philosophy and social criticism

Dall’ascesi all’anoressia: il corpo delle donne

Lea Melandri

Mai, come in quest’epoca di rapidi mutamenti tecnologici, di emozioni virtuali, Ia presenza dei corpi è parsa così invasiva e inquietante. Per una specie di contrappasso, proprio nel momento in cui la materia di cui siamo fatti sembra dissolversi in un universo di segni, e di manipolazioni senza limite, la scena del mondo torna a popolarsi di spettri antichi che si volevano sconfitti: carni indebolite dalla farne, devastate dalle guerre, dalle malattie.

Al centro resta sempre e comunque il corpo femminile. La donna è stata identificata con le due principali funzioni che si è trovata a svolgere nella vita di un figlio: un corpo che,oltre ad averlo generato, “lo tocca, lo accarezza, lo nutre, gli comunica caldo, freddo”.

Sensazioni vissute dall’uomo in uno stato di estrema dipendenza, come è quello dell’infanzia, ma riaffioranti in ogni successivo rapporto d’amore, hanno finito per costituire, sia pure immaginariamente, un polo unico di attrattiva e minaccia, il fondamento e insieme l’ostacolo principale al nascere della civiltà.

E per questo che, confuso con I’origine biologica della vita, l’essere della donna deve comunque, perché gli sia riconosciuto un valore sociale, subire una specie di rigenerazione: morire a se stesso, rinunciare a un’individualità per travasare nel figlio le proprie energie fisiche e spirituali, controllare i propri desideri per non accendere quelli dell’altro sesso. Il passaggio, ancora oscuro, dalla natura alla storia non sarebbe pensabile se il dominio maschile non avesse potuto contare su una sorta di “autodisciplina” da parte delle donne.

Dal momento in cui il corpo diventa, anche nell’esperienza femminile, un “peso”, una “potenza” che ne decide il destino,assumere un modello imposto nei suoi aspetti nobilitanti, può sembrare una via d’uscita.

Assolutizzare Ie mete più alte che erano loro permesse dalla società e dalla cultura, farsi vittime sacrificali di un grande ideale, come l’unione mistica con Dio, ha rappresentato, scrive Ida Magli delle “ascete” cristiane del Medioevo, un modo per sottrarsi al silenzio e all’insignificanza: “Hanno “scelto”, nell’impossibilità di uscire dalla prigione, di farla diventare una libertà”. (Ida Magli, Storia laica delle donne religiose, Longanesi 1995).

Si può dire lo stesso delle “isteriche” di fine”800, delle anoressiche-bulimiche di oggi? Che ci siano tratti comuni, che si ripresentano quasi invariati in contesti storici e culturali diversi, è innegabile. Innanzi tutto. luogo privilegiato rimane il corpo, a cui spetta “mettere in scena” il conflitto tra forze diverse, contrastanti ma fatalmente legate l’una all’altra: biologia e storia, carnalità e spiritualità, peccato e redenzione e, in definitiva, maschile e femminile, figure complementari di genere in cui si compendiano tutte le forme di dualismo che conosciamo.

È alla materialità corporea, a cui aderiscono strettamente pulsioni, desideri, affetti, che si chiede di incarnare un’idea per poi rinascere, disincarnandosi, in essa. In questo passaggio obbligato “da[ simbolico a[ concreto” e viceversa, c’è la “maledizione femminile” di cui parla Ida Magli, ma anche il segnale che il tortuoso, sofferto percorso delle donne per costituirsi come individui manda all'”io diviso” e mutilato dell’uomo: l’inscindibilità di mente e corpo.

Altro elemento ricorrente è la vicinanza tra disturbi dell’alimentazione e sessualità, presenti nel loro duplice volto di astinenza e di appetiti incontrollabili. Cibo e sesso procedono quasi sempre accoppiati o sovrapposti, confusi come in quel “corpo-mondo” da cui vengono al bambino le prime cure e i primi piaceri. Che siano le donne a portare il segno più duraturo dell’esperienza originaria non è dovuto solo all’eredità biologica e storica della funzione generativa, ma a quel vuoto d’infanzia e d’amore che si apre alle spalle di ogni figlia quando è costretta a staccarsi, senza risarcimento futuro, da quel primo oggetto del desiderio che è, sia per il maschio che per la femmina, la madre. Ma, a distanza di un secolo dagli studi di Breuer e Freud sull’ isteria, non è difficile vedere anche quanti cambiamenti siano intervenuti in una vicenda che, sfrondata della sua “miseria patologica”, sembrava riconducibile a una “infelicità comune”. Riletti oggi, i “casi” di Anna O., Emmy von N., Lucy R., Katharina, Elisabeth von R., appaiono di una straordinaria complessità e ricchezza di movimenti.

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tysm review
philosophy and social criticism
vol. 32, issue no. 34, october 2016
issn: 2037-0857
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