philosophy and social criticism

Loki

"Loki"

Di Ugo Bianchi

«Ami ou ennemi des dieux, confident ingénieux ou redoutable farceur, Loki s’ébat à son aise dans la petite mythologie: il semble qu’il est là chez lui. Et puis, brusquement, dans certain mythes, il prend une valeur et une ampleur énormes, presque cosmiques: … ce deuxième Loki est sans commute mesure aver le gobelin que présentent tant de récits drólatiques». [1]

Queste parole di G. Dumézil ci presentano in maniera felice un altro ben noto personaggio, nel quale riconosciamo a prima vista una figura a noi familiare: un “riconoscimento” che è confermato dai fatti, cioè dell’analisi del materiale mitologico relativo.

L’indagine su Loki, uno dei personaggi più enigmatici della mitologia germanica, deve molto al Dumézil. Contro gli eccessi della critica e della ipercritica lo studioso francese ha difeso validamente l’unitarietà, l’autenticità della apparentemente contraddittoria figura del beffardo ribelle; e poi ha impostato una questione comparativa che ha sottratto Loki al suo isolamento, rendendo più difficili le vivisezioni, le amputazioni cui la critica l’ha volentieri assoggettato, nella elaborazione di teorie sul fieri della sua figura.

Il mito più noto a proposito di Loki è il mito della morte di Baldr.[2] Esso è in certo modo il mito finale del cielo: quello che si conclude con la grande punizione del criminale, che ha fatto uccidere il più bello e il più saggio tra gli dei, e che ha reso impossibile il suo riscatto dagli Inferi. Dopo questa punizione non c’è che la grande attesa escatologica: al crepuscolo degli dei, Loki avrà la sua parte nella schiera mostruosa che annienterà il mondo.

La figura del gran criminale è, nel mito di Baldr, circonfusa di tragicità: Baldr, reso invulnerabile, può essere ferito solo da un ramo di vischio; Loki ha conosciuto il segreto con una astuzia trasformistica, e provoca l’uccisione di Baldr tramite il cieco Hödhr. Poi compie un atto più sconcertante del primo: quando Hel, il signore dell’inferno, ha ormai acconsentito a rilasciare Baldr nel caso che tutti gli esseri del mondo siano unanimi nel pianto per lui, e quando tutti gli esseri hanno versato il loro pianto, come avviene allorché la natura, al disgelo, unanimemente lagrima, solo una gigantessa, nel fondo d’una caverna, rifiuta le sue lagrime: ed è Loki.

Loki agisce contro Baldr senza motivazione e con inesorabile costanza: e il risultato della sua opera è la morte del dio e il rifiuto al suo ritorno sulla terra.

Non diverso, da questo punto di vista, è l’agire di un altro essere sconcertante, il Coyote: in un mito californiano, che non è tra quelli che abbiamo citato a suo tempo, il Coyote fa introdurre la morte nel mondo: e, in contraddizione con altre proposte tendenti ad assicurare il ritorno dell’uomo morto alla vita, egli ha la risposta definitiva: «Morti, siano morti. Se uno muore, lo si piangerà». Un primo uomo muore, mentre tutta la gente è chiusa dentro la dimora invernale. Coyote non dice nulla. Ma quando l’uomo è sepolto, e la fossa comincia a muoversi e il morto a levarsi, Coyote gli balza addosso e lo calpesta: «Perché vuoi rivivere? Muori». E questa volta è finita davvero. «Ora piangete, conclude Coyote, è morto, non lo rivedremo più». [3] Tra i due caratteri c’è qualcosa in comune; se nell’agire di Coyote c’è una motivazione (il sovraffollamento della terra), il tratto fondamentale è la protervia: quella stessa, immotivata e crudele, di Loki.

Vero è che il mito di Baldr concerne solamente la morte di questo personaggio, e non il genere umano come collettività; in questo senso il mito ripete una nota tipologia eroica: l’incidente che porta alla morte di Baldr è il sabotaggio di una condizione che avrebbe implicato l’immortalità magari dell’eroe.

