Gioco pubblico e comportamenti sociali in Italia
Giuseppe Imbucci
Docente di Storia contemporanea, di Storia del Mezzogiorno e di Storia economica presso le Facoltà di Magistero, di Lettere e filosofia e di Scienze della Formazione dell’Università di Salerno, Imbucci ha dedicato molti anni della sua attività di ricerca alla questione, con libri e ricerche. Scomparso nel 2005, Imbucci ha lasciato un metodo e numerose pubblicazioni sulla questione del “gioco pubblico”, tra i quali ricordiamo Il gioco. Totocalcio e lotterie, storia dei comportamenti sociali, Marsilio, Venezia 1997). Il testo che presentiamo è del 2002.
Il mercato del gioco pubblico in Italia nell’ultimo decennio ha subito incisive e vistose trasformazioni immediatamente connesse alle trasformazioni della stessa società italiana. Il mercato del gioco infatti è un segmento della realtà e ne riproduce qualità e condizioni. In questo senso si può dire che i comportamenti di gioco costituiscono una vera e propria autobiografia sociale. Essi infatti contribuiscono a disegnare la fisionomia degli stili di vita perché disegnano non solo la nozione del superfluo e del ludico, con le connesse implicazioni economiche che ne derivano, ma disegnano anche in filigrana l’alberatura del senso di colpa collettivo ed individuale che sovrintende al regime di spesa e la percezione, ottimistica o pessimistica, del futuro.
Il gioco, come è stato autorevolmente sostenuto, è una straordinaria insula – altra rispetto al serio ma fittamente connessa alla qualità della vita – e perciò stesso costituisce un prezioso laboratorio d’analisi storico-sociali e socio-economiche. Il gioco infatti ed i comportamenti di gioco racchiudono preziose informazioni intorno alla percezione del superfluo, del senso di colpa, della speranza e dell’illusione. Studiarne l’andamento significa studiare in realtà il reticolo della tenuta sociale del Paese rispetto almeno a questi temi e dunque lo studio dei comportamenti di gioco si colloca a pieno titolo tra gli studi di storia sociale e socio-economica.
Il mercato del gioco pubblico in Italia nell’ultimo decennio è contrassegnato dalle connotazioni che qui appresso si riassumono: l’internazionalizzazione, la velocizzazione, il gigantismo e il tecnicismo. A ben guardare queste connotazioni contraddistinguono anche la fisionomia del sociale ed il regime delle sue relazioni e proprio in tal senso il gioco ed il suo mondo non è avulso dal mondo ma ne costituisce una possibile autobiografia.
L’internazionalizzazione è un processo che si è andato esprimendo in modo vivace nel mercato del gioco ed ha costretto il mercato tradizionale a profonde trasformazioni. Il Totocalcio ad esempio – uno dei più diffusi ed amati giochi italiani perché connesso all’amore per il calcio ed alla passione sportiva – non ha saputo adeguarsi al mutato costume e sta subendo una continua erosione del suo mercato.
Il Lotto invece – l’altro grande gioco italiano legato alla cabala ed alla cultura numerico-pitagorica – attraverso l’introduzione della seconda giornata ha saputo tener testa con straordinaria efficacia al mutato regime del contesto. L’internazionalizzazione è stato veicolo di una vera e propria omogeinizzazione del costume. Si pensi ad esempio alla introduzione delle scommesse sportive e delle sale Bingo che costituiscono una novità nel costume di vita italiano.
La velocizzazione è modalità che accompagna la qualità stessa della vita e nel mercato del gioco è immediatamente rintracciabile come diretta conseguenza della internazionalizzazione del costume di gioco. Nel 1937 nel Massachusetts si ha la prima sparuta esperienza di lotteria istantanea mentre in Italia essa esplode con immediato successo nel 1994.
L’introduzione della seconda giornata del Lotto costituisce un’immediata risposta alla nuova fenomenologia e poco dopo videogiochi e videopoker si diffondono in una maglia a rete stretta provocando una straordinaria fibrillazione nel mercato, nei ritmi dei giochi, nel costume e nei rischi connessi alla consuetudine di gioco. Ogni volta infatti che la velocità del gioco aumenta si riscontra un aumento della pericolosità sociale del gioco proprio per la propensione all’automatismo delle partite.
