philosophy and social criticism

Moribondi di successo

Francesco Paolella

Ormai i miracoli che si possono attendere nel nostro mondo sono solo miracoli naturali, appartengono sempre e comunque al mondo, alle sue regole e alla sua angustia. Il miracolo oggi è una coincidenza quasi impossibile, e che però capita. Niente altro.

Non sono più immaginabili le avventure che si potevano vivere o soltanto osservare un tempo, ai tempi in cui i miracoli erano davvero quotidiani e a portata di mano, come appunto all’epoca degli Eremiti nel deserto, collezionati e raccontati in questo volume Quodlibet da Ermanno Cavazzoni.

Al giorno d’oggi siamo costretti a cercare dei surrogati di miracoli, e a investire solo pochi soldi per poter sperare in loro.

Chi scrive cammina spesso per strade e stradine di montagna, sull’appennino emiliano. Negli ultimi anni è accaduto un grosso cambiamento: l’aspetto dei bordi delle strade è radicalmente mutato e ciò dipende dal tipo di rifiuti che vi si accumulano inevitabilmente.

Da qualche anno in qua, si notano soprattutto schede delle lotterie istantanee, schede giocate e perdute ovviamente. Ecco, oggi il nostro bisogno di miracoli, di una protezione allo stesso tempo sacra e profana, cristiana e pagana, soprannaturale e concreta, passa soprattutto dai “gratta&vinci”, e non più da altre risorse, come dai santuari con gli ex-voto e anche dal soccorso di uomini santi, di eremiti, con le loro vite esemplari e col loro potere straordinario.

Mille mondi e molti secoli sono passati da quando i deserti dell’Egitto e della Siria erano popolati da tanti uomini votati alla povertà e alla solitudine; molti secoli sono passati da quando uomini (ma anche qualche donna) abbandonavano tutto e tutti per esprimere in mille modi diversi (ora canonici, ora bizzarri) la propria vocazione alla mortificazione e alla vita mistica. Nei primi secoli dopo Cristo, ci voleva dell’impegno per trovare un proprio angolo di deserto, per trascorrere anni, decenni chiusi in una grotta, mangiando poco o nulla, dormendo poco o nulla, riducendosi a essere fantasmi. Fare l’eremita era una mestiere popolare: gli eremiti potevano in questo modo conquistare un loro particolare paradiso. E, pur vivendo ovviamente isolati, avevano comunque una rete di contatti (altri eremiti con cui capitava che si facessero concorrenza) e finivano talvolta per essere assediati da folle di fedeli, di supplicanti, di curiosi. Gli asceti erano gli eroi di allora, ed erano anche medici, psicologi, consiglieri in un certo qual modo.

La loro era dunque una vita in fuga: avendo abbandonato il mondo, non credendo più alla messinscena del mondo, combattendo contro i bisogni e i desideri del proprio corpo, gli eremiti finivano per per diventare anche una specie di spettacolo naturale – e l’“esibizione mondana” era per loro un veleno mortale, quasi pari al pericolo della noia. Ossessionati dalle privazioni e della loro “privacy”, erano rincorsi da chi li cercava per una guarigione, o per essere istruito e instradato sulla via della salvezza.

Gli eremiti dovevano dividersi fra l’inevitabile egocentrismo (40 anni in una buca al buio!) e le richieste di aiuto che li raggiungevano. Uomini ignoranti, eppure infinitamente saggi contro la saggezza mondana, sapevano riconoscere i veri pericoli e i veri nemici: i demoni, una legione che riempiva (e movimentava) i deserti tanto quanto gli stessi anacoreti. Anzi, forse proprio per la frenetica attività dei demoni (che si impossessavano continuamente di esseri umani), quella degli eremiti era una vera professione, con una utilità sociale ben definita.

Oggi quelle esistenze fantastiche – tradotte inevitabilmente in leggende che, ai nostri occhi stanchi, possono essere sempre lì lì per cadere nel ridicolo – potrebbero essere (troppo facilmente) ridotte al frutto di perversioni più o meno eccentriche. Invece, rimane nelle loro storie, nella loro inesauribile ripetizione di mortificazioni e sottrazioni – di solito gli eremiti morivano vecchissimi, davvero carichi di anni – un’ansia che è ancora nostra. Cavazzoni sa mantenere vivo, in queste brevi biografie, il fascino (e forse l’invidia) per un tempo in cui la stravaganza e la radicalità erano possibili ed era davvero possibile scappare.

[cite]

tysm review
philosophy and social criticism
vol. 23, issue no. 33, february 2016
issn: 2037-0857
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