philosophy and social criticism

Diario di un povero scrittore

Francesco Paolella

Sarebbe da consigliare la lettura di questo diario-romanzo in particolar modo a chi non conoscesse nulla di Valentino Zeichen. Questo diario di un solo, intero anno – il 1999 – è stato da lui compilato appuntando cose piccole, piccolissime e grandi della sua vita e del mondo di allora; ma rimane soprattutto un caso esemplare di diario di uno scrittore: la fatica e, non di rado, l’inutilità di scrivere; la condanna a dover sempre inventare qualcosa; il bisogno di scrivere di tutto, perché tutto ciò che si osserva merita una parola: ecco i veri protagonisti di queste pagine.

Zeichen, poeta epigrammatico dalle molte passioni (il cibo, il calcio, l’arte, oltre agli altri scrittori, come è ovvio), è qui un autore sì ormai noto, ma che è stato condannato alla precarietà e alla povertà. Egli stesso sente di essere un fallito, seppure con un certo successo. Viene ingaggiato, ricompensato e premiato per le sue scritture, ma, in fin dei conti, è, si vede come un escluso, un marginale.

Ed è, questo diario, il diario di uno scrittore non solo povero e affamato, ma soprattutto solo: la solitudine, che egli stesso ha coltivato e difeso e di cui ora teme le conseguenze nella vecchiaia, sembra condannarlo a una sempre più infelice sopravvivenza. Così, da queste pagine escono tante paure: di rimanere senza soldi, di non essere accudito nelle malattie, di dover soffrire per le proprie passioni (come l’alcol, la “indispensabile ebbrezza” che accompagna i suoi giorni e le sue notti, usato per combattere la depressione).

C’è ovviamente, in questo diario, il mondo della “cultura” romana, con i salotti, le cene (per le quali si arriva a tradire), le fatue idolatrie e il cinismo dei colleghi. Zeichen ha, come tutti, amici e nemici ma, come dicevamo, è soprattutto la distanza – anche sociale – dagli altri intellettuali (molti dei quali disprezzati tanto da liquidarli come “impiegati della letteratura”) a farlo soffrire.

Questo volume, dove è pur vero che sono annotati anche tutti i film visti e tutte le mostre visitate, sembra a tratti un diario di guerra o di internamento: i pranzi e le cene, i singoli piatti sono giudicati come a partire da una fame inestinguibile; così i vestiti – e specialmente quelli, anzi quello di rappresentanza, sono descritti nel loro implacabile logoramento.

Eppure, c’è una grande ricchezza in queste pagine, nelle note talvolta brevissime che scandiscono i giorni. C’è una esuberanza vitale, erotica in senso stretto e in senso lato: non tutto viene toccato dal tempo e dalla malinconia dei ricordi.

Sullo sfondo, c’è un mondo – quello degli scrittori, degli artisti e dei mecenati – che sa addolcire, pur con le sue crudeltà e le sue ipocrisie, le paure di uno scrittore che, per seguire la propria vita, ha forse trascurato la propria fortuna.

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