Il gigantismo è un altro protagonista della recente storia del mercato del gioco. I primi milionari furono regalati all’Italia povera e stupita dell’immediato dopoguerra dalla Sisal e poi, nei decenni successivi, dal Totocalcio. Solo il Superenalotto con il meccanismo del riporto – che è modalità di gioco introdotta negli Stati Uniti – ha fatto esplodere verso l’alto i consueti limiti di gioco.
Si è potuto constatare, attraverso studi circostanziati che il premio crescente costituisce premessa per porte d’accesso ad un pubblico crescente. Esiste relazione diretta cioè tra gigantismo ed ampiezza della platea di gioco. L’induzione al gioco tuttavia non implica fidelizzazione. Il pubblico del gioco infatti si volatilizza non appena si realizza la vincita ed il premio in palio si riduce. Si è potuto constatare anche che la crescita del premio ha indotto il costituirsi di comunità spontanee di giocatori che mettono in comune le loro risorse per sostenere il crescente impegno di spese. Il fenomeno di Peschici (il paese coinvolto dalla prima vincita multimiliardaria) è noto alle cronache e rivela una imprevista capacità aggregante del gigantismo.
Uguale occasione di comunione di risorse, finalizzate ad un crescente investimento ponderato, è rappresentato dal fenomeno che si và diffondendo nella platea dei giocatori del Lotto. La velocizzazione infatti (come il gigantismo per altri versi) ha reso possibile una trasformazione epocale nella modalità di gioco relativo al Lotto. Qui il giocatore dal gioco cabalistico va tracimando nel gioco speculativo attraverso ponderati investimenti sui numeri ritardatari. Se è vero infatti che l’urna non ha memoria, è vero anche che l’esperienza storica segnala che il massimo ritardo si è registrato – in un secolo di estrazioni – sulla ruota di Roma per duecentoventi settimane. Questa constatazione empirica, unita al raddoppio della velocità del gioco, consente la possibilità di inseguire numeri ritardatari in tempi dimezzati e l’impegno finanziario che ne consegue induce alla ricerca di partners per sostenere le strategie di gioco. Dunque, fenomeni che apparivano di per sé disorientanti e con forte potenziale allucinogeno (velocizzazione e gigantismo) possono di converso provocare positive relazioni di alleanza, complicità e solidarietà.
La tecnica è al centro di una rivoluzione del costume degli stili di vita e dell’etica sociale, anche il gioco ne è profondamente coinvolto. Conoscenze anche approssimate dell’informatica consentono accessi a Casino virtuali e la stessa distribuzione del gioco pubblico avviene con una fitta rete che in tempo reale raccoglie le quote di gioco e garantisce allo stesso tempo sicurezza del gioco.
L’uso delle tecnologie nel gioco può comportare conseguenze positive ed altre di natura opposta. Tra le prime si può constatare l’uso che molti comuni italiani si avviano a fare della rete telematica utilizzata dalla Lottomatica per ridistribuire in modo celere e sicuro servizi ai cittadini senza aggravi di costi. Attraverso la rete distributiva del gioco cioè il cittadino si è avvicinato allo Stato in un punto tradizionalmente carente come quello dei servizi.
Un aspetto negativo viceversa è costituito dall’isolamento ulteriore del giocatore. Come è noto la riflessione classica attribuisce al gioco il tratto della insularità, il gioco è un’insula nell’oceano del serio e si approda ad essa per motivi non sempre espliciti ma dotati anzi di forti complicazioni compensative. L’accesso al gioco senza testimoni e mediazioni, così come può avvenire nella solitudine del proprio accesso alla rete telematica, può accentuare la solitudine, la malinconia e la dimensione regressiva del gioco. Anche le tecnologie applicate ai videogiochi ed ai videopoker possono costituire una particolare situazione di induzione alla ripetitività compulsiva ed alla patologia del gioco. È stato provato da studi circostanziati, ormai acquisiti alla consapevolezza scientifica, che la pericolosità sociale di un gioco è connessa alla velocità della giocata. La condizione ipnotica e l’automatismo senza mediazioni presente nella stessa struttura ontica dei videogiochi costituisce il massimo di pericolosità connesso alle tecnologie ed il punto più alto di rischio sociale.
Il mercato italiano del gioco pubblico dunque è segnato dai processi che abbiamo appena descritto: l’internazionalizzazione, la velocizzazione, il gigantismo ed il tecnicismo.
