philosophy and social criticism

Germania, dove sei?

"Christian Marazzi, Tysm, Germania"

di Christian Marazzi

L’Economist di questa settimana contiene un’analisi particolarmente interessante dell’economia tedesca e del suo ruolo politico a dir poco incerto nel quadro della crisi dell’Unione europea e in particolare dell’euro. “La domanda – scrive l‘Economist – non è se la Germania può condurre l’Europa verso un futuro migliore, ma se lo vuole fare”. Non a caso la Cancelliera Merkel è stata ribatezzata “Merkiavelli” a causa delle sue esitazioni e rinvii delle decisioni che contano (aiuti finanziari, Unione Bancaria, eurobonds) per domare i paesi europei più fragili finanziariamente (v. Francesco Raparelli, Interregno europeo, in Huffington Post, 10.06.2013). Il “differimento illimitato” delle decisioni economiche e politiche per uscire dalla crisi dell’eurozona da parte della Signora Merkel agevola senza dubbio l’uso repressivo della leva del debito: “le cicale del Sud non possono far altro, per evitare l’uscita dall’euro, che comprimere salari e redditi, svendere public utilities e demolire il welfare” (F. Raparelli). È questo il modo “machiavellico” di usare il tempo per mettere in salvo i capitali delle banche non solo tedesche che in questi anni di crisi hanno lucrato non poco sulle miserie altrui, acquistando titoli di debito pubblico con rendimenti da strozzinaggio. 

Ma perché questa ostinazione tedesca a non assumersi il ruolo di leader dell’Europa, come invece fecero gli Stati Uniti alla fine della seconda guerra mondiale quando, alla loro potenza economica, aggiunsero la creazione del FMI e della Banca mondiale che ne garantirono la leadership mondiale? La domanda è più che legittima, dato che in questa crisi, in questo interregno in cui “il vecchio muore senza che il nuovo possa nascere”, alla fine la stessa Germania rischia di subire i contraccolpi della recessione economica generata dalle politiche d’austerità volute, eccome, dal governo tedesco.
La spiegazione di questo rompicapo sta nella natura del successo economico della Germania. Dall’analisi dell’Economist si evince che alla base del miracolo tedesco ci sono i seguenti fattori: una politica salariale fortemente restrittiva, iniziata dal governo rosso-verde di Schroeder nel 2003 (il famoso Piano Hartz) con la complicità dei grandi sindacati tedeschi. Oggi i working poor tedeschi rappresentano il 20% della popolazione attiva, più o meno come in Gran Bretagna e poco meno che negli Stati Uniti; una enorme disparità nella distribuzione della ricchezza, a tal punto che la ricchezza patrimoniale pro capite della popolazione tedesca è inferiore a quella degli italiani, degli spagnoli e addirittura dei greci; la focalizzazione della crescita sull’industria d’esportazione, in particolare la meccanica, la chimica e l’automobile; un elevato tasso di risparmio, dovuto soprattutto a scarsi investimenti pubblici e in beni strumentali. 

Benché la Germania abbia tratto non pochi vantaggi dalla crisi economica europea, fosse solo in termini di bassi tassi d’interesse sul debito pubblico e di un euro sottovalutato rispetto al suo surplus commerciale, resta il fatto che la popolazione tedesca non ha nessuna voglia di mettere a repentaglio quel poco di sicurezza economica che le è rimasta, dopo anni di reale abbassamento del suo tenore di vita. E il rischio c’è, dato che la Germania è l’unico paese creditore che può intervenire con misure di salvataggio dei paesi insolventi. In questa situazione di stallo, il dato forse più significativo per capire dove la Germania stia andando riguarda le esportazioni: oggi la Germania esporta verso l’eurozona il 37% e entro il 2025 ci si aspetta che questa percentuale scenderà al 30%. Il resto delle esportazioni è prevalentemente verso i paesi asiatici, la Cina in particolare. Come dire: la Germania ha sempre meno bisogno dell’Europa. Se così è, allora il machiavellismo tedesco prelude a scenari geopolitici dirompenti.

[da Rsi-Rete due, mercoledì, 19 giugno 2013]

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tysm literary review, Vol 4, No. 7– juin 2013

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