Ma nei limiti in cui è lecita un’interpretazione cosmica – o azione naturistica – del mito di Baldr (le lagrime dell’intera natura!), l’azione di Loki assume anch’essa una altrettanto grandiosa e universale tragicità. Ma Loki non è sempre così; egli sa rendersi utile, o si fa costringere a rendersi utile. Altra volta giunca dei brutti tiri per cavarsi d’impaccio, e non va tanto per il sottile, a costo di portare alla rovina gli dei; ma in altra occasione egli è solidale con questi, e riesce a salvarli; infido, ma indispensabile, egli è in definitiva un isolato.

Lo vediamo nel mito di Thjazi, il gigante, nelle circostanze e negli atteggiamenti più contraddittori. [4] Irato contro un’aquila che ha giocato un brutto tiro a lui e agli dèi suoi compagni, in occasione della divisione di un bue, egli la colpisce, ma viene ridicolmente sollevato insieme al bastone attraverso l’aria, e geme pietosamente. Per essere riportato a terra salvo deve consegnare Idhunn, con i suoi pomi, la dea che assicura agli Asi la perenne giovinezza. Un’altra volta in cattive acque, deve promettere agli dèi di liberare Idhunn, il che egli realizza con l’aiuto delle penne di falco di Freyja. Giunto ove è Idhunn, la trasforma in noce e fugge; all’inseguitore male incoglie.

Il tema dell’uccello che fugge, dopo aver rapito (o, nel caso, recuperato) un bene culturale o necessario alla vita (Idhunn “trasformata” in noce), è familiare ai miti dell’eroe culturale e trickster. A ben guardare, il ruolo di Loki in questo mito non si esaurisce dunque in una pura avventurosa peripezia, ma ha una ampiezza cosmica, anche se il mito attuale in certo modo la dissimula (ma fino a un certo punto: giacché è esplicita la dichiarazione che gli dèi sono preda del decadimento, finché Idhunn è lontana). E come nel caso dei miti del demiurgo-trickster, qui Loki non agisce tanto per il bene della collettività degli dèi, quanto per salvare se stesso dalla loro vendetta.

Ma il tema cosmico-demiurgico in rapporto a Loki compare, benché dissimulato dietro una tematica più consueta, anche in un racconto concernente un’altra trasformistica prodezza di Loki: un gigante ha avuto l’incarico di costruire un munitissimo castello atto alla difesa dagli assalti dei nemici degli dèi: per consiglio di Loki, gli vengono promesse come mercede le nozze di Freyja, il sole e la luna. Quando l’adempimento della promessa si fa imminente, gli dèi si rendono conto del grave errore commesso. [5] Si individua il colpevole del cattivo consiglio e lo si obbliga a riparare. Con un’astuzia e con il ricorso al suo trasformismo animale, Loki riesce a sabotare il compimento dell’opera da parte del gigante nel tempo stabilito, finché il gigante medesimo viene annientato da Thorr. Praticamente, Loki ha liberato non solo Freyja dalle aborrite nozze, ma anche il sole e la luna dal gigante che intendeva appropriarsene togliendoli dal loro posto nel cielo.[6]

Il mito termina con una sconcertante trasformazione di Loki, che gli permette di dare alla luce il famoso cavallo Sleipnir. (Altri parti mostruosi di Loki sono altrimenti noti). A completamento della descrizione del suo carattere aggiungeremo che altrove egli è presto di mano, colpitore infallibile, burlatone, scommettitore; ma qualche volta gli va male ed è punito severamente; fino alla punizione finale cui sopra si accennava, quando, dopo il rifiuto al ritorno di Baldr, invano tenta, trasformato in salmone, di sfuggire alla presa di Thorr che lo afferra per la coda (con annessa eziologia sulla forma della coda del salmone).

