Discorso tenuto al V Congresso del P.C.I. [6 gennaio 1946]
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Compagni nel rapporto così denso e ricco di esperienza passata, di avvedutezza presente, di indicazioni e di sviluppi futuri, il compagno Togliatti ricordava la cultura e la scuola tra i fattori di rinascita nazionale e sociale ove è nei programmi e sarà nell’attuazione del
P.C.I. Perciò io non temo di provocare una deviazione ai lavori del congresso se in obbedienza ad una decisione della segretaria del partito vengo ad inserire nel quadro generale della nostra politica il problema della scuola in alcuni aspetti più inquietanti se non meno maturi. Rassicuratevi, compagni, cercherò di essere brevissimo, se volete parlerò con l’orologio alla mano (no, no); d’altra parte in questi tempi in cui non esiste un’assemblea legislativa, in cui la Consulta e le commissioni consultive conducono una vita stentata e precaria io non vedo una tribuna più solenne e più degna per trattare il problema della scuola, che questa del congresso comunista adunato nell’Aula Magna dell’Università di Roma. (Applausi).
In un congresso che succede ad avvenimenti di tanta importanza, alla vigilia di altri avvenimenti di non minore gravità, io non trovo possibile, anzi non trovo concepibile che il problema della scuola resti nell’ombra. Nessun fatto della cultura può essere estraneo al partito comunista che non è soltanto il partito della classe operaia, ma è il partito di tutti i lavoratori dai braccianti agli intellettuali. (Applausi).
La scuola è la fucina grande e nobile del P.C.I., quella da dove vengono e più ancora verranno gli esperti della tecnica del lavoro dell’arte dell’industria, gli operatori insomma della vita sociale.
Il problema della scuola è stato dibattuto vivacemente nel segno del nostro partito e i compagni del Nord hanno certamente avuto occasione di ascoltare sulle pagine dell’Unità e del Politecnico di Milano opinioni e voci nettamente discordanti; e una polemica non meno vivace si è dibattuta fra i compagni di Roma.
Questo non nuoce alla soluzione di un problema così vitale per la classe lavoratrice e non nuoce alla disciplina stessa del partito la quale vuole pluralità di esperienze in armonia o in contrasto fra loro e non supina acquiescenza di spirito. (Applausi).
Dirò subito che quello della scuola è un problema più che di competenza, di intelligenza e di esperienza, la quale esperienza non è necessario sia fatta e sia maturata nella scuola, perchè un operaio nel desiderio insoddisfatto di una superiore o di una maggiore cultura può essere molto più illuminato di un maestro nell’indicare ciò che non dovrebbe mai mancare in quegli anni non è una somma di cognizioni che si possono imparare o dimenticare in qualunque età ma è il modo dell’addestramento e dell’educazione mentale il cui difetto può essere irreparabile nel tempo in cui la mente umana plasma la sua forma ed enuclea e rivela le capacità e le attitudini sue. Su un punto si è raggiunto l’accordo di quasi tutti i partiti – sulla necessità del prolungamento della istruzione obbligatoria gratuita. Quanto ai modi di attuare una riforma di tanta portata, di una portata direi assolutamente rivoluzionaria, quanto ai mezzi occorrenti per tanta necessità finanziaria non è certamente questo il luogo di discutere. Io non posso rivolgermi al collega Scoccimarro perchè mi dia delle promesse. Sono problemi questi che saranno posti e risoluti in sede legislativa; per ora non potrò che limitarmi ad accennare alcuni lineamenti di quel nuovo ordine scolastico che è nella coscienza di quasi tutti. Col prolungamento dell’istruzione obbligatoria si connette l’istituzione – permettete che accenni a qualche problema positivo – della scuola media unica, la quale, come giustamente avvertiva uno dei nostri più giovani e valenti colleghi, non è una creazione del fascismo, siccome erroneamente si crede. Il fascismo non ha creato nulla; il fascismo ha contaminato e corrotto e laddove avrebbe potuto operare bene, ha operato male; e anche il latino che avrebbe dovuto limitarsi ad un insegnamento grammaticale puramente educativo si è convertito in un latino bufffonesco fatto di parole e di frasucce e di prontuarietti artificiosi e grotteschi per intendersi al caffé, alla stazione, all’ufficio postale. Quegli sciagurati riformatori in questa maniera intendevano forse restaurare la scuola umanistica di Guarino Veronese e di Angelo Poliziano. (Applausi).
