Knut Hamsun Center
Clotilde Doni
Il Centro ambisce quindi a presentarsi come un «doppio architettonico» della mente dello scrittore e l’idea attorno alla quale ruotano tanto la biblioteca, quanto il museo è sintetizzata da una frase dello stesso Hamsun: «Costruire un corpo: campo di battaglia di forze invisibili». Inizialmente contestato, attaccato duramente dalla stampa estera e, soprattutto, da quella norvegese il progetto è stato in parte integrato, nel corso degli ultimi dieci anni, con l’intervento di Alf Un punto dolente, questo, mai del tutto affrontato e mai del tutto rimarginato nella cultura norvegese. Sostenitore del pangermanesimo, Hamsun negli anni della vecchiaia si votò, con una certa senile ingenuità (ma senza altre scusanti, va detto), alla causa hitleriana. Emblematica, a questo proposito, una scena del suo incontro con il Führer nel rifugio di Berghof, ampiamente ripresa dai cinegiornali dell’epoca e riproposta anche nel film Hamsun di Jan Troell, girato nel ’96 su sceneggiatura di Per Olov Enquist (Processo a Hamsun, Iperborea, 1996). Hamsun, ricorda Enquist, era un grande scrittore, un grande intellettuale, il problema è che volle giocare anche un ruolo politico e, soprattutto, giocarlo su un palcoscenico che non gli competeva e con attori molto più scaltri e cinici. Un uomo come lui, abituato a vivere in solitudine, figlio di un’epoca romantica, non poteva certo confrontarsi con problemi di geopolitica e strategia. Fu indubbiamente un azzardo che non gli è stato ancora perdonato, lasciando aperte non poche ferite nelle generazioni «giovani» di una nazione altrettanto giovane invasa da Hitler nel ’40 e immediatamente tradita dal suo intellettuale di punta. |
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