philosophy and social criticism

Miserabili sovversivi

"sovversione"

di Georges Bataille

«L’orrore non è la verità», scrive Georges BatailleCiò nonostante è lì che qualcosa si svela e si rivela delle meccaniche di esclusione/espulsione/coesione/dispendio/controllo sociale. L’orrore è una «possibilità infinita, che ha per solo limite la morte», prosegue l’autore dell’Experience intérieure e La Part maudite. Ma l’uomo «è fatto di un’abiezione possibile, la sua gioia di dolori possibili». È in questo possibile che si colloca dunque l’incapacità, per l’uomo, di immunizzarsi dal contatto con ciò che abietto. E da questa incapacità discendono, per Bataille, non poche conseguenze per ciò che, ancora, chiamiamo “alto”, “basso”, “miserabile”, libero, degno o indegno di essere sperimentato o vissuto. Il testo che presentiamo è tratto da un dittico  sull’abietto e le (sue) forme miserabili. Un testo, due testi – il secondo lo pubblicheremo a breve – che comunicano non poche – anche se elementari – approssimazioni ai  poteri dell’orrore. Ma «l’orrore – appunto – non è la verità». Anche se non necessariamente vale il contrario. (marco dotti)

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La parola sovversione attiene alla suddivisione della società in oppressori e oppressi. Al contempo, questa parola si riferisce a una qualificazione topografica di queste due classi, poste simbolicamente l’una rispetto all’altra come alta e bassa. Sovversione indica un rovesciamento (di tendenza o reale) dei due opposti termini, dove il basso diventa in modo sovversivo l’alto e l’alto diventa il basso. La sovversione impone in tal modo l’abolizione delle regole che fanno da fondamento all’oppressione.

Se schematicamente ci rappresentiamo la sovversione di una società, le parole “oppressori” e “oppressi” non indicano l’insieme degli oppressori e degli oppressi (che corrispondono necessariamente all’insieme sociale) ma solamente quello degli oppressori o degli oppressi per i quali ogni oppressione imposta non viene in linea generale compensata da un’equivalente oppressione patita – e viceversa. I movimenti di attrazione e repulsione che fanno da fondamento alla sovversione si collocano così all’interno della regione eterogenea (l’unica che sfugge al principio della compensazione). La sovversione non ha nella sfera dell’omogeneità che delle ripercussioni, nella misura in cui la stabilità di questa sfera dipende dalle regole generali di oppressione stabilite in una determinata società.

In ultima analisi, gli oppressori devono essere ridotti alla sovranità nella sua forma individuale: al contrario, gli oppressi sono composti dalla massa amorfa e immensa della popolazione infelice. Ma le forze coercitive non esercitano direttamente sugli oppressi la loro azione, accontentandosi di escluderli nella forma della proibizione del contatto. Lo splendore della sovranità non è che la conseguenza di un movimento di avversione che la eleva al di sopra dell’impura massa umana. Lo sfruttamento miserabile è lasciato agli organizzatori della produzione (rappresentanti della società omogenea), in particolare alla polizia, vale a dire a una parte della popolazione essa stessa miserabile. Le profonde divisioni interne dei miserabili sfociano così in un asservimento infinito.

L’elemento di base della sovversione, la popolazione infelice, sfruttata per la produzione e isolata dalla vita per una proibizione di contatto, è rappresentata dal di fuori con disgusto, come feccia del popolo, plebaglia e canale di scolo. Però il disgusto, espresso dalla sovranità che lo vive in maniera profonda e lo comunica alle masse, non è circoscritto a queste banali espressioni. La profonda lacerazione che oppone i diversi aspetti dell’esistenza è meglio rivelata nell’ambiguità della parola miserabile.

La parola miserabile, ossia che induce alla pietà, è diventata ora sinonimo di abietto: ha cessato di sollecitare ipocritamente la pietà per esigere cinicamente l’avversione. Nell’espressione collettiva, “i miserabili”, la coscienza dell’infelicità comincia a deviare dalla sua direzione puramente negativa iniziando a porsi come minaccia. Tuttavia, in linea di massima, nessun atteggiamento positivo né alcuna tendenza attiva giustificano l’espulsione che respinge le vittime della miseria al di fuori della comunità morale. In altre parole, la miseria non impegna la volontà e disgusta sia coloro che la vivono che coloro che la evitano: essa è vissuta esclusivamente come impotenza e non ha accesso a nessuna possibilità di affermazione.

Così esistenza imperativa e abiezione sociale sono ancora in opposizione come attivo e passivo, come volontà e sofferenza (l’esistenza imperativa si confonde esattamente con ciò che viene definito volontà e miseria insieme a sofferenza). L’abiezione di un essere umano è, inoltre, negativa nel senso formale del termine poiché ha all’origine una forma di assenza: è semplicemente l’incapacità di assumere con una forza sufficiente l’atto imperativo di espulsione delle cose abiette (che costituisce il fondamento dell’esistenza collettiva). La sporcizia, il muco al naso, gli insetti parassiti dell’uomo sono sufficienti a rendere ignobile un bambino in tenera età, mentre la sua natura personale non ne è responsabile, responsabile è soltanto l’incuria o l’incapacità di coloro che lo allevano. L’abiezione generale è della stessa natura di quella del bambino, essendo subita per impotenza a causa di determinate condizioni sociali: essa è formalmente distinta dalle perversioni sessuali nelle quali la ricerca volontaria delle cose abiette rivela sovversione.

Il processo di segmentazione della società che separa gli uomini nobili e gli uomini miserabili non è dunque un processo semplice: l’abiezione personale e soprattutto l’abiezione di una classe presuppongono la sottomissione. La proibizione di contatto tramite la quale i nobili consacrano l’abiezione dei miserabili non è che una sanzione conseguente all’alterazione che risulta dalla sottomissione. Nell’insieme, l’atto imperativo di espulsione delle cose abiette è un dato di fatto comune a tutti gli uomini, ma la sua efficacia e il suo rigore variano a seconda delle condizioni sociali a causa della tensione che esso richiede. È facile capire che, oltre una certa mole di lavoro quotidiano, la tensione disponibile è inaridita: non solo le innumerevoli vittime delle malattie fisiche o mentali, ma la maggior parte dei lavoratori si trovano nell’incapacità di reagire con forza contro il sudiciume e la corruzione da cui sono sopraffatti. A causa della sottomissione, la vita della maggior parte degli uomini è situata al di sotto del livello umano di atteggiamento imperativo ed è a giusto titolo che i ricchi insolenti parlano della bestialità dei miserabili: essi hanno sottratto a questi diseredati la possibilità di essere degli uomini.

Così l’abiezione umana deriva dall’incapacità materiale di evitare il contatto delle cose abiette: essa non è che l’abiezione delle cose trasmessa agli uomini che esse toccano.

[traduzione a cura di tysm lab]

tysm literary review

vol. 12, no. 19

september 2014

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