La strage impunita
Mimmo Franzinelli
La sentenza assolutoria era intuibile dalla lettura della ponderosa Memoria del Pubblico ministero: 1223 pagine, nelle quali c’è troppo e troppo poco. Una ricostruzione sovrabbondante, talvolta dietrologica, che non è riuscita a scindere la tanta zavorra dagli elementi pregnanti e sicuramente riconducibili alla matrice stragista bresciana. Si è sostanzialmente costruito il processo sul castello accusatorio di Maurizio Tramonte (fonte Tritone), l’infido affiliato al servizio segreto militare premiato a lungo con laute prebende quale collaboratore di giustizia e beneficiato oggi con la prescrizione dal reato di calunnia.
Sulla scia del fallimento giudiziario dello Stato, la destra radicale ritroverà l’impudenza per negare verosimiglianza alle piste nere e i suoi volonterosi esponenti (talvolta con un passato di ultrasinistri) confonderanno le carte, rivendicheranno la buona fede e l’innocenza di chi aveva a cuore i valori della Nazione e dell’Occidente. A questa prevedibile deriva bisogna contrapporre l’esercizio della ragione, l’uso critico della storia, l’interpretazione delle fonti – a partire da quelle giudiziarie – e l’analisi delle dinamiche che portarono al connubio tra neofascisti e vertici dei servizi segreti, con sponde politiche di rilievo.
Chi visse il 28 maggio 1974 come un proprio lutto ha ben vivo il ricordo di quel giorno e constata come la sentenza riproponga lo snodo irrisolto della giustizia negata, anno dopo anno, per 36 volte. Riviviamo lo strazio dei corpi, delle menti e degli affetti dei cittadini che parteciparono a una manifestazione libera e pacifica, per testimoniare la convivenza pacifica e chiedere allo Stato un argine contro la violenza fascista. A quello Stato che allora non li difese e che oggi non ha reso loro giustizia.
[da il manifesto, 17 novembre 2010]
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