philosophy and social criticism

Guccini o della parola in musica

Francesco Paolella

Francesco Guccini, Canzoni, con introduzione e commento di Gabriella Fenocchio, Bompiani 2018

Nel caso di Guccini, si rimane sempre ben lontani dai luoghi comuni. I testi delle sue canzoni (con rime come questa: destino-tacchino) tengono assieme la realtà più banale e problemi che, pur di tutti, sono complicati, angosciosi, a volte indigesti. Sono piuttosto i suoi ammiratori, come spesso succede, a rischiare di cadere nei cliché, a rifugiarsi nelle citazioni compiaciute e infinitamente ripetute. Guardiamo soltanto a cosa succede con le canzoni di Gaber o con le parole di Flaiano…

I dischi di Guccini hanno attraversato l’ultimo mezzo secolo, e indubbiamente, a rileggerne oggi i testi, possiamo vedere bene, come in controluce, quale e quanto grave sia stato il declino della società e della cultura italiana, quanto grande lo smarrimento degli “intellettuali”, quanto sia stata profonda e devastante la disillusione dopo la stagione “eroica” delle rivolte e dei movimenti. Con questo libro, curato da Gabriella Fenocchio, sembra di tornare per qualche ora al liceo: ci si trova davanti a dei testi poetici, annotati e commentati come se si trattasse di Dante o di Tasso. A

l di là delle polemiche, sempre riemergenti, sul valore poetico della canzone d’autore, è indubbio che Guccini possa essere inserito nel panorama poetico del Novecento italiano. D’altra parte, Guccini è stato ed è un vero scrittore: i testi delle sue canzoni hanno dunque una particolare densità letteraria, sono ricchi di rimandi, di citazioni, di simboli. Guccini ha saputo soprattutto far convivere nei suoi testi la vita quotidiana nei suoi aspetti più spiccioli, assieme ad una spiccata matrice popolare, ed una altrettanto esplicita, persino sfarzosa, letterarietà.

Questa raccolta ci consegna molto di più che semplici aneddoti sulla genesi delle canzoni (aneddoti che pure interesseranno gli appassionati – ad esempio: chi era davvero il frate?). Essa ci svela le architetture (quasi sempre votate alla regolarità) dei testi e, come si diceva, i continui riferimenti ad altri testi poetici più generalmente letterari (Gadda, Montale, Gozzano, per non dire di Leopardi). Allo stesso tempo, questo libro ci mostra quanto coerente sia stato Guccini, quanto abbia saputo resistere davanti alle sirene facili dell’“impegno”: non che manchino nelle canzoni la politica e l’ideologia, ma il cantautore emiliano è riuscito a tenersi alla larga dalle parole d’ordine e dalla retorica dei movimenti più o meno radicali.

Su tutto, dominano la precarietà della vita e delle relazioni, il passare doloroso del tempo, e una vena malinconica, che non significa soltanto nostalgia, ma uno sguardo lucido e disarmante sul mondo. Nell’ultimo Guccini, questa caducità (autunnale o notturna che dir si voglia) esplode: le canzoni diventano occasioni per descrivere le “ultime volte”, gli “ultimi viaggi”; ma sempre, anche nel Guccini più giovane – chissà perché è difficile immaginarsi un Guccini giovane… – la vita appare sempre incompleta e infelice per l’enormità dei sui desideri.

I testi di Guccini non sono mai davvero completi, non finiscono, si lasciano attraversare dal “provvisorio” e lasciano intravedere misteri e ambiguità che non possono chiarire. Sembra sempre che qualcosa di più profondo, e alla fine inesprimibile, potrebbe e dovrebbe essere detto. Le sue parole sono sempre le penultime ed è anche in ciò il loro fascino. 

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