philosophy and social criticism

Nel bunker: la morte del padre

Francesco Paolella

Nel contesto apocalittico della seconda guerra mondiale e del regime nazionalsocialista, questo libro di Martin Pollack racconta di una ulteriore complicazione “privata”: la crisi di un matrimonio borghese, il tradimento di una donna sposata con un ufficiale nazista, e la nascita di un figlio da quell’amore “clandestino”.

L’autore ripercorre qui la vita del proprio padre biologico e, più in generale, della sua famiglia, la cui storia è stata segnata dall’adesione, convinta e per nulla opportunistica, di diversi suoi membri all’ideologia nazista. Il suo vero padre è stato dunque un nazista austriaco della prima ora, poi un ufficiale della Gestapo che ha fatto carriera, lavorando, in diverse città del Reich e, soprattutto, partecipando direttamente ai massacri degli Einsatzgruppen durante l’invasione tedesca a Est e alle deportazioni degli ebrei.

Questa “indagine” riesce a rappresentare le responsabilità di quell’ufficiale SS, ma non può rispondere alle domande davvero importanti: “Che cosa ha fatto davvero mio padre?”, “Era proprio consapevole dei crimini che ha commesso o che ha visto commettere?”, “Perché ha scelto il nazionalsocialismo?”; e ancora: “Non è stato, almeno in qualche occasione, migliore degli altri?”.

L’enormità delle colpe del padre rimane un macigno inamovibile, un assillo sempre presente.

Vista da fuori, la storia del padre-nazista sembra quella del tipico “uomo comune”, della persona perbene che pure è stata capace di uccidere bambini a sangue freddo.

Martin Pollack racconta in queste pagine una specie di anti-pellegrinaggio, svolto durante molti anni, nei luoghi dove il padre è cresciuto e ha poi “operato”; specialmente attraverso delle vecchie fotografie, lo scrittore è andato alla ricerca di qualche parola nuova sulle idee più intime di quell’uomo, poi riconosciuto come criminale di guerra. Sono però trascorsi troppi anni da quegli eventi e, oltre il passare del tempo, il “muro di gomma” delle omertà e delle reticenze ha seppellito ogni possibilità di avere un quadro davvero completo di quelle colpe. Non restano che frammenti, sufficienti comunque a delineare un contesto di esplicita e consapevole partecipazione ideologica ai principi del nazionalsocialismo e dell’antisemitismo: non pare che si sia trattato insomma, nel caso di quel brillante ufficiale della Gestapo, esperto di cose giuridiche, di semplice conformismo.

Questo libro è dunque anche la cronaca del rapporto mancato fra un figlio e il tabù della colpa del padre, e della morte di quest’ultimo come limite invalicabile. Con il crollo del nazismo, l’uomo della Gestapo – che aveva deciso di sposare quella donna già sposata da un altro e dalla quale aveva appena avuto un figlio – diventa un uomo braccato, alla perenne, ma inutile ricerca di un nascondiglio sicuro e di una nuova identità, magari in America Latina. Quel nazista scappa continuamente dalla polizia politica dei liberatori, che vuole fare giustizia.

Qui nascono nuove domande: è rimasto nazista fino alla fine? Era così convinto di essere dalla parte giusta, così “idealista”, da non prepararsi, nemmeno nell’imminenza della fine, una via di fuga? Se è impossibile trovare quel padre così “sbagliato” negli archivi di guerra, lo è ancora di più pensare di sciogliere l’enigma della sua uccisione, avvenuta per mano di un contrabbandiere al confine con l’Italia. Di quelle vicende, non restano che tabù e silenzi; non restano che memorie frammentate e colpe che è stato impossibile sia vendicare, sia perdonare.

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