Dunque questa scuola media unica su cui tutti o quasi tutti concordano come dovrebbe essere costituita? Deve essere una scuola educativa e formativa oppure deve somministrare ai discepoli gli elementi certi della scienza? Compagni, a comunisti italiani non si deve ricordare che carcere, – dove si consumava la sua esistenza, Antonio Gramsci ebbe a considerare questo problema con l’acutezza e l’altezza del suo intelletto. Nel tempo in cui scriveva – vale a dire durante gli anni del fascismo – egli vide la tendenza ad eliminare, ad abolire quasi ogni scuola di tipo educativo e formativo, riservandone qualche esemplare ridotto a una “elite di signori, e a diffondere quelle scuole specializzate dentro cui era già predeterminato il destino dello scolaro e la sua futura attività. Soluzione unica della crisi: la istituzione di una scuola unica di cultura generale educativa formativa dove lo sviluppo delle capacità di lavoro manuale possano giustamente contemperarsi con lo sviluppo delle capacità di lavoro intellettuale dove, attraverso una serie di orientamenti professionali lo scolaro possa passare o a una scuola specializzata o al lavoro produttivo.
Il problema non poteva essere posto in termini pìù perfetti; in termini perfetti Antonio Gramsci indicava il tipo di quella scuola educativa e formativa che dovrebbe contenere i meno che debbono andare in su per i gradi della cultura superiore e i più che debbono restare impegnati nel lavoro immediatamente produttivo. I prudenti e i sapienti che sono la paralisi del mondo potrebbero obbiettare; ma questa scuola sarebbe un miscuglio di scuole di arte e mestiere, di avviamento professionale con vecchio ginnasio inferiore; sarebbe cioè un ibridismo. Si, se la concezione sarà malata e frettolosa, se la gestione sarà cattiva, altrimenti no, perchè accanto ad una matematica elementare e ad una cultura generale grammaticale e scientifica elementare può sussistere senza danno e senza fastidio una meccanica elementare; ed il lavoro manuale, che ha per se stesso anche un potere educativo e formativo, può servire di utile e di amichevole contrappeso alla applicazione mentale. Lo scolaro deve essere tentato in più modi, se anche è disposto a rispondere in un modo solo.
Qui sorge una domanda la quale ha suscitato ed ha acceso una polemica vivace ed acre, cui hanno preso parte compagni nostri, insegnanti superiori, universitari, medi, primari, professionisti, operai: e dalla voce dell’operaio è venuta la parola della saggezza e della esperienza.
Il latino si deve insegnare in questa scuola media unica. Il collega Sereni la responsabilità di avermi incitato a trattare anche questo argomento. Di fatti potrebbe sembrare strana e ridicola cosa che io possa trattare brevemente un argomento di questo genere in un congresso politico-nazionale; ma un congresso di delegati comunisti, un congresso di rappresentanti di lavoratori comunisti, non è una adunata di specialisti della
politica, della cultura è della tecnica; è qualcosa di più; di molto più è un congresso di popolo a cui nessuna questione può essere estranea che riguardi l’educazione e l’elevazione delle masse popolari. La questione è grave e a me pare gravissima, perchè da essa può dipendere se oggi o domani alla classe operaia e contadina debba essere recluso e consentito l’accesso ai gradi superiori della cultura.
