philosophy and social criticism

Prigionieri della macchina. Ovvero la matematica dell’azzardo

Paolo Legrenzi

Nota su: Natasha Dow Schüll, Architetture dell’azzardo. Progettare il gioco, programmare la dipendenzaLuca Sossella editore, Roma 2016)

Nel 1654 Antoine Gombaud, cavaliere di Méré, propose al filosofo Blaise Pascal il quesito: «È più probabile avere almeno un 6 lanciando 4 volte un dado o ottenere almeno un 12 lanciando 24 volte due dadi?». La soluzione del problema da parte di Pascal e del matematico Pierre de Fermat segna la data di nascita del calcolo delle probabilità (per la cronaca è leggermente più probabile avere un sei in quattro lanci di un dado). Uno dei campi di studio e di applicazioni più fecondi della modernità, che ci ha permesso di domare l’incertezza del mondo e degli affari umani, nasce grazie a un aristocratico che pratica un gioco, allora di moda, in cui l’uscita del sei è cruciale.

Per molto tempo giocare a carte o a dadi oscillò tra due poli opposti. Attività da avventurieri, professionisti dell’azzardo e aristocratici in cerca di brividi, oppure passatempo borghese per estraniarsi da famiglia e lavoro, creando così un’isola spensierata e impermeabile ai crucci. Le poste erano alte o irrisorie, gli scopi diversi, ma tutto avveniva sempre su un piede di parità: quel che uno vinceva gli altri perdevano, e viceversa. 

Poi comparvero gli stati esattori e le società per costruire e gestire videogiochi. Tutto cambiò, e non in meglio. Gli stati inventarono una tassa indiretta gestendo in prima persona l’azzardo e sfruttando così appassionati, drogati e creduloni. Chi parla inglese dispone di due verbi e forse dovrebbe essere avvantaggiato nel distinguere il gioco puro dal gioco d’azzardo: play, basato solo su regole, e gambling ,dove c’è anche azzardo. Fatto sta che è proprio nei paesi di lingua inglese che ci sono le più grandi lotterie e architetture dell’azzardo. Il 13 gennaio 2016 tre statunitensi, che avevano comprato i biglietti in California, Florida e Tennessee, si sono spartiti più di un miliardo e mezzo di dollari, il montepremi della lotteria Powerball. Pascal avrebbe forse spiegato che c’era una possibilità su 292 milioni di vincere il premio. Era più probabile venir colpiti da un asteroide che baciati dalla fortuna! 

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La storia delle lotterie è un indice della mentalità di chi ama l’azzardo. Alla maggioranza dei giocatori non importano le probabilità di vittoria. Sono invece impressionati favorevolmente dall’eventualità di vincere una somma enorme. E così Powerball e la Lotteria Nazionale britannica hanno abbassato di molto le probabilità di vittoria in modo da cumulare impressionanti monte-premi. In realtà, vittorie rare e favolose attirano più giocatori e quindi diventa probabile dover spartire la vittoria con altri. Di tutto ciò il giocatore non se ne cura perché, se ci pensasse, neppure giocherebbe. E tuttavia il vero marchingegno spenna-polli funziona con quelle che siamo soliti chiamare «macchinette mangiasoldi», dove un singolo individuo si confronta con un sistema elettronico che sta di fronte a lui, in appositi locali oppure online

Questa è stata la vera rivoluzione perché permette di trasformare l’azzardo in una droga di massa di cui si può diventare dipendenti. La storia di questa rivoluzione è raccontata, dopo quindici anni di lavoro, dalla ricercatrice Natasha Dow Schüll in un ricco saggio pubblicato dall’editrice universitaria di Princeton, ben tradotto da Irene Sorrentino per Luca Sossella Editore.

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Anche i cambiamenti nell’architettura delle macchinette mangia-soldi sono una chiave per capire come funziona, o meglio come funziona male, la mente umana. In primo luogo si è rivelata vincente la strategia della ripetizione di episodi corti e semplici che costringono a rimanere concentrati sul ritmo incalzante delle giocate. Walter Benjamin era stato presago nel paragonare questo tipo di giochi d’azzardo alle catene di montaggio usate negli anni Trenta nelle fabbriche. In entrambi i casi lo scorrere del tempo viene frazionato in una serie disconnessa di eventi ripetitivi. Per creare dipendenza è inoltre importante costruire programmi elettronici ricchi di giocate perdenti che sono quasi-vincenti, nel senso che non si è vinto “per un pelo”. 

Già lo psicologo norvegese Teigen aveva dimostrato che le persone, alle prese con una sorta di roulette russa immaginaria, ritengono di essere più fortunate se il colpo sparato a vuoto è vicino alla posizione nel tamburo dove c’è la pallottola mortale. Analogamente le macchinette sono programmate per mostrare molti casi di perdite vicine alle quasi-vincite. La dipendenza scatta, a un certo punto, quando alcune persone non scelgono più di giocare saltuariamente ma sono risucchiate dal richiamo della Macchina, che diventa un’attrazione irresistibile creando dipendenza patologica.

L’unico modo di difendersi è evitare le tentazioni, proprio come con cibo o sesso. Non bisogna contare sulla propria forza di volontà perché, se “chiamate” dalla droga, le persone cambiano in modi per loro imprevedibili e incontrollabili.

Azzardo

Oggi, in Italia la recente legge di stabilità ha sancito la definitiva consacrazione dei giochi online o, comunque, praticati interagendo con macchine. Il tutto frutterà all’erario circa 50 milioni di euro, con aumenti percentuali a due cifre di anno in anno. Dai tempi di Pascal e Fermat la quantità degli azzardi è aumentata in rapporto inverso alle qualità mentali richieste. Dalla sfida ai miglior pensatori di Francia al problema sociale dei drogati da gioco.

 

 

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philosophy and social criticism
vol. 23, issue no. 33, february 2016
issn: 2037-0857
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