La fame non aspetta
Antonin Artaud
Fra il 1932 e il 1934, Antonin Artaud redasse progetti e note per una serie di articoli “di attualità”. Attualità, come via per farsi toccare dalla realtà e dagli eventi. Per riflettere su una crisi che, da sempre, Artaud vedeva collocata su piani altri, rispetto al mero orizzonte economico. Eppure, è proprio di crisi che Artaud ci parla. Quanto meno in questo progetto di articolo. Povertà, miseria – certo –, ma anche crack finanziari e invadenza di uno Stato e di amministrazioni pubbliche capaci di garantire al singolo solo e soltanto la lucidità necessaria per vedersi morire di fame. La crisi della Gillet evocata da Artaud nell’articolo è forse una svista, ma poco importa. Il collasso della banca Veuve Guérin & Fils, terminata con la liquidazione giudiziaria del 25 marzo 1932, provocò una vera e propria ecatombe nell’industria della seta di Lione mettendo a nudo traffici illeciti, illeciti trasferimenti di capitale. E miseria, tanta. Quella miseria nei cui riguardi Artaud assume una postura mai legittimante, mai compiaciuta, mai compassionevole. La miseria è solo una prova che “la carne esiste” e indice di “futuri rovesciamenti”. (Marco Dotti)
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In una società ben costituita, regolarmente concepita e stabilita su basi umane, nessuno dovrebbe poter trarre profitto da un lusso finché, da qualche parte, ci sia ancora un uomo che possa morire di fame. Finché il prezzo di una serata in certi locali notturni può salvare la vita di un’intera famiglia per una settimana, è là che si dovrebbero concentrare tutte le restrizioni.
Lo Stato si mostra esasperante in termini di imposizione fiscale, si precipita nei vostri cassetti e si fa dare i dettagli sui vostri redditi, il montante della cifra dei vostri affari, per pesare, per paralizzare con le imposte affari che fanno vivere migliaia di operai. Perché non gli è possibile immaginare o inventare un altro genere di imposizione, destinata non a prendere soldi dai contribuenti, ma a venire in aiuto dei lavoratori, dei poveracci, di coloro che la misera tiene in scacco e che non sanno come guadagnarsi il pane, perché non si inventa l’imposta della miseria, perché non ha la curiosità di scrutare i mezzi di sussistenza di ciascuno, perché, come esiste un’immatricolazione per il servizio militare, non c’è immatricolazione dei mezzi di sussistenza, perché nessun uomo è tenuto a dichiarare come vive e, se non ha mezzi sufficienti, a confessarlo?
Decongestionare l’Economia, significa semplificarla, filtrare il superfluo, poiché la fame non aspetta. Poco inclini come siamo a occuparci di Economia, è sotto l’aspetto economico e esclusivamente Economico che l’attuale situazione ci colpisce. E lo fa in maniera pressante, angosciante, esige soluzioni rapide e senza ritardi se non vogliamo che gli eventi ci impongano le loro, che saranno soluzioni disastrose, ma decisive. Si pone dunque la questione di sapere se bisogna tentare di orientare gli eventi, precipitandone il ritmo e il senso, o se non converrà casomai lasciar correre, affinché tramite loro si vuoti l’ascesso. E si vuoti una volta per tutto, davvero.
Ci si può affidare al caso per giungere alle soluzioni estreme. Ma non è certo che il caso non guidato faccia fino in fondo e completamente il lavoro, ma un intervento – un intervento è inevitabile e necessario – se vuole essere efficace e decisivo non si potrebbe fare che nel senso di un certo numero di necessità naturali, fiutando gli eventi.
Che la situazione sia grave, angosciante e ancor più che angosciante minacciosa non lo negherà nessuno. E non dipende forse nemmeno più da noi se, dall’oggi al domani, diverrà catastrofica. Qualunque cosa accada, ci sono alcuni fatti elementari che è necessario che tutti comprendano, per ridurre o anticipare il disastro , in questo caso e farlo evolvere in un senso favorevole e efficace, e in ogni caso per trarne miglior partito.
Sappiamo che al termine di questo anno, in tutta la Francia i salari sono stati ridotti del 10 o del 20%.
In questa notte di fine anno, mentre nemmeno osiamo più sperare che quello nuovo proceda con meno fiacchezza del precedente, sappiamo però che la maggior parte dei teatri parigini ha registrato incassi che possono annoverarsi tra i peggiori dell’annata, e i cinema hanno visto ridursi in proporzione di 6 a 1 gli incassi, rispetto al Natale e al veglione dello scorso anno.
Otto giorni fa, Gillet, il principale industriale serico di Lione, la cui azienda aveva più di un secolo, è affondato. Accusando una perdita di un miliardo, ha messo sul lastrico più di tremila operai.
Lo Stato non dà sussidi di disoccupazione, ma le municipalità, che non vogliono far morire di fame i trecentomila disoccupati della regione parigina, prendono da casse di soccorso tirate in piedi frettolosamente una somma che varia da 6 a 8 franchi giornalieri da dare a ogni disoccupato, che per quanto tenga magari solo un po’ di famiglia, con questa somma ha però di che conservare le forze per vedersi lucidamente morire di fame.
Questa la situazione come si presenta ai non prevenuti e ignoranti. Ma questi elementi sono insufficienti per sollevare, davanti a occhi che non hanno paura di guardare in faccia la verità, il quadro precursore di immensi, inevitabili e senza dubbio salutari, perché necessari, ribaltamenti.
Tesaurizzare la fame.
[trad. M. D.]
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tysm literary review, Vol 7, No. 11, January 2014
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