeta e magica verso quel centro oscuro che chiamiamo, apunto, “dono”. Dimensione che fu oggetto delle aspre e influenti critiche metodologiche di Claude Lévi-Strauss che a Mauss rinfacciò di aver abbassato la guardia, essendosi a suo dire lasciato troppo coinvolgere da una “teoria indigena”.
Laddove Mauss pretendeva di svolgere una ricerca sociologica sull’origine dei simboli, Lévi-Strauss capovolse la questione, rivelando – in una sua celebre Introduction a l’oeuvre de Mauss, apparsa per la prima volta nel 1957 – come tutta la società altro non si che una combinazione di forme di scambio, che poggiano sulle strutture inconsce dello spirito, strutture che possono essere comprese solo partendo dal primato del simbolico sull’immaginario e sul reale. Leggere Mauss senza tener conto delle pur controverse critiche di Claude Lévi-Strauss non è possibile, ma annichilire l’opera di Mauss per mezzo di quelle critiche sarebbe a dir poco sterile e consegnerebbe la riflessione sul dono a un impressionismo ancora più sterile. Per questo risulta ben più che opportuna la presentazione, anche al lettore italiano, di un’opera rigorosa e precisa come L’enigma del dono, apparsa in Francia nel 1996 per l’editore Fayard. Godelier, classe 1932, antropologo di fama e di solide pubblicazioni (in italiano si possono ricordare, quanto meno, Al fondamento delle società umane. Ciò che ci insegna l’antropologia e Comunità, società, cultura. tre chiavi per comprendere le identità in conflitto editi da Jaca book rispettivamente nel 2007 e nel 2009, oltre alla recente riproposta della Moneta di sale. Economia e simbolica del dono presso gli indigeni Baruya della Nuova Guinea, per PGreco, 2013), pone al centro del suo lavoro proprio l’opera di Mauss, sottoponendola a una chiave di lettura semplice, ma per molti versi inedita: le cose donate (e quelle vendute) vanno comprese a partire da quelle che non possono essere donate (né vendute). Ci sono cose, osserva Godelier, che possono essere vendute, cose che possono essere donate e cose che non possono essere né donate, né vendute. Senza queste terze, non vi sarebbe ancoraggio, non vi sarebbero punti fermi nel tempo e una società diverrebbe preda di quella forza pervasiva e profanante che è il denaro. Precisamente è quanto accaduto alle nostre società dopo il crollo del 1989, quando ogni cosa – persino l’antica virtù teologale della “carità” – è stata sottoposta al vaglio di una ragione calcolante e dissacrante. Il ritorno del dono sulla scena della riflessione economica e filosofica del dopo-crisi, però, non può esimersi da un confronto con quando nel dono ha sempre fatto enigma e problema. Il libro di Godelier, in questo, può essere un ottimo strumento per rimettere un po’ di ordine tra le cose.
Quell’ordine che anche Mauss tentò di portare a materiali che, a poco a poco, si animavano di nuovo senso e ponevano nuove questioni. Mauss raccolse infatti gran parte dei materiali che costituiscono l’Essai sur le don per rispondere a una grande domanda riassumibile con le sue parole: “che cosa fa sì che in tante società, in tante epoche e in contesti così diversi, individui e/o gruppi si sentano obbligati non solo a donare o, quando viene loro donato, a ricevere, ma si sentano anche obbligati, una volta ricevuto, a contraccambiare quanto loro donato, e a contraccambiare con la stessa cosa se non con qualcosa di migliore”.
A interrogare era dunque la compresenza di una forza che, pur incarnandosi in obblighi distinti (donare, ricevere, contraccambiare), nella dinamica dono-controdono, riportava la cosa stessa al punto esatto della sua partenza. Come se a muovere persone e cose, fino al punto di massima identificazione delle persone con la cosa donata, fosse – qui la critica di Lévi-Strauss – una sorta di anima, una “sostanza spirituale”, e il “vincolo attraverso le cose fosse un legame di anime, perché la cosa stessa ha un’anima, appartiene all’anima”. Resta, però, inalterata la problematica di fondo: “perché si dona? Da dove nasce l’obbligazione di donare?” Per rispondere a questa domanda, Mauss avanza un’ipotesi meno farraginosa: si è obbligati a donare proprio perché donare obbliga.
