philosophy and social criticism

Il secolo dei mostri

Francesco Paolella

Ecco qui lo spettacolo di un secolo (l’Ottocento), di una cultura (quella romantica) e della loro consacrazione agli incubi, ai mostri, ai demoni, ai vampiri. Arte, letteratura, scienza: l’Ottocento è stato il secolo del troppo alto e del troppo basso, del troppo vicino e del troppo lontano – e agli occhiali sono stati preferiti il telescopio e il microscopio. Ogni passione, ogni eccentricità, ogni anomalia sono stati descritti e sondati, ad amalgamati in rappresentazioni che volevano, appunto,e sempre tenendo assieme gli opposti, mostrare le leggi assurde che governano la vita.

Attraverso i classici – da Hugo a Balzac, da Poe a Manzoni – il libro di Pietrantonio ricostruisce la genealogia di questa cultura dell’eccezionale e del grottesco, la quale ha posto il caos originario (e sempre riemergente) come fonte della creatività. I deliri, i tormenti, le angosce di un mondo, di una cultura, si trasformano nei corpi e nei visi dei personaggi dei romanzi, e lo fanno deformandoli: creano delle maschere che ridisegnano la realtà e divengono le apparizioni delle “malattie morali” che filosofi e psichiatri sono chiamati a studiare e classificare. Questa inesausta clinica del mostruoso e del grottesco è andata a scovare le figure più eccentriche nei sotterranei e nelle chiese gotiche, nei manicomi e nei bagni penali, costruendo una vera teratologia fondata sul crimine, sull’allucinazione e sulle perversioni. A suo modo, la recente, fortunata serie Penny Dreadful (2014-2016) non ha fatto che collezionare tutti i frutti di quelle talentuose immaginazioni ottocentesche.

La medicina, e la psichiatria in particolare, sono state ovviamente vere protagoniste in questo lavoro di deformazione (rivelatrice) del reale. Durante tutto il secolo, e poi oltre, gli alienisti hanno cercato di fissare sulla carta le espressioni caratteristiche di ogni patologia mentale, facendo corrispondere – almeno nelle intenzioni – a ogni diagnosi certi gesti e certe smorfie. Da parte sua, la fisiognomica ha appunto cercato di realizzare un atlante delle passioni umane e delle loro aberrazioni, sempre tenendo presente l’equazione fra ciò che è morboso e ciò che è brutto, e tentando di dare un volto a ciò che rimane oscuro, sfuggente, innominabile.

Il Condannato di Hugo o la Maschera della morte rossa di Poe sono dei modelli di questa vera tecnica autoptica applicata alle morbosità e agli eccessi, i quali connotano, almeno in potenza, ogni passione umana.

L’Ottocento ha visto il crollo – di cui ancora oggi si sente l’eco – del mondo naturale, retto da poteri eterni e sacri: la Rivoluzione e la ghigliottina, con la loro dissacrazione carnevalesca e con la seguente comparsa sul palcoscenico di folle poco meno che “bestiali”, sono i veri mostri che hanno iniziato a contrassegnare tutto il secolo XIX. Il quale è divenuto via via sempre più chiaramente anche il secolo dei sogni, del sonnambulismo, dell’automatismo e di ogni perdita di coscienza, ad esempio dovuta all’assunzione di droghe: con la cultura romantica si è creato uno spazio in cui poter materializzare incubi e ossessioni, e dar libero sfogo a forze prima inespresse.

Questo “realismo onirico” trova nella peste e nella carestia, così come vengono descritte da Manzoni, uno dei punti più alti: torniamo soltanto all’incubo di don Rodrigo, durante la notte in cui quest’ultimo scopra di essere ormai condannato dalla malattia. Manzoni ha saputo mostrare quanto la storia, con i suoi traumi, e anche e soprattutto negli angoli più remoti, possa essere grottesca.

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