Questi processi si vanno esprimendo in un orizzonte economico sempre più affluente. Lo stile di vita infatti delle società neotecniche affida al gioco ed al tempo libero spazi crescenti. Finanche il senso di colpa individuale, che agisce da censore interno, ed il costume di gruppo, che agisce da censore collettivo, si vanno mobilitando per consentire crescenti consumi.
Al 1991 gli italiani spendevano circa otto miliardi di Euro per arrischiare la fortuna. Questa cifra comprende le somme spese al Lotto, all’Enalotto, al Totocalcio, al Totip, alla corsa Tris, all’Ippica ed alle lotterie. Essa non comprende la raccolta dei giochi di recinto (i quattro Casino italiani) nè le somme spese al gioco clandestino. Per il gioco clandestino stime, approssimate per difetto, fanno ascendere le valutazioni a circa un terzo del mercato legale soprattutto in prossimità di aree urbane.
In quegli anni il mercato si articola in una tripartizione che raccoglie le tre grandi passioni squisitamente italiane: il Lotto con la sua cultura cabalistica (30%); il Totocalcio con la sua cultura sportiva (32%) e l’Ippica con la sua passione per i cavalli (28%). Il mercato sembra dunque armoniosamente disposto tra giochi di alea – affidati alla fortuna ed alla cultura onirico-numerologica – giochi di abilità – fondati sul pronostico e la competenza sportiva come l’Ippica – e giochi che oscillavano tra l’uno e l’altro come il Totocalcio in cui si coniuga capacità di pronostico ed evento fortunoso. Questa redistribuzione così equilibrata tra giochi di alea e di abilità corrispondeva da una mentalità ed a stili di vita che caratterizzavano ancora l’Italia di quegli anni ed il regime dei suoi valori.
In questo quadro tendenzialmente statico nella sua tripartizione (1991-1994) si vanno delineando univoche vie di sviluppo: crescita del gioco del Lotto (38,2% del mercato) e crisi del Totocalcio e dell’Ippica per crisi di affidabilità e trasparenza.
Sulla crisi del Totocalcio e dell’Ippica dunque si fonda la prima fortuna del Lotto che nel 1993 raccoglie oltre tre miliardi di Euro (38% del mercato). da quella data in poi però irrompono sul mercato come protagonisti due di quegli elementi che abbiamo appena descritto: la internazionalizzazione e la velocizzazione. Sull’esempio, infatti, di analoghe esperienze statunitensi viene introdotta la prima lotteria istantanea italiana conosciuta dal grande pubblico col nome di Gratta e Vinci. Nel 1994 essa raccoglie quasi ottocento milioni di Euro (8% del mercato) e nel 1996 raggiunge il 20% del mercato.
Il Gratta e Vinci trionfa nelle tabaccherie e nei bar ed assieme ad un caffè veloce celebra una compiuta democrazia del caso.
Non c’è possibilità di ponderare l’imponderabile e tutti – ricchi e poveri, potenti ed umili come in quell’Italia che cambia – sono ugualmente esposti alla sorte.
Il gioco ha successo non soltanto per questo elemento di totale abbandono al caso ma vanta almeno altri tre importanti punti di forza:
- il gioco a esecuzione istantanea e l’eventuale vincita è simultanea allo stesso atto del giocare;
- il gioco è sostenuto dal cosiddetto meccanismo del rinforzo. Si vince frequentemente infatti una somma pari al costo del biglietto che viene dal giocatore solitamente reimpiegata nella prosecuzione del gioco. Questo meccanismo rafforza il gioco perché induce a ricordare le vincite e a rimuovere la perdita con effetti compensativi o gratificanti;
- Il costo del gioco è ponderato al di sotto della soglia di allarme del senso di colpa. La parità del costo ed il primitivo e biologico gesto del grattare sonno stati i principali artefici della diffusione del gioco tra i più giovani.
Con la velocizzazione dunque il mercato esplode e comporta una crisi dei giochi tradizionali.
Nel 1996 il Lotto dal 38% del mercato scende al 29%, il Totocalcio dal 32 all’11%, l’Ippica dal 27 al 18%.
