I libri e i soldi. Nel mondo di Thomas Bernhard
di Francesco Paolella
Thomas Bernhard, Peter Hamm, Una conversazione notturna, Portatori d’acqua, Pesaro, 2021, 100 pagine, 11 euro
Per essere onesti, mi sentirei di consigliare particolarmente questo piccolo ma denso libro, che raccoglie una intervista notturna a Thomas Bernhard, soprattutto a chi ancora non conosca bene i suoi libri. Non che manchino spunti interessanti, anzi: come il fatto che Bernhard guidasse la macchina in modo piuttosto spericolato; e non si può dire assolutamente che manchi qui lo spirito tipico di Bernhard, la sua fusione urticante di humor e spaesamento, cattiveria e comicità; ma sarà soprattutto il nuovo lettore che potrà iniziarsi qui a una sintesi dei grandi temi della scrittura bernhardiana (la morte; la ripetizione; l’arbitrio ecc.).
Teniamo anche conto del fatto che Bernhard, leggendo il resoconto di quella intervista (piuttosto alcoolica) della metà degli anni Settanta, la ritenne del tutto insufficiente e inutile. Per questa ragione, essa – pensata come introduzione a una raccolta di saggi a lui dedicati – venne pubblicata solo molti anni dopo. Sicuramente, in queste pagine c’è molto della biografia dello scrittore austrico, delle sue origini tribolate, della sua famiglia problematica, del collegio e delle difficoltà economiche e, per questo, Bernhard dovette aver pensato che fosse meglio lasciare ai suoi stessi libri – ai volumi autobiografici, da L’origine a La cantina a Un bambino – il racconto della sua infanzia, della sua accidentata formazione e della sua “rinascita” come poeta e narratore.
Bernhard, d’altra parte, ha sempre impersonificato – per così dire – il puro spirito di contraddizione; egli è sempre stato come dominato dalla necessità (sicuramente una traccia infantile) di fuggire e di opporsi all’esistente, pur nella consapevolezza che nessun cambiamento avrebbe mai potuto davvero risolvere i guai e lo sfacelo del mondo. Ne ricaviamo l’immagine di un uomo votato all’arte ma quasi senza una vera vocazione artistica; di un uomo votato piuttosto all’instabilità e mosso alla scrittura anzitutto dai bisogni materiali – come nell’episodio in cui, invece che per un racconto, fu ricompensato con pane e denaro per aver pulito una cantina – e dal bisogno di muoversi continuamente e di affermarsi in qualche modo. E ciò, al di là del suo cinismo e della sua (presunta) assenza di compassione, sempre per difendersi dalla spiacevole sensazione di sentirsi esposto, in balia di qualcosa, di una forza e, quindi, in pericolo.
Sempre insoddisfatto e sempre agitato da una curiosità che, sia pur effimera, sa tenere in vita un uomo, Bernhard ha descritto come pochi la prigione in cui siamo rinchiusi e, nonostante abbia scelto di non prendere mai la via dell’impegno diretto, ha riconosciuto e smascherato i vincoli e i meccanismi di potere a cui tutti siamo sottoposti.
“Fin da bambino, ho avuto la sensazione che anch’io potevo, come dire, che anche io ero a rischio, che avrei potuto prendere la strada di un ladro o di un criminale o di un imbroglione. In qualche modo sono sempre stato dalla parte degli accusati, perché per me gli adulti erano comunque dei giudici. Per forza di cose, da bambini si è istintivamente da parte dell’accusato, di colui che viene giudicato e che è in balia del volere dell’autorità o di chiunque detenga il potere” (pagina 55).
A chi si interessi delle “vite degli scrittori”, a chi sia curioso di conoscere il perché e il come dei romanzi, Bernhard sembra quasi dire: tutto sommato, non c’è niente di così importante dietro e in origine ai grandi libri: c’è un uomo come tutti, che ha scelto di scrivere per scuotersi di dosso la polvere e che ha cercato di portare un po’ di vitalità nei libri. Si tratta, ad ogni modo, di un virtù rara:
“La maggior parte degli autori non scrive niente di vitale o di vivo” (pagina 40).