philosophy and social criticism

Democracy, now?

Massimiliano Tomba

Gli ultimi eventi, dalle proteste di statunitensi alla primavera araba, a quelle europee, hanno, come è ovvio che sia, analogie e differenze. Mi interessa provare a sottolineare alcune analogie. Percorrendo rapidamente alcuni slogan è forse possibile individuare un filo conduttore: “Democracy is a Joke” si leggeva a Brussels, “DEMOCRATIE. Fiérs d’être tunisiens!” sui muri della tunisia. “Bienvenido a una democrazia real” in spagnolo e “Democratie maintenant” in francese. “People before profits” si può leggere sui manifesti a New York. “Democracy is an illusion”, si poteva profeticamente leggere in un cartello plurifotografato durante la manifestazione londinese contro il G 20 del 1 aprile 2009. 

Margaret Thatcher

Quest’ultimo cartello mi pare un significativo campanello d’allarme, che naturalmente governi non hanno voluto o potuto ascoltare. Da questa punto di vista l’Italia è un privilegiato laboratorio di osservazione. Non però di grandi movimenti politici, almeno non ancora, ma di un nuovo tipo di rivoluzione conservatrice. La crisi della rappresentanza, in Italia come altrove, è stata colmata con il populismo e la personalizzazione della politica, che, com’era naturale che accadesse, hanno acuito la crisi e diffuso un senso di avversità alla politica tale che gli umori della popolazione contro la cosiddetta “casta” sarebbero appena appagati se tutti i parlamentari venissero mandati a casa, il parlamento sciolto, e un nuovo leader carismatico prendesse in mano la situazione. Questo populismo affascina non solo la destra, ma anche la sinistra, che risponde alla personalizzazione della politica con un simmetrico personalismo nei propri partiti. Con la crisi, la temperatura emotiva continua a crescere e con essa il razzismo e una predisposizione a forme di governo autoritario.

Sul piano strutturale, la cui analisi nell’epoca della personalizzazione della politica è assolutamente marginalizzata, i tempi della politica devono accelerare per tenere il passo con quelli delle decisioni dei mercati finanziari. Così la sincronizzazione tra queste due temporalità richiede costanti provvedimenti di emergenza, cioè una prassi governativa svincolata dalle lungaggini delle discussioni parlamentari.

In questa situazione appare evidente che “Democracy is an illusion”. Ma la democrazia non è solo la veste formale dello Stato, la forma attraverso la quale, cioè nel nome del popolo, può essere legittimato ogni provvedimento di emergenza. Democrazia è anche un pregiudizio popolare che vuole essere preso sul serio, come a New York quando i manifestanti scrivono “People before profits”. E se la democrazia formale “is a Joke”, allora non resta che realizzare nelle piazze la “Democratie maintenant”. Ed ecco lo scandalo che spezza l’inganno neoliberista. Diceva la Thatcher che “there is no such thing as society”, solo gli individui esistono. Era il 1987. Era già iniziato l’attacco all’anomalia del Novecento, e cioè a tutto ciò che era sociale e collettivo: diritti sociali, contratti collettivi di lavoro, in una parola a tutte le conquiste del movimento operaio. La classe lavoratrice era riuscita ad imporre, attraverso il conflitto di classe, stato sociale e garanzie collettive, che ora, passo dopo possa, vengono distrutte per riportare lo Stato sui binari della normale democrazia capitalista, dove soggetti di diritto individuali contrattano atomisticamente con le imprese e acquistano nel mercato servizi e merci. E se gli individui protestano, ci sono leggi di emergenza che, in nome della sicurezza pubblica, sono pronte a limitare la libertà di manifestazione. Sia chiaro che i diritti, compresi i diritti umani, non garantiscono le cosiddette libertà fondamentali dalla loro sempre possibile restrizione o sospensione da parte dello Stato. Il potere limita se stesso, ma può anche sempre togliere il limite che si è posto.

Ma eccoci tornati al punto di inizio. “People before profits”. Questi movimenti non sono altro che l’espressione di insorgenze contro il disfacimento della parvenza democratica. “Parvenza”, perché lo Stato e i boriosi vincitori della lotta di classe e della guerra fredda non necessitano nemmeno più di una vetrina per fare bella mostra di sé. Lo Stato può smantellare la parvenza democratica e farsi sempre più decisionista e sempre più, come insegnava Walter Benjamin, “stato di eccezione come regola”. Ora questi movimenti hanno due strade davanti a sé: la democrazia richiesta può essere rapidamente convogliata nella macchina costituzionale, a difesa dello Stato di diritto e di un po’ di democrazia partecipativa; oppure può essere l’innesco della felice anomalia, che mostra come diritti sociali e collettivi non sono consegnati una volta per tutte nel corso progressivo della civiltà del diritto, ma vanno conquistati e rilanciati volta per volta sul terreno conflitto, sul campo di battaglia della lunga guerra per i diritti collettivi. Ma questa possibilità può essere tenuta aperta solo se diverse sensibilità riusciranno a convergere assieme a quelle del mondo del lavoro. Se la politica inizia a porsi il problema di un limite a questo modo di produzione, iniziando a stabilire come, cosa e quanto produrre. Allora le istanze democratiche ed ecologiste diventeranno dirompenti, perché non c’è vera democrazia e difesa dell’ambiente senza democrazia nelle relazioni di lavoro e garanzia della salute di chi lavora. Se sarà possibile tenere politicamente assieme questi piani, allora avremo imboccato la strada sulla cui porta potrà essere apposta la scritta: “Bienvenido a una democrazia real”.

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ISSN:2037-0857