Io non intendo ritenermi o tanto meno proclamarmi depositario della verità. So che fedelissimi e valentissimi compagni nostri non sono nella mia medesima opinione e mi dispiace di non essere stato presente ieri al discorso del collega Banfi onore dell’Università Italiana e onore del nostro Partito. Egli non la pensa come me, ma sente come me la necessità, non fare nulla che possa compromettere la marcia in avanti della classe lavoratrice. I più concordano nel ritenere che nella scuola media unica il profitto non debba consistere in una somma di cognizioni, ma in un complesso esercizio mentale e in un esperimento di capacità; alcuni ritengono che insieme alla matematica, il latino, cioè lo studio grammaticale della morfologia e della sintassi della proposizione, sia insieme colla matematica la disciplina adatta per questo esercizio per questo esperimento, altri ritengono invece che lo studio del latino sia tempo perduto. Io non sono d’accordo con questi ultimi, e vorrei essere un ignorantissimo di latino per poter sostenere senza sospetto quella che ritengo la buona causa. La difesa maggiore del latino consiste nella domanda stessa che fanno i suoi avversari: a che cosa serve il latino?Appunto, non serve a niente di concreto, di visibilmente utile, non serve a dare vesti né cibo, non serve a far vedere come è congegnata una macchina, come funziona, come si guasta, come si ripara; non serve né all’economia privata né all’economia pubblica serve soltanto all’esercizio, all’applicazione mentale sulla grammatica di una lingua che si studia con l’occhio soltanto e non con l’occhio e con l’orecchio.
E non si può fare questo studio sulla lingua italiana? domandano; no rispondeva Antonio Gramsci. Il latino si studia – egli diceva – si analizza nei suoi membretti come una cosa morta; ma ogni analisi fatta da un fanciullo non può essere che su cosa morta. La lingua italiana, il fanciullo la sente parlare variamente, dai suoi genitori, dalle persone della casa, della strada, della scuola, frammischiata, corrotta, alterata se non è in paese di Toscana essa giunge al suo orecchio con varietà di suoni, di accenti, di termini, di locuzioni, di nessi secondo la persona che lo parla.
La lingua latina non la parla nessuno, non la si ascolta da nessuno, vive nelle pagine mute della sua grammatica, dei suoi libri di aneddoti, di sentenze, di favole con la immobile certezza delle sue forme.
Ma, si dice, non si potrebbe fare questo studio sulla lingua francese?
No, rispondeva Antonio Gramsci, una lingua viva può essere conosciuta e basterebbe che un fanciullo solo la conoscesse perchè l’incanto fosse rotto e tutti accorerebbero alla scuola Berlitz per impararla più presto e forse anche meglio; e voi sapete che quando si vuole giustificare la scarsa o la cattiva conoscenza di una lingua viva si dice di averla studiata nella scuola. “Ma il latino è difficile e faticoso”. Senza dubbio, appunto perchè esso impone un continuo controllo allo scolaro il quale non può andare avanti se ha dimenticato quello che ha prima imparato; ma la difficoltà, la noia, la fatica è a base di ogni sentiero che porta verso l’alto.
Non parlo, compagni, per amore del latino, come ho già detto in un precedente convegno se io fossi sicuro che il gioco degli scacchi potesse portare a uguale risultati, opterei per il gioco degli scacchi.
Stiamo attenti compagni, le grandi catastrofi come quella che ha colpito l’Italia e l’Europa, le grandi catastrofe tendono a portare in basso l’umanità; facciamo in modo di non aiutarla in questa discesa che oggi sarebbe un precipizio. Oggi c’è chi crede che siamo ad una nuova epoca di cultura; io direi in un nuovo ciclo di civiltà (civiltà è il termine preciso, giusto, che nel suo rapporto ha adoperato il compagno Togliatti). Il progresso miracolosamente abbreviato il limite di trapasso dalla civiltà capitalistica verso la nuova civiltà socialistica; un trapasso che porterà un nuovo ordine giuridico e morale del mondo. Ma civiltà diversa non vuol dire umanità diversa e non vuol dire cultura diversa; la storia non è nuova a questi grandi cicli che hanno tramutato la struttura economica, politica e sociale, delle genti senza naturalmente tramutarne la struttura intellettuale e spirituale. Da Pitagora siamo passati a Copernico, a Newton a Galilei, dagli atomisti della Grecia siamo passati alla Bomba Atomica, dai drammi di Eschilo sia passati alla tragedia di Shakespeare, la più grande opera della poesia umana; dal romanzo medioevale siamo passati ai romanzi moderni di Francia, di Russia, di Germania, di America restando nello stesso corso infinitamente progressivo di indagine scientifica e di creazione artistica. Noi stiamo subendo l’abbaglio della tecnica e l’incanto del motore; c’è chi crede che il mondo sia tutto trasformato e rimutato dalla tecnica solo perchè il motore domina nel meccanismo esteriore della nostra esistenza, perchè le distanze sono enormemente abbreviate e quasi scomparse, perchè la terra è rimpicciolita ai sensi dei mortali, perchè poderose braccia metalliche sono mosse in un crescente vortice di produzione delle esili, delle piccole braccia dell’uomo esperto;ma quest’ultimo esperto, quest’uomo mortale, questa cosa da nulla, come diceva di Ulisse il ciclope Polifemo, resta il massimo miracolo della terra non solo attraverso le scoperte della meccaniche e della fisica ma anche più attraverso l’attività e le creazioni dell’intelletto e dello spirito.
