philosophy and social criticism

L’altro non è abbastanza. Enfasi e misconoscimento della differenza

Comunità Monastica di Camaldoli

23-25 aprile 2010

altro

Programma

sabato 24 aprile

09. 30 Florinda Cambria
Università dell’Aquila
Marco Dotti,
Tysm.org; Università di Pavia
Segue dibattito
15. 30 Gian Mario Villalta
Poeta, critico e romanziere
Ignazio Licata
Fisico teorico – ISEM Institute for Scientific
Methodology Palermo
Segue dibattito
21. 00 Proiezione film

domenica 25 aprile

09. 30 Conclusioni
Giorgio Bonaccorso
Teologo – Istituto di Liturgia Pastorale di Padova
Adone Branda lise
Teoria della letteratura – Università di Padova

Nella parte finale del Requiem di Anna Achmatova, che ha per oggetto i
mesi trascorsi dalla stessa davanti ai cancelli del carcere Kresty, dov’era
detenuto il figlio, la decisiva spinta a scrivere non è data dall’urgenza
dell’argomento, ma dalla domanda di una sconosciuta: «Allora una donna
(…) che, sicuramente, non aveva mai sentito il mio nome (…) mi domandò in
un orecchio (…): – Ma questo lei può descriverlo?». Perché Anna Achmatova
possa dedicare il Requiem a suo figlio è necessaria la parola dell’altro. Ma
come evitare che il doloroso rituale quotidiano di quelle donne rimanga
sepolto dietro il nome di una sola di loro? Serve che la Achmatova cancelli
le distanze fra lei e quelle donne, sottraendosi a se stessa.
L’azione diventa fondativa solo se preceduta da una rinuncia; è quanto
avviene nei vangeli: si pensi all’imperativo di Gesù di lasciare tutto e
seguirlo, o si pensi a quel teatro in cui l’attore, dopo aver creato una sua
identità, lasciando quella che aveva (o credeva di avere), si metterà a servizio
dell’altro. Il prologo di Giovanni, ci dice che la pietra su cui poggia
il Vangelo è quella del dia-logos, della relazione. Grotowsky conferma che
ogni atto creativo è preceduto e seguito dalla relazione.
Per entrambe le visioni emerge inevitabilmente il problema della comunità
come rispetto per il munus e per la cura dell’altro. Ma anche quando
l’azione non è diretta all’esterno l’azione non smette di esprimere un legame
con l’altro: «l’altro è costantemente presente, la radice comune è lo
“stare presso…” nei modi dell’accoglienza e del rifiuto» (G. Bonaccorso),
consapevoli che queste stesse azioni convogliano in sé presenza e assenza,
accoglienza e rifiuto, dono e rinuncia, in un confine in cui gli opposti
spesso finiscono per sovrapporsi. Il rischio, infatti, è quello di ritrovarsi in
una zona grigia in cui è difficile definire se la relazione ha la natura dello
scambio o l’altro non è che un giro di boa che ci riporta a noi, al rafforzamento
della nostra identità. Nell’esempio della morte di Cristo, nella
quale non vi è alcuna appropriazione, ma una diminuzione, una perdita
– prendere equivale a perdere, condividendo la sorte del servo. Prendere
parte come perdersi è speculare alla condizione di Anna Achmatova; è
adiacente alla ricerca dell’attore, ed è la scelta necessaria a chi si prende
cura della cosa pubblica. Nemmeno un passo in avanti -né in nessuna
altra direzione- è insomma possibile se non nella considerazione dell’altro
e nella problematica delle continue aporie che l’enfasi o la sua sottovalutazione
comportano. Insomma: abbiamo nelle nostre corde la possibilità
di un’azione che non passi attraverso l’altro? Esiste una condizione in cui
l’altro non sia abbastanza?
Sebastiano Gatto