LSD, una sostanza sovversiva
Francesco Paolella
Teniamo lontana da noi l’idea per la quale parlare di LSD e di psichedelia, seguirne la storia tutta novecentesca (la nascita risale al 1943), significhi limitarsi nel mondo ormai scomparso della controcultura, dei viaggi in California, in Messico o in India, delle estasi e delle rinascite.
No: siamo invece nel campo di una vera emergenza, e non in senso per forza negativo. Dopo anni, anzi decenni di ostracismo (anzitutto culturale) e di un proibizionismo pressoché totale, negli ultimissimi anni si è potuto assistere a una riscoperta dell’LSD, dei suoi possibili usi terapeutici ma, più in generale, dei suoi possibili usi per la ricerca nel campo delle neuroscienze. Sullo sfondo, 70 anni fa come oggi, riemerge in fondo sempre la stessa domanda, fondamentale: che cosa è la nostra coscienza? E la somministrazione di sostanza allucinogene può aiutarci a comprenderne i meccanismi? Pensiamo soltanto ai contatti fra questo tema e quello, altrettanto promettente, della intelligenza artificiale. Ci troviamo forse sulla soglia di un tempo di scoperte e invenzioni davvero epocali: possiamo dire che l’attuale, recentissimo “rinascimento psichedelico” – ormai del tutto sottoposto ai rigori della sperimentazione e delle evidenze scientifiche – potrà insegnarci molto e aiutare molte persone variamente vittime di malattie (psichiatriche e neurologiche, ma non solo) e di dipendenze (dall’alcol al tabacco).
Non che cautele e pregiudizi (non tutti campati in aria, a dire il vero) siano del tutto scomparsi, anzi: rimangono – specie nell’accademia – molte resistenze ad ammettere l’utilizzabilità di LSD e di sostanze simili. Dopo una prima, caotica diffusione a partire dagli anni Cinquanta – che ha visto tanti utilizzatori celebri, da Cary Grant ad Aldous Huxley –, a partire dalla seconda metà del decennio successivo si è imposto un globale rifiuto degli allucinogeni, tanto a scopi personali quanto a scopi scientifici. C’è stata, per usare le parole dell’autrice, una vera e propria “isteria antipsichedelica”: le opinioni pubbliche occidentali (e quella degli stessi scienziati in particolare) si sono presto convinte della intrinseca pericolosità sociale di sostanze di questo tipo (cosa non del tutto infondata, lo ripetiamo), ma ciò ha comportato anche la cancellazione di ogni tipo di ricerca per decenni interi. Il proibizionismo, arrivato in USA nel 1967, ha impedito scoperte, ad esempio, sui benefici terapeutici dell’LSD sui malati terminali, nei casi di grave depressione, e con risultati assai migliori di quelli permessi dai narcotici.
LSD significa, in sostanza, rottura delle barriere fra sé e il mondo e può comportare una vera ridefinizione dei rapporti fra la propria anima e il proprio corpo. Si tratta di una rottura momentanea, ma che può avere effetti duraturi nel tempo, fino a rivoluzionare una intera esistenza, tanto che si può parlare di conversione in un certo senso. Anche per questo, permane qui un ineliminabile alone spirituale (che spesso può deviare verso il misticismo), il quale, sicuramente, ha aumentato la ritrosia del mondo scientifico ad ammetterne la sperimentazione.
D’altra parte, sono innegabili le potenzialità che una mente a cui sia somministrato LSD pare acquistare, liberandosi di cortocircuiti, fissazioni e traumi. Pare soprattutto sapersi rapportare in modo nuovo e creativo alle proprie idee, e all’idea stessa di vita e di morte. Come se fosse, appunto, davvero una conversione, permessa da un aumento vertiginoso della lucidità.
[cite]
tysm review
philosophy and social criticism
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