Ho sentito dire che la scuola deve formare l’uomo moderno; io non so che cosa sia quest’uomo moderno . La scuola deve formare l’uomo capace di guardare dentro di sé e attorno a sé; a formare l’uomo moderno provvederanno i tempi in cui egli è nato. Ogni uomo è moderno nell’epoca in cui vive.
Passati i limiti della scuola obbligatoria, giunti sulle soglie della scuola specializzata, della scuola professionale, della scuola media superiore, si deve iniziare quell’opera salutare di selezione che Quintino Sella il vecchio statista piemontese auspicava senza vederne i modi e la possibilità di attuazione, quell’opera di selezione la quale deve consistere nel dirigere e nell’avviare tutte le attitudini e le capacità dei singoli individui verso quelle vie in cui possono più degnamente operare e progredire. Selezionare non vuol dire costituire la folla degli umiliati e dei reietti, vuol dire disperdere la folla degli spostati e per spostati intendo semplicemente coloro ai quali le facoltà naturali indicano altre strade degnissime di opera e di profitti che non siano quelle delle scuole superiori. Quanto alla scuola classica da un pezzo io vado constatando che la radice è ammalata e alcuni rami sono quasi vicini a dissecarsi; questo non deve accadere. La scuola classica deve essere approfondita contratta; la contrazione sarà il farmaco salutare perchè concentrerà gli uomini migliori ed i mezzi maggiori. Ho scritto parecchi mesi addietro che le scuole superiori d’Italia per tre quarti dovrebbero appartenere alle scienze sperimentali ed applicate e per un quarto alle discipline morali e storiche; non ho oggi nessuna ragione per modificare questa opinione.
Compagni, il problema della scuola si presenterà all’Assemblea Costituente o legislativa come il problema capitale per la rinascita della nazione italiana. Noi abbiamo bisogno di sostituire o, se per meglio, di aggiungere ad esercito un altro esercito, all’esercito delle caserme quello delle scuole, alla leva della milizia quello dell’intelligenza; qui, in questo campo almeno è da sperare che non avremo da subire imposizioni o limitazioni da parte dei vincitori. A costruire un esercito così potente è così provvidenzialmente pericoloso si opporranno forze palesi ed occulte, ma l’impeto delle cose prevarrà certamente sulle male intenzioni di quelli che non intendono ancora. Quelli che aborrono da ogni novità sociale e politica come da perniciosi esperimenti di vita civile, costoro riconoscono tuttavia la malattia della scuola ed il suo progressivo deperimento, ma non si accorgono che se la scuola è venuta meno alla funzione per cui è stata creata ciò è accaduto perchè sono venute meno le ragioni sociali, economiche e politiche che l’hanno corretta.
Molti oggi si dicono e si proclamano paladini della libertà anche di contro a noi, ma io dico che in questa lotta per la libertà, nessun partito è più avanti del Partito Comunista perchè nessuno ha più di noi interesse a liberare da ogni impedimento lo spirito umano. Noi diciamo che non esiste libertà vera fino a che l’individuo umano non avrà la possibilità di dare a se medesimo e a tutti gli altri quanto le facoltà naturali, lo studio, la volontà, la conoscenza gli permettono di dare. Noi diciamo che non esiste vera libertà fino a che l’individuo umano non avrà modo di sperimentare se medesimo, tutto se medesimo nel ciclo dell’attività collettiva; noi diciamo che non esiste vera libertà fino a che al lavoro umano non sarà conferito tutto il diritto, tutto il beneficio, tutto l’onore.
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tysm literary review, Vol 6, No. 9, November 2013
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