philosophy and social criticism

L’ultimo papa che sia nato in Europa

di Francesco Paolella

Giulio Meotti, L’ultimo papa d’Occidente?, Liberilibri, Macerata, 2020

Per l’Europa si aggira uno spettro, di cui nessuno ormai si occupa, se non pochi nostalgici conservatori: il cristianesimo. È uno spettro che si muove ed appare in una casa abitata da gente che non crede ai fantasmi e che, quindi, non può più far paura a nessuno. Nessuno lo teme, qualcuno magari lo rimpiange, sia dentro sia fuori dalle chiese cristiane e dalla Chiesa cattolica in particolare.

L’uscita di scena (più una espulsione che una dimissione, a ripensarci oggi) di Benedetto XVI, con quella sede rimasta vacante, ha segnato probabilmente un punto di non ritorno, una vera rottura fra vecchio e nuovo Occidente: un Occidente ormai compiutamente (ma non orgogliosamente) scristianizzato ed assolutamente integrato in un sistema ipercaotico ed iperefficiente allo stesso tempo – l’attuale pandemia non fa che mostrarcelo continuamente. La crisi irreversibile delle ideologie (di quella marxista, di quella liberale come di quella democratica) non fa che acuire questa perdita. Le nostre società pensano di poter vivere senza fondarsi: ciò che resta, in un contesto ancora di benessere e di completa individualizzazione, è un caos razionalizzato, una età barbara, di cui non è possibile intuire gli sviluppi anche prossimi, ma che – possiamo già dire – non sarà molto probabilmente un nuovo Medioevo, il tempo di una nuova scoperta spirituale.
Benedetto XVI ha tentato disperatamente di tenere ancorata l’Europa al cristianesimo: non soltanto alle famose radici giudaico-cristiane, ma alla sopravvivenza stessa di una possibile metafisica. Quel tentativo è fallito e, con esso, la Chiesa cattolica, incamminata sempre più velocemente verso la marginalità o, addirittura, verso la completa sparizione da intere regioni, pare aver scelto un’altra strada: quella del proprio adeguamento ai bisogni del mondo, trasformandosi in un grande istituto di assistenza sociale. Le chiese, laddove esisteranno ancora, sono destinate a restare dei reliquiari o, al massimo, delle mete turistiche. Nel giro di qualche generazione (o forse meno) esploderà la natura geriatrica delle chiese cristiane. Questo declino, pressoché inevitabile, è stato ed è l’ossessione di Joseph Ratzinger.

Questo libro di Giulio Meotti, che è un giornalista de “Il Foglio”, non fa che ribadire in ogni pagina i contenuti di questa ossessione (e del pessimismo che l’ha sempre accompagnata). Nella disintegrazione della fede, in un quadro che tende ai toni dell’apocalittico, la voce di Ratzinger (davvero vox clamantis in deserto) può – come giustamente sottolinea Meotti – essere accostata a quelli di altri profeti, che, pur da posizioni molto distanti, hanno ribadito negli ultimi decenni le conseguenze nefaste di questa disfatta, di questo scollamento: Solženicyn, Havel, Houellebecq, Girard, solo per citarne alcuni.
Quali sono stati i nemici di Benedetto XVI durante questo suo tragico tentativo di tenere in vita una Europa cristiana? Anzitutto, occorre riconoscere che sono stati davvero una legione. Ratzinger si è trovato circondato da nemici di ogni formazione e di ogni fede. Pur senza doverne fare necessariamente una vittima, è indubbio che la sua voce è stata spesso quella di un eretico, di un combattente ostinato in una guerra già persa. Ratzinger ha cercato di combattere contro un mondo coeso e trionfante: il totalitarismo pacifico, munifico e benigno delle società occidentali, sicuramente sazie, forse disperate e comunque indifferenti. Questo intellettuale così poco accomodante ha vissuto il suo pontificato contro i rischi sempre più reali di una nuova specie di Weimar: il conformismo della tolleranza, il multiculturalismo a ogni costo, l’obsolescenza della verità, l’assenza sempre più manifesta del futuro nella vita degli uomini, sono tutti segnali che possono far intuire l’imminente crollo di un intero sistema di valori, in realtà già marcito e svuotato dall’interno.

Ratzinger ha sempre combattuto contro il marxismo e contro l’ateismo; ha continuato a denunciare i rischi della penetrazione islamica in Europa. Negli ultimi settanta anni almeno, i nemici di Ratzinger sono stati le ideologie totalitarie (il nazionalsocialismo e il comunismo), sono stati le filosofie alla moda (quella sessantottina su tutte, ma anche la teologia della liberazione); sono stati anche, in un certo senso, tutti i cristiani che hanno preferito rifugiarsi nel bene anziché continuare a rivendicare il vero che avevano ricevuto dalla tradizione. Ratzinger, questo oscurantista disturbatore, non è mai stato amato dalle scuole dominanti di pensiero né, tanto meno, dai media. Si è rivelato un papa poco telegenico, spigoloso, per certi versi persino urticante. E non è stato neppure davvero apprezzato nel momento in cui, nel 2013, ha dovuto ammettere la propria sconfitta, quando ha dovuto riconoscere che il cristianesimo non era più nemmeno stimato, ma solo ridicolizzato.

Per salvarsi, l’Europa avrebbe dovuto rinunciare alla propria neutralità di comodo, senza dover tornare per forza al passato, ma nemmeno senza negare l’essenzialità delle premesse morali e spirituali necessarie al vivere sociale. In ciò si è consumata, invano, la profezia di Benedetto XVI. Il suo ritirarsi, in una solitudine comunque molto rumorosa, è quello di un dissidente che vede realizzarsi l’utopia patogena del nemico.
La Chiesa del futuro sarà più povera senza dubbio, ma non per questo sarà meno clericale; le chiese diventeranno negozi di vestiti o palestre, ma non è detto che le piccole comunità cristiane che resisteranno, saranno vere “minoranze creatrici”, il che, pure, sarebbero molto utili per la vita di tutti, atei compresi. La Chiesa ha, per tante buone ragioni, un passato indifendibile e il suo patrimonio (di idee, di valori, di pregiudizi) è, per tanti versi, ancora una oppressione per tanti. Ma, d’altra parte, non ne abbiamo altri che abbiano lo stesso peso, a cui potersi aggrappare e che ci sappiano tenere ancorati alla terra. Nessuna moda ecologista e nessun rigurgito anticapitalista potranno mai essere fondamenta credibili per una società nuova.