philosophy and social criticism

Nostra signora nostalgia

Gianluca Pulsoni

Nota su: Emiliano Morreale, L’invenzione della nostalgia, Donzelli, Roma 2009.

Chapeau! Si dovrebbe avere sempre una ottima dose di esuberanza come la parola francese spesso suggerisce, per esprimere agli altri il buon feeling che si riesce ad ottenere con un buon libro, di qualsiasi genere esso sia, alla fine della sua lettura. Ecco che allora il nostro modesto chapeau! Va, con convinzione, all’autore del libro L’Invenzione della nostalgia, Emiliano Morreale, studioso e critico cinematografico, una firma importante in riviste come Cineforum e Lo straniero e non solo.

Questo volume, frutto, come si può leggere alla pagina dei “Ringraziamenti”, del lavoro di dottorato di ricerca dell’autore all’Università degli Studi di Teramo, è a tutti gli effetti un viaggio dentro l’elaborazione della “nostalgia” e delle sue varianti dentro il panorama del cinema italiano e nei suoi dintorni.

Nello specifico, non si tratta di un lavoro prettamente di critica cinematografica e nemmeno di studio focalizzato su singoli film, ma di una operazione che, capitolo dopo capitolo, “inquadra” il movimento della “nostalgia” dentro determinati brani della storia della cultura italiana, con alcuni rimandi e parallelismi nei confronti di modelli ed esempi della cultura statunitense, dove le “forme” di nostalgia, in relazione al cinema e ai media, hanno spesso avuto una considerazione se non addirittura una attenzione speciale.

Il volume si divide in nove capitoli: teorie e pratiche della nostalgia; italietta che follie: i ‹‹film del café chantant››; passato e presente del boom; mutazioni del cinefilo letterato; gli anni settanta: revival e nostalgia; la rivoluzione della nostalgia; mutazioni della cinefilia: dal camp al trash; anni di vintage; oltre il cinema. Cercheremo ora di evidenziare alcune argomentazioni del libro, per formare un “nostro” percorso dentro le sue pagine: un percorso tale che possa – è il nostro augurio – evidenziarne alcuni contenuti pregnanti.

Il concetto di nostalgia

Il primo lavoro che fa Morreale nella sua premessa è quello di sgombrare il campo dagli equivoci: non riferirsi alla “nostalgia” come esperienza soggettiva e personale, ma focalizzare la sua genealogia “simbolica” dentro i meccanismi di consumo sociali di oggi, ponendo il discorso perciò su di essa come nostalgia mediale e di massa. La seconda specificazione che l’autore fa riguarda invece i “campi” di ricerca in cui ha indagato nel suo lavoro: il cinema e l’ Italia, ‹‹secondo un doppio binario: da un lato, il modo in cui il cinema italiano ha evocato il passato recente, dall’altro alcuni esempi di come gli intellettuali hanno sentito progressivamente diventare il cinema un oggetto di nostalgia››.

La mobilità del concetto “nostalgia” e delle sue mutazioni viene letta con l’ottica marxiana di risalire nel corso della ricerca dalla complessità contemporanea alla possibilità di captare le unità minime dei modelli presi in esame, di cui il primo considerato ‹‹si comincia a definire come sentire collettivo in quella che Christopher Lasch ha definito “l’età del narcisismo”, ed è avvertibile negli USA in una fase di incubazione già nei primi anni sessanta, mentre in Italia non se ne avvertono i sintomi se non dopo il ’68 e poi, in maniera sempre più forte, per tutti gli anni settanta fino al trionfo degli ottanta››.

A integrare l’analisi c’è poi come frequente riferimento il lavoro di F. Davis, Yearning from Yesterday. A Sociology of Nostalgia, pubblicazione di fine anni ’70. E, anche a partire da questo riferimento, l’autore sistematizza alcuni fattori di mutamento di percezione e atteggiamento delle nuove generazioni, rispetto alle precedenti, in merito alla loro “esperienza del passato” e al loro “consumo di nostalgia”: tra questi, scatenamento della nostalgia a partire da oggetti di produzione di massa; individualizzazione del passato collettivo; legame col tempo dell’adolescenza e dell’infanzia; rottura della continuità temporale; feticismo degli oggetti e coscienza della degradazione dell’esperienza. Da qui in poi il passo è breve per arrivare alla declinazione di oggi della “nostalgia”, enunciabile come “di massa” o “mediale”: slegata dal rapporto di continuità con il passato; individualizzante e generazionale; rapida nella diffusione; infantile o adolescenziale; feticista e spesso tendente all’orrido.

Variazioni “nostalgiche”

Un ulteriore aspetto molto interessante della ricerca di Morreale sta nell’aver individuato alcune “derive” – o se si vuole, “mascheramenti” – del concetto stesso di nostalgia, come le nozioni di kitsch, di camp, di vintage e di trash. E nell’aver posto dialetticamente tali nozioni in relazione con la nostalgia.