Alcuni settori del mercato saranno definitivamente travolti e non avranno capacità di reazione al nuovo meccanismo selettivo. Il Totocalcio ad esempio segnerà una sua definitiva crisi e così anche l’Ippica ridotta al suo ristretto bacino di utenza tradizionale. Altri settori invece reagiranno in modo vincente. il Lotto ad esempio abbraccerà l’esperienza che proviene dallo stesso processo di velocizzazione introducendo la seconda giornata di gioco. Questa operazione sarà accompagnata poi da iniziative volte a contestarne il maggior volume di spesa, destinando parte dei proventi al recupero delle opere d’arte.
La SISAL invece reagisce introducendo in Italia l’altro grande elemento che connota il mercato del gioco pubblico: il gigantismo. Nel 1998 infatti viene introdotto dagli Stati Uniti il Superenalotto che con il meccanismo del riporto raggiunge in poche settimane primati europei. Il pubblico del Superenalotto è dotato di grande vitalità, quello del Lotto invece è caratterizzato da intensa vischiosità. Il Superenalotto in pochi anni si è attestato intorno ad una raccolta di circa tre miliardi di Euro (18% del mercato), mentre il Lotto ha espresso un costante processo di verticalizzazione dei consumi fino ad assumere una posizione egemone nel mercato (oltre il 50%).
La velocizzazione del Lotto introdotta dalla seconda giornata, ne ha modificato profondamente lo spirito, la cultura e le modalità di consumo. L’analisi dei comportamenti di gioco infatti ne rivela un andamento a pettine che segnala transizione dal gioco cabalistico al gioco speculativo. I consumi s’innalzano in modo verticale in concomitanza di numeri ritardatari e crollano su valori tradizionali non appena questi vengono estratti.
Il gioco speculativo ha comportato alcune conseguenze che qui di seguito brevemente indichiamo: è diminuita vistosamente – almeno in termini percentuali – la quota parte ricavata dall’Erario. Il gioco speculativo infatti risulta più conveniente per il giocatore.
Le vincite vengono redistribuite nell’area centro-settentrionale del Paese perché connotazioni culturali di lungo periodo (modalità cabalistiche del gioco) ritardano la diffusione del gioco speculativo nelle aree meridionali. Il gioco speculativo implica dunque la redistribuzione al nord del Paese, sotto forma di vincita, di capitali drenati dalle aree economicamente deboli.
Il gioco speculativo provoca una profonda torsione nei connotati culturali del Lotto e ne aumenta la pericolosità sociale. Il giocatore economicamente più debole infatti può trovarsi finanziariamente esposto rispetto al piano di spesa previsto e rischia di cadere nel gioco ossessivo-compulsivo nel tentativo di recuperare le somme già esborsate.
Il gioco speculativo insomma può trasformare il giocatore occasionale in giocatore abituale, quello abituale in giocatore a rischio e il giocatore a rischio in giocatore compulsivo. Il giocatore speculativo infine mira a torcere la ludicità del gioco nell’interesse al lucro sovvertendone la stessa struttura ontica. Si gioca infatti per divertirsi non per lucrare. Il lavoro remunera, non il gioco.
Questa torsione culturale che investe il cinquanta per cento del mercato nazionale apre spazi a più generali riflessioni sulle relazioni tra gioco e serio in questa fase neo-tecnica del capitale caratterizzata da consumi crescenti. Da un lato il tempo libero apre maggiori spazi al gioco – ed infatti i consumi di gioco sono in costante ascesa – dall’altro la cultura del profitto invade anche le ragioni del gioco.
Il gioco stesso infine non sembra più simbolo del mondo, come con forza aveva dichiarato, ma sembra coincidere col mondo stesso, come Eraclito in modo inquietante aveva suggerito: il corso del mondo è un bambino che gioca ai dadi. In tempi più recenti con altra inquietudine Borges aveva con Babilonia alluso ad una coincidenza tra gioco e mondo.
Il virtuale – verosimile e veridico ad un tempo ma non vero – sembra segnare l’incerto confine tra gioco e serio. Queste generalissime riflessioni sembrano lontane dalle ragioni mercantili del gioco tuttavia, come si è tentato di dimostrare, le ragioni culturali sono già tutte quante dentro alle ragioni del mercato e la riflessione scientifica può solo rivelarle e farne occasione di problematica conoscenza.
[cite]
tysm review
philosophy and social criticism
vol. 29, issue no. 32, january 2016
issn: 2037-0857
creative commons license this opera by t ysm is licensed under a creative commons attribuzione-non opere derivate 3.0 unported license.
based on a work at www.tysm.org