La psicoterapia di Dio
di Francesco Paolella
Boris Cyrulnik, Psicoterapia di Dioio, Bollati Boringhieri, Torino 2018
È abbastanza intuitivo il fatto che la fede religiosa possa essere un potente fattore di resilienza, un semplice tranquillante talora, o piuttosto uno strumento efficace per combattere l’angoscia, il senso del vuoto, la perdita di senso. Allo stesso tempo, la religione – ogni religione – è un freno, per molti uomini necessario, alla libertà con i suoi eccessi e, talvolta, al caos che può affacciarsi, sempre minaccioso, nella vita dei singoli e delle società. Insomma, ci si attacca a Dio, alle sue regole, ai suoi divieti incomprensibili, per trovare pace e, soprattutto, ordine.
Specialmente nei periodi di crisi (individuale o collettiva) la religione – e dobbiamo intendere con questo termine uno spettro ampissimo che si muove tra le forme estreme della spiritualità e quelle più prosaiche dei riti e delle cerimonie – riesce a soddisfare bisogni essenziali degli uomini: vincola a una identità, fa crescere il senso di appartenenza o addirittura di privilegio. Ovviamente, i rischi non tardano a manifestarsi: chiusura, intolleranza, aridità, violenza persino. Ma ciò che è certo è che «la religione soddisfa una piramide di bisogni: anzitutto cognitivi, poi emotivi, e infine relazionali e morali» (p. 126).
Di questo si occupa il neuropsichiatra francese Boris Cyrulnik in Psicoterapia di Dio. Vi ritroviamo mille e mille esempi di quanto, agli occhi della psichiatria e delle neuroscienze, i fenomeni religiosi, nella loro cruda realtà, siano costitutivi di una parte essenziale della personalità umana. Quando si parla di “scoperta” del divino nell’infanzia, oppure di conversioni più o meno improvvise e scandalose, è anzitutto il funzionamento del nostro cervello a modificarsi.
Dio è riposto nella nostra memoria più antica: l’infanzia è forse il momento della vita in cui si è più sensibili alla dimensione spirituale, e non si tratta semplicemente di una credulità ingenua: la nostra mente impara nei primi anni, anche attraverso il religioso, che cosa sia l’appartenenza, quanto le regole siano rassicuranti e quanto persino i divieti e le punizioni possano essere fonte di felicità. Davvero il Dio che ci portiamo dentro deriva dal mondo mentale, dalla cultura, dalla sensibilità di chi abbiamo amato, di un padre e di una madre.
È molto interessante questo tentativo di Cyrulnik di tenere assieme l’alto e il basso, l’astrazione e la materialità, confondendoli nelle diverse fasi della vita di una persona. D’altra parte, la religione si occupa soprattutto dell’al di qua, dei rapporti (sessuali, affettivi, economici) fra gli uomini ed è il tentativo, sempre un po’ invadente, di reagire all’orrore del nulla.
La religione ha soprattutto a che fare con le emozioni più forti che possiamo provare vivendo. Di più, «la fede religiosa è dunque un fenomeno adattivo biologico, affettivo, sociale e culturale che offre immensi vantaggi di socializzazione» (p. 44). E da ciò non può che venire la domanda: con cosa potremo sostituire la religione per non perdere molto nella nostra vita?
Si dice spesso, fino alla noia, che siamo costretti a vivere in un mondo disincantato, cinico, votato all’edonismo più soddisfatto e idiota. Eppure, il XXI secolo potrebbe diventare il secolo della scoperta di una nuova religiosità, persino atea se si vuole, votata a un inedito umanitarismo e attenta alle infinità potenzialità della spiritualità umana.
Oltre le facili consolazioni delle preghiere e delle purificazioni, oltre i sotterfugi della superstizione contro la paura della morte, potrebbe forse aprirsi una nuova epoca spirituale, un nuovo Medioevo: è normale, del resto, che ai periodi di caos e di disordine ne seguano altri di conservazione e concentrazione, così come dopo gli eccessi democratici – come insegnava il filosofo – compare di solito un tiranno, crudele e salutare.
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