philosophy and social criticism

La stupidità fatta sistema. Nota su Bernard Stiegler

In un suo noto saggio, Robert Musil osservava che la stupidità è oramai a tal punto compenetrata nelle forme «alte» del nostro sapere, da renderla assolutamente inseparabile dall’intelligenza che la produce. Musil poteva così parimenti parlare di «stupidità intelligente» e di intelligenza stupida, mostrando non solo l’ambivalenza del problema ma, chiamiamola così, la sua natura di pharmakon, di rimedio e male al tempo stesso.

Si può criticare la stupidità, sottoponendola a una «farmacologia negativa» che ne denunci gli aspetti tossici, ma la si può anche anticipare, con una «farmacologia positiva» che non opponga semplicemente resistenza, ma riesca in qualche modo a inventare forme nuove per quell’intelligenza che proprio in un contesto di betîse generalizzata può comunque nascere. Se è impossibile, d’altronde, aggirare la stupidità dei singoli – soprattutto la propria, questo già Gustave Flaubert l’aveva capito – essendo questa in fin dei conti un destino, qualcosa si potrebbe pur dire e fare contro una stupidità che assunta a norma che conduce a quel regresso della ragione di cui già nel 1944 parlavano Adorno e Horkeimer, nella loro Dialettica dell’illuminismo.

Oggi, osserva Bernard Stiegler nel suo lavoro Etats de choc. Bêtise et savoir au XXIè siècle, (Mille et une nuits, Paris 2012), certamente e con buone ragioni, dovremmo prima di tutto cominciare a trattare il tema della stupidità sistemica. Abbiamo governi di tecnici, di professori, intere università votate a un sapere contabilistico e utile alla sola manutenzione del denaro. Interi sistemi di compromissione, dove persino l’intelligenza più alta – Kant, Marx, Hegel – può divenire strumento di rimbambimento collettivo.

La posta in gioco è alta, ma non di meno resta la questione su come sia stato possibile un simile intreccio tra stupidità e saperi. Stupidità sistemica non significa, nell’intuizione di Stiegler, semplice sfruttamento sistematico della betîse da parte del sovrano, il che presupporrebbe che tutta l’intelligenza stia dalla parte del secondo e tutta la stupidità dalla parte dello sfruttato. Sappiamo dai rapporti di forza, ahinoi, che quasi mai è così. I rapporti tra la «bête et le souverain» – per citare La Bestia e il sovrano (Jaca Book), l’ultimo corso di Jacques Derrida che, con le riflessioni sull’animalità di Deleuze, ha buona parte nel discorso di Stiegler – sono meno lineari e, di conseguenza, ben più complessi di quanto sia la fisionomia della bestia, sia l’abito lindo del sovrano lascerebbero credere.

Nel lemmario di Ars industrialis, l’associazione di ricerca «pour une politique industrielle des technologies de l’esprit» fondata nel 2005 dallo stesso Stiegler, alla voce bêtise si legge: « bêtise è ciò che ci fa vergognare di essere uomini. Ciò che appare nuovo non è né la bêtise, né il tema della bêtise (si ricordi Flaubert), mais la bêtise sistemica come frutto di uno psicopotere che chiamiamo telecrazia.

L’intelligenza è il primo prodotto della stupidità che ci costringe a pensare, a lottare contro di essa. L’intelligenza è ciò che ci eleva. La filosofia contemporanea sembra essere d’accordo sul carattere originariamente artificiale e esterno dell’intelligenza umana.

Questo è un altro modo di dire che l’intelligenza individuale non esiste, nel senso che lo psichico è sempre supportato da condizioni socio-tecniche, che sono l’ambiente in cui l’intelligenza si sviluppa. Detto altrimenti, l’intelligenza è ciò che permette di collegare (inter-legere) gli individui disaffettati». Individui sconnessi tra loro e da loro stessi, privati di sapere e potere, vittime della miseria simbolica nata dal combinato disposto – lo «choc» di cui si fa questione nel titolo del libro – tra saturazione cognitiva e sollecitazione affettiva.

L’ipersollecitazione dell’attenzione e dei sensi, è noto, provoca perdita di attenzione e insensibilità, «proprio come la saturazione automobilistica produce immobilità e paralisi urbana, quando invece l’automobile sarebbe fatta per aumentare la mobilità e la velocità». La società odierna non ha tanto interesse verso il consenso, quanto verso l’attenzione. I suoi apparati sono di cattura, non di mero controllo.

Parlando di «psicopotere», Stiegler parla dunque di un apparato di cattura dell’attenzione, sviluppatosi attraverso i contesti di dissociazione resi possibili dalle nuove tecnologie. Per questo, Stiegler può ricordare che lo psicopotere distrugge il tempo pubblico, non meno dello spazio, dissocia, colpisce «il sociale inteso come philia». Lo «imbestialisce», nel senso che proprio nel punto della sua massima intelligenza – le nuove tecnologie – lo sottopone a continui choc di bêtise. È proprio il nesso di complicazione tra intelligenza e stupidità a interessare Stiegler che, non a caso, propone una farmacologia della bêtise.

In senso lato, la farmacologia è per Stiegler un ambito di studio dove sondare sul campo gli effetti generati dalle tecniche e dall’incuria, altra parola chiave, nel vocabolario del filosofo francese, direttore dell’Institut de recherche et d’innovation del Centre Pompidou. Come nel rapporto tra stupidità e intelligenza, l’incuria cresce proprio nel momento di massima medicalizzazione dell’esistenza, quando la cura non è più compresa come tecnica del sé, ma come un insieme di procedure, dispositivi e processi di cui non possediamo né gli strumenti, né le chiavi.

È un’altra fase di quell’espropriazione, già descritta in Reincantare il mondo. Il valore spirito contro il populismo industriale (Orthotes, Salerno 2012→ qui), libro del 2006 propostoal pubblico italiano da Paolo Vignolacon  cura e un’intervista all’autore, da parte di un capitalismo ipertrofico e tossico e che nella sua variante consumistica, inquadrata in un’economia libidinale, sembra oramai giunto al fine corsa, avendo oramai esaurito ogni desiderio e coltivando come unica risorsa l’autodistruzione e lo shock.

Se il capitalista weberiano poteva sperare di avere uno spirito che gli si rivelasse in un istante di grazia, il post capitalista finanziario dei nostri giorni, liberatosi dalla pretese dello spirito, si è interamente votato alla disgrazia intramondana. L’intelligenza è il suo alibi, la stupidità la sua gabbia d’acciaio.

[da il manifesto, 1 settembre 2012]

TYSM REVIEW

VOL. 24, ISSUE NO. 24

MAY 2015

ISSN: 2037-0857

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