philosophy and social criticism

Extra omnes

di Francesco Paolella

Per riprendere Guido Morselli, Roma senza papa. Cronache romane di fine secolo ventesimo, Adelphi, Milano 1974.

imagesCon Roma senza papa, la casa editrice Adelphi ha iniziato la pubblicazione dei romanzi di Guido Morselli, che si è ucciso ormai quaranta anni fa, nel 1973. I suoi romanzi sono sempre stati rifiutati da tutti gli editori a cui si era rivolto. È iniziato con Roma senza papa quello che, ancora di recente, Gian Carlo Ferretti ha definito «uno dei casi letterari più clamorosi del Novecento (e non soltanto, forse)».[Nota 1]

Roma senza papa, ma non per il breve tempo di un conclave. Roma senza più una corte papale, città ridotta a capitale di media importanza, città ridotta a un museo, desacralizzata. Roma senza papa è un libro in cui la narrazione è praticamente assente. In uno degli ultimi anni del Novecento, un ecclesiastico viene dalla Svizzera a Roma per essere ricevuto dal papa, Giovanni XXIV. Un papa molto diverso da come siamo abituati a immaginarlo. Papa che non “regna” più in Vaticano; la Santa Sede si è trasferita a Zagarolo, in provincia; la Guardia Svizzera è stata sciolta. Una udienza che alla fine si ridurrà a poca cosa. Il nostro protagonista, con una moglie che lo aspetta a casa (i preti sono stati “liberati” dall’obbligo del celibato – e persino il papa avrebbe una fidanzata), racconta lo snaturamento e anzitutto lo svuotamento della città eterna. Uno svuotamento che – qui emerge l’efficacia dell’invenzione di Morselli – riempie la città di depressione e di nostalgia, ma anche di risentimento da parte dei romani per i turisti ormai scomparsi.

La chiesa cattolica – in questa ipotetica, ma certo non utopica, fine Novecento – si è infine “protestantizzata”. Gli aspetti più conservatori e antiquati della dottrina e della morale cattolica sono stati semplicemente rimossi. In nome del “dialogo” e dell’“ecumenismo”, la chiesa si è abbandonata alla tolleranza, e alla laicità dominanti. Ha riconosciuto che la sua intransigenza era del tutto velleitaria.

E i prelati? La gerarchia? I vescovi giocano a tennis e si abbronzano, fumano marijuana. I teologi invece hanno iniziato a dedicarsi finalmente ai problemi concreti della vita moderna, a sostenerne i costumi dominanti.

«Ci vogliono nuove cattedre. Specializzate. Non basta l’ormai vecchia cosmoteologia. Ci dev’essere una teologia della acculturazione, una teologia dell’automazione. – Bravo, – l’ho interrotto con intenzione sarcastica. – Anche una teologia sportiva. E un’altra, alimentare» (p. 33).

A dire il vero, le voci critiche verso tutte queste innovazioni sono sempre discrete, sottovoce. Più rassegnate che altro. La chiesa di Morselli è stata vinta dal pluralismo: sono ormai improponibili il vecchio proselitismo, la vecchia idea di “missione” e, soprattutto, tutto il “pittoresco” che dava sostanza alla vita vaticana e romana. Morselli non ha esposto in questo libro una critica alla chiesa del suo tempo (scriveva alla metà degli anni Sessanta). Da conservatore (anche in materia religiosa), ha voluto sviluppare alcune tendenze già presenti nel dibattito contemporaneo: quindi, nessuna fantascienza – e già è significativo il fatto che il romanzo sia stato ambientato in un futuro prossimo. Cesare Segre ha avvicinato a questo proposito questa invenzione morselliana al 1984 di Orwell:

«I trent’anni circa di spostamento sperimentale verso il futuro servono a Morselli, mi pare, per immaginare in forma antifrastica una difesa della tradizione religiosa. L’audacia propositiva in lui è estremamente più fertile nei confronti del passato che del presente. Non vi sono pronunciamenti espliciti, ma dai contatti e dalle riflessioni del protagonista in mezzo al variegato mondo curiale la posizione tutto sommato conservatrice di Morselli risulta chiara, anche se combattuta e venata di dubbi». [Nota 2]

Il superamento di una chiesa sessuofoba, che pensa ora di poter rimediare alla crisi delle vocazioni con i confessionali automatici e la riconsacrazione delle diaconesse, tutta questa rivoluzione per una “detemporalizzazione” del Vaticano, tutto questo non ha il sapore ascetico di un ritorno alle origini. Il ripudio del Concilio di Trento ha nell’ipotesi di Morselli più il significato di una fine rovinosa, anche se “dolce”, piuttosto che di un nuovo inizio. E sempre i dubbi, le perplessità (ma ancora di più la rassegnazione) del protagonista del libro (e di Morselli) non permettono di immaginare nessuna alternativa.