Nel folklore nordico il carattere di Loki appare in piena luce. Egli viene a soccorrere gente che si trova nei guai per colpa dei giganti (contro i quali – come si è visto – egli è frequentemente in lotta anche nella mitologia), altra volta gioca dei tiri a un gigante che l’ha preso come servo, altra volta sembra invece che la sua storditaggine sia proverbiale. Riesce a far gridare alla menzogna attraverso una serie di assurdità che egli versatilmente inventa, e la menzogna è anche detta «consiglio di Loki»; altrove le «storie di Lokke» sono le menzogne.

In conclusione, molti tratti tipici appartengono alla figura di Loki. Una visione panoramica della quale possiamo ricavare ancora una volta dall’analisi del Dumézil:

“Loki est ‘compté avec les Ases’ sans en étre exactement; il vìt avec eux et il est dit à l’occasion “l’Ase qui s’appelle Loki”, “L’Ase malin”, etc… Non seulement il est, physiquement, de petite taille, mais son parentage ne le relie à aucun des Ases; d’Odhinn, il n’est que le `frère de serment’; de son père, de sa mère, de ses frères, nous ne savons que les noms qui, malgré l’obscurité de la plupart, signalent une famille singulière et son père est qualifié de “géant”… Il a des rapports particuliers avec le monde d’en bas, avec le dessous de la terre… Seul des Ases, il a un don inquiétant de metamarphose… Il a un penchant particulier pour les métamorphoses en femme ou femelle… Il est ingénieux, inventif, mais il ne voit pas loin: tout à l’impulsion ou à l’imagination ou d la passion du moment, il est surpris par les suites de ses acts, qu’it tache aussitot de réparer. [7] Il est outrecuidant et vantard. Il a une curiosité insatiable… Il circule plus facile-ment et plus volontiers que les autres Ases… Il est foncièrement amano1. Il n’a aucun sentiment de sa dignité… I1 se met dans des postures ou des situations ridicules… Il est menteur, non seulement pour se sauver ou sauver les Ases…, mais pour le plaisir. Il est pervers et ne résiste pas à 1’idée de méchantes farces… Il est mauvais jouer, déloyal dans les concours. Tout cela finit dramatiquement: chez Aegir, ou contre Baldr, il se durcit, il fait le mal, le grand mal, gratuitement, impitoyablement, itérativement, jusqu’au boat, – sans s’occuper des fàcheuses répercussions que cela aura sur lui…» . [8]

NOTE

[1] G. Dumézil, Loki, Paris 1948, p. 18 s.

[2] La fonte principale è l’Edda di Snorri (Gylfagirnning, cap, 33-35), per cui cfr.. la trad. di Dumézil, op. cit., p. 50 ss., ove sono raccolte anche le altre fonti, tra cui Volospu, str. 31-35 (trad. ital. di C. A. Mastrelli, L’Edda, Carmi Norreni, Firenze 1951, p. 5 s.).

[3] E. Sapir, Yana. Texts, “Univ. of California Publicat. in Amer. Archaeology and Ethnology”, IX, 1, p. 91.

[4] Nella Haustlöng, str. 1-13 e in Snorri (Skaldskaparmal, cap.

[5] In Snorri (Gylfaginning, cap. 25: Dumézil, op. cit., p. 28 ss.) e già nella Volospa, str. 25 s. (Mastrelli, op. cit., p. 4).

[6] Anzi, il testo della Volospa (nota precedente) sembra già presentare il fatto come avvenuta: «chi avesse infestato tutta l’aria, o dato alla stirpe dei giganti la sposa di Odh» (str. 25). Per “infestare tutta l’aria” si intende “toglierne i due astri “: cfr. Snorri, l. c..: «chi avesse consigliata… di guastare l’aria e il cielo al punto di toglierne il sole e la luna per darli ai giganti».

[7] Il corsivo è mio.

[8] Op. cit., p. 165 ss.

[Tratto da Il dualismo religioso. Saggio storico ed etnologico, II edizione riveduta, Edizioni dell’Ateneo, Roma 1983, Appendice, pp. 194-197; I edizione: 1952, ]

TYSM LITERARY REVIEW

VOL. 18, ISSUE NO. 22

FEBRUARY 2015

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