Donare, osserva Godelier, sembra instaurare un doppio rapporto tra donante e ricevente, ovvero un rapporto di solidarietà, perché chi dona condivide ciò che ha o ciò che è con colui che riceve, e un rapporto di superiorità, perché chi riceve e accetta il dono si trova imbrigliato nelle maglie del debito e spesso di un debito non richiesto che sussisterà fintanto che non avrà contraccambiato. Una sola azione come il donare comprende dunque due movimenti opposti: avvicina e allontana. Il dono avvicina perché è condivisione, ma allontana perché mette il ricevente in posizione asimmetrica rispetto al donatario e questa asimmetria può sfociare, in certi contesti, in gerarchia. “Per sua stessa natura”, nota Godelier, “il dono è una pratica ambivalente che unisce o può unire passioni e forze opposte. Può essere simultaneamente o in tempi successivi, un atto di generosità o di violenza, ma in questo caso di violenza mascherata da un gesto disinteressato, poiché esercitata attraverso e sotto forma di un atto di condivisione. Il dono può opporsi alla violenza diretta, alla subordinazione fisica, materiale, sociale, ma anche sostituirvisi”. Questo conduce a un paradosso evidente, perché tra i due movimenti della pratica del donare, ovvero la condivisione (avvicinamento) e il debito (allontanamento), questo secondo rischia di avere effetti pervasivi sulla vita sociale.
Eppure, ciò che permane enigmatico nel dono è proprio il permanere di un enigma nella sua struttura. Se, con Mauss, comprendiamo perché si dona (“donare obbliga”), più difficile comprendere perché si ricambi. Mauss fece ricorso al concetto polinesiano di hau, lo spirito delle cose, che a detta del suo informatore maori Tamati Ranaipiri, spiegherebbe come la cosa ricevuta non sia inerte e “anche se abbandonata dal donatore è ancora qualcosa di lui”, spingendo per fare ritorno a casa. Ecco dunque spiegato il meccanismo della “restituzione”. Ma, come già osserva Lévi-Strauss, in pagine oggi forse poco lette, nel Saggio sul dono Mauss “si ostina a ricostruire un tutto con delle parti e poiché ciò è manifestamente impossibile, è costretto ad aggiungere al miscuglio una quantità supplementare che gli dà l’illusione di aver raggiunto lo scopo. Questa quantità è lo hau”. Ma proprio per questa ragione, per aver decontestualizzato e creduto alle parole di Tamati Ranaipiri (parole che Mauss riprende da Eldson Best), “non ci troviamo qua davanti a uno di quei casi (che non sono rari) in cui l’etnologo si lascia mistificare dall’indigeno?”. Lo hau non costituirebbe dunque la ragione ultima dello scambio, bensì, secondo Lévi-Strauss, la forma cosciente “sotto la quale uomini di una società determinata, dove il problema [del dono] aveva una importanza particolare, hanno colto una necessità incosciente, la cui ragione è altrove”. In questo altrove si colloca l’enigma del dono. Un enigma al quale Lévi-Strauss offre una soluzione che coincide con un epocale ribaltamento di prospettiva. Critiche fondamentali, espresse in quello che allora venne considerato il “manifesto dello strutturalismo”, sulle quali Godelier si sofferma ampiamente e criticamente portandole oltre le circostanze del tempo, concludendone che “con Lévi-Strauss la vita sociale si trasformava in un eterno movimento di scambio attraverso cui parole, beni e donne circolavano tra individui e gruppi. L’invito era a cercare l’origine di questo movimento al di là del pensiero cosciente e delle ragioni esplicite riconosciute, ossia nell’inconscio della mente umana”. In fondo, se il dono continua enigmaticamente a interrogarci, anche in un mondo che sembra volerne prescindere sempre più, è proprio perché al centro del suo enigma risiede quell’enigma ancora più grande che attiene alla nostra vita in comune e attende ancora di essere codificato.
[articolo apparso su La Talpa Libri/il manifesto, il 20 ottobre 2013]
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tysm literary review, Vol 6, No. 8, September 2013
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