Fratelli nemici
Alfonso M. di Nola
Francesca Mencacci, I fratelli nemici. La rappresentazione dei gemelli nella cultura romana, con un saggio introduttivo di Maurizio Bettini, Marsilio, Venezia 1996.
Universalmente nelle culture antiche e in quelle di livello etnologico le nascite gemellari sono considerate un evento infausto e portatore di disgrazie, probabilmente perché interrompono, con la loro singolarità, la normalità di un fenomeno fisiologico che è costantemente rappresentato dalla nascita di un solo figlio. Per questo motivo, dall’etnologia delle varie regioni della terra risulta con chiarezza che si ricorre alla soppressione o all’abbandono di uno dei due gemelli e di quanti eccezionalmente sono plurimi, ad evitare i mali che investirebbero l’ordine sociale e naturale.
Presso alcune popolazioni della Micronesia e dell’Africa (per esempio gli Ottentotti, i Begia, i Damara ed i Somali), nella comune credenza tradizionalmente trasmessa si ritiene che la nascita gemellare dipenda dall’anatomia maschile, soprattutto dalla presenza di due testicoli. Perciò si ricorre ad una delle più dolorose mutilazioni rituali, e cioè all’ablazione di un testicolo, mediante apertura dello scroto, e alla sua sostituzione con un ciottolo. Altrove si provvede allo spappolamento di uno dei due testicoli frantumandolo con una pietra, mentre lo scroto è deposto su un sostegno costituito da un masso sassoso (monorchidismo rituale).
Francesca Mencacci, nel suo saggio – I fratelli amici. La rappresentazione dei gemelli nella cultura romana – accuratamente ricostruendo l’immagine dei gemelli nella società classica, ci presenta una valutazione del tutto opposta a quella generale. Anche se fondamentalmente i parti gemellari appaiono come fausti nella società romana e greca, tuttavia, nell’ignoranza del processo anatomico che porta, secondo le attuali cognizioni scientifiche, al parto doppio o plurimo, monovulare o pluriovulare, la nascita di più figli in una sola gravidanza restò sempre sostanzialmente ambigua.
In sostanza si presumeva che il figlio gemellare potesse essere il frutto dell’unione della madre con un uomo diverso dal marito, quando la donna era già incinta di lui. Tuttavia, a questa credenza si opponeva quella di una nascita legittima di veri e propri fratelli gemelli quando si era verificata una superfetazione, cioè – secondo la definizione aristotelica – la gestazione simultanea di feti derivati da fecondazioni avvenute in tempi diversi, ma da parte dello stesso coniuge, fenomeno raro nell’uomo ma frequente e quasi costante in alcuni animali come la cavalla e la lepre.
Nei testi latini si incontra anche il tema dell’unico seme che dà origine ad un embrione gemellare. Diveniva molto rilevante la somiglianza dei nati con il preteso padre, laddove la loro dissomiglianza lasciava presumere l’adulterio materno. Vi è una ricca aneddotica classica che riferisce situazioni di questo tipo. Per esempio in Plinio da una schiava dell’isola di Proconneso, di due gemelli uno somigliava decisamente al padrone e l’altro all’amministratore, definendo in tal modo l’ambiguità della concezione. Il fenomeno si verificò spesso anche per donne appartenenti a classi illustri come per Livia Giulia, per la moglie di Silla e per l’imperatrice Faustina.
Restava in ogni caso il riconoscimento di un’eccezionale capacità generativa della donna, e il parto plurimo diveniva orgoglio dei genitori in una società sostanzialmente contadina e pastorale nella quale erano importanti le nascite che moltiplicavano, attraverso il numero dei figli, la forza lavoro. Si modificava così la definizione aristotelica, e i romani riconoscevano il valore fecondante positivo anche all’uomo. All’interno di questa visione il parto gemellare negativamente sembrava avvicinare la condizione umana a quella animale, soprattutto alla lepre cui, come avviene nell’attuale cultura subalterna italiana, si attribuisce uno snodato bisogno di rapporti continui che originano nati da più maschi.
Diveniva perciò importante ed integrante la presenza di miti che, soprattutto a Roma, riflettessero un potere positivo attribuito ad alcune coppie divine, quali i Dioscuri, Castore e Polluce o a parti plurimi semidivini quali Romolo e Remo che divengono i fondatori della città, o la triade degli Orazi e dei Curiazi, che si presenta agli albori della storia di Roma.
Il fenomeno mette in crisi il processo di autoidentificazione o identità che nasce normalmente dalla percezione fisio-psichica del proprio sé non ripetibile, anche quando si ripresenta in immagini e riflessi. La gemellarità, invece, dissesta questo processo fondamentale, soprattutto quando vi è forte somiglianza fra due o più gemelli, così che corrono il rischio di perdere il processo di autoidentificazione. Si giunge, in questi casi, ai giochi gemellari, nei quali è possibile a terzi scambiare l’uno con l’altro: esempio classico che si ripete più volte nella storia antica e che trova il suo più celebre esempio comico nei Menecmi di Plauto, dei quali è detto che anche il padre e la madre non erano capaci di immediato e sicuro riconoscimento differenziante.
Intorno a queste particolari condizioni, l’autrice sviluppa un discorso molto ampio, che giunge fino alla classificazione dei nomi attribuiti nell’antichità ai gemelli e agli schiavi. Il libro diviene, perciò, un’esemplare informazione su uno degli aspetti meno noti del mondo antico e ci offre lo spaccato di una società che non conosciamo nelle sue parti più minute e recondite. In ogni caso la nascita gemellare continuerà, almeno nella società occidentale, a costituire una sorta di mistero, soprattutto quando esplode come anomalia. Così i casi di una donna siciliana che ebbe da due mariti ben 22 gravidanze tutte gemellari e di una donna di nome A.M. Helm, nata quadrigemella, maritata a un gemello che in 11 parti ebbe 32 figli tutti gemelli, due quadripli, sei tripli e tre doppi.
Le attuali metodologie di fecondazione, attraverso cure destinate al superamento della sterilità, hanno fatto svanire in gran parte l’aura di fantasia e di leggenda che si nascondeva sotto le partorizioni plurime, le quali sono ora divenute un evento frequente e spesso indesiderato, in un tipo di società nel quale la ricerca del lavoro produttivo è divenuto un problema fondamentale e talvolta insolubile.
[da il manifesto, 20 giugno 1996]