A dire il vero, la Santa Sede è riuscita con la “Pro-riforma” a riacquistare prestigio internazionale. Si è accreditata come arbitro per dirimere le controversie fra URSS e USA (qui sulla spartizione delle risorse del sottosuolo lunare).

I preti intanto si stanno “specializzando”, la chiesa più austera e più efficiente; eppure si sente emergere da queste pagine solo rifiuto e nostalgia. Soprattutto, il cattolicesimo ha finalmente scoperto anche in Italia il socialismo (qui la “socialidarietà”). Sono arrivati i Gesuiti a risolvere finalmente la “questione meridionale”:

«Stavolta ci provano i Gesuiti, spiega il mio ospite. Messi in allarme dal seguito che stava avendo un movimento iniziato a suo tempo dal socialista anticlericale Danilo Dolci, i Padri hanno ottenuto dal governo enormi concessioni a sud di Napoli; e loro notoriamente non sono degli speculativi, sono degli organizzatori. Il governo di Roma, persuaso della propria incapacità, li favorisce, ha concesso territori vasti come province. Scavalcare a sinistra i socialisti non è difficile in Italia, e del resto i Gesuiti in questo campo possiedono una tradizione» (p. 65-66).

Vince finalmente la giustizia, ma la carità è dimenticata. D’altra parte, la fede non appare più come un vincolo, non discrimina più. E la pace è un valore posto più altro della fede stessa. La fede, a sua volta, può essere speigata dalla psicologia o curata dalla psichiatria:

«Sant’Agostino, Duns Scoto, Meister Eckart, furono tormentati dal dubbio. Lo sappiamo bene. Ma ecco, precisamente: si parlava per loro di tormenti del dubbio. Adesso si parla di schizofrenia. Un buon terzo di noialtri della Gregoria è ateo, mentre frequentiamo corsi di alta cultura cattolica e ci apprestiamo a tornare in un ufficio ecclesiastico, o all’insegnamento, o magari alla cura d’anime; ma niente di male, sono neurosi, ‘disturbi’ da curare, tutt’al più, in una delle nostre belle cliniche svizzere sui laghi. Dunque né contraddizione né ipocrisia. La fede è risolta al 100% nella psicologia, o psicopatia, è un caso particolare della casistica studiata da Charcot o da Freud» (p. 108-109).

E non a caso in Roma senza papa una delle novità più discusse in ambito teologico è appunto l’IPPAC, ossia l’Istituto per la Promozione della Psicoanalisi Cattolica. Obiettivo: battezzare Freud, convertire l’Anticristo.

La libertà obbliga a una fede (e a un Dio) ragionevole. Il predecessore di Giovanni XXIV, papa Libero, aveva dieci anni prima deciso di abdicare dal suo potere di infallibile:

«Il Vicario di Cristo è infallibile, ma quando ci sia ispirazione divinitus riconosciuta (a maggioranza!) dai Padri della cattolicità, in sede sinodale o conciliare. […] Con ciò, al posto di un pontefice si è messo un parlamento: non c’è concinnitas ciceroniana o sottigliezza tomistica che mascheri il fatto nella sua, legalitaria, brutalità» (p. 87).

Una Chiesa senza più coesione, più aperta ma più vuota, senza più una forza centripeta che sappia tenere unità la cattolicità, un tempo sostenuta con arroganza, violenza, ma anche coerenza.

NOTE

[Nota 1] Gian Carlo Ferretti, Siamo spiacenti. Controstoria dell’editoria italiana attraverso i rifiuti, Bruno Mondadori, Milano 2012, p. 133.

[Nota 2] Cesare Segre, Fuori del mondo. I modelli nella follia e nelle immagini dell’aldilà, Einaudi, Torino, 1990, p. 133. Segre si riferisce qui in particolare a un altro romanzo di Morselli, Contro-passato prossimo, sempre edito da Adelphi.

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tysm literary review, Vol 1, No. 3, “Teologie impolitiche” – march 2013

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