Per l’autore, l’oggetto kitsch, citando C. Olaquiaga e il suo The Artificial Kingdom è tale quando ‹‹un oggetto o un insieme di oggetti diviene il fulcro di un consumo ossessivo e pervasivo che, a dispetto della sua serialità o molteplicità, è sentito come intimamente personale››. Il passaggio invece alla sensibilità camp avviene invece attraverso un’altra mediazione, quella di S. Sontag e del suo celebre saggio sull’argomento, che relaziona il camp a ‹‹una forma particolare di estetismo››, tale da non essere soggetta al bello come fattore principale, ma ad un preciso processo di stilizzazione tendente a mostrare, in modo artificiale e impermeabile ai contenuti, l’oggetto in questione (spesso del passato se non addirittura fuori moda).
Si prosegue poi nella disquisizione correlando il vintage e il trash come forme moderne – e se si vuole, logiche e comunque “complesse” conseguenze – del camp e del kitsch, specie sul finire degli anni ottanta. Ma citiamo nello specifico:

Si potrebbe immaginare una filiazione di questo tipo (più ideale che diacronica): una volta divenuto sensibilità diffusa, il camp si scinde in due nozioni gemelle: il trash e il vintage. Entrambe, però, scarificano del concetto originario il senso clandestino, elitario, e di irriducibilità al sociale. Diventano parte della comunicazione, e non hanno più quei tratti di opposizione anti-borghese o di briosa critica della società che poteva avere il camp diciamo fino a Isherwood o anche Arbasino.

Col trash poi l’autore va a definire una gamma di qualità dentro la sfera concettuale del “brutto” che si possono porre a determinati oggetti, come una specie di “etichetta”; mentre il vintage, che – sembra un paradosso – è il concetto di elaborazione più recente, mostra le sue affinità sia al camp che all’universo “semiotico” della moda, cioè alla nozione di chic. Morreale, nello specifico, spiega l’affinità che ha tale “variazione” anche con i revival e come essa stessa sia la messa in pratica della possibilità di far ritornare determinati oggetti e gusti estetici non più dentro il ribaltamento schematico di valori del camp ma per una diversa “leva” mediatica e sociologica che associa il vintage a una moda che ritorna – che ha perciò un revival – al “momento giusto”.  Ed è chiaro che tale momento sia il risultato di un processo culturale che giocoforza sconfina nel campo e nell’azione politica e della giurisdizione “economica” della vita.

Il cinema italiano

La qualità che più colpisce nel leggere questo lavoro è la capacità di sintesi e approfondimento della nozione di nostalgia dentro un ampio spettro di film appartenenti al patrimonio del cinema italiano, senza per forza “cadere” in un discorso critico – di gusto e di giudizio – ma anzi, utilizzando anche il dettaglio più banale per visualizzare meglio gli aspetti salienti del discorso.
Da questo punto di vista sono essenziali e illuminanti i due capitoli dedicati rispettivamente agli anni settanta e agli anni ottanta.

Nel primo caso lo sguardo dell’autore focalizza un parallelo con la situazione della produzione cinematografica statunitense (“i nostalgia movies”) per individuare poi, nell’opera di tre grandi cineasti dell’epoca, Visconti, Fellini e Bertolucci, dinamiche inerenti alla percezione nostalgica di un preciso blocco storico-culturale della società e dei costumi italiani (e anche europei, come per il caso di Visconti).

Nel secondo caso è interessante notare proprio come Morreale sposti da subito verso una questione non cinematografica l’inizio dell’analisi (il solito focus sul cinema USA è posto al paragrafo successivo). Egli, infatti, per affrontare gli anni ottanta cinematografici in Italia, nella loro relazione con l’argomento in questione, parla esplicitamente di “rivoluzione della nostalgia” svoltasi in questi anni: anni che ‹‹sognavano gli anni sessanta››. L’approccio usato dall’autore è quello sociologico e, dunque, con rimandi giocoforza politici. Particolarmente significativo, in questo caso, è il riferimento all’antologia curata da un giovanissimo W. Veltroni e uscita per l’editore Savelli nel 1981, dal titolo Il sogno degli anni ’60 (un decennio da non dimenticare nei ricordi di 46 giovani di allora). Antologia viene letta come “spia” da Morreale: spia di una modificazione profonda della percezione culturale, dall’alto, di una precisa classe politica, che mascherava un assenza di progetto per il presente in una precisa rivendicazione nostalgica di un periodo a discapito di altri, tale da verificare e suffragare le tesi che lo stesso Morreale porta, relativa alla disuguaglianza delle “nostalgie”, proprio per il fatto che ‹‹sono la forma della nostalgia e il suo ruolo nel formare un’identità personale e pubblica ad essere mutati negli anni in questione›› (e quindi, giocoforza, diventa significativo che un libro come quello curato da Veltroni che, oltre ad esprimere in quelle pagine anche giudizi positivi sui media e i valori nuovi da loro apportati nella società italiana, mostra la forma mentis della propria cultura, rivendichi di riflesso una rottura di percezione del concetto “nostalgia” avuta negli anni ottanta rispetto al passato).

Dopo tale “premessa” e dopo, come detto, l’excursus sul cinema USA, Morreale si sofferma per quanto concerne l’Italia su tre “esempi”: il cinema del filone nostalgico in stile “sapore di mare”; il cinema di Nanni Moretti (qui l’autore individua a nostro avviso con efficacia il fattore contro-camp morettiano) e il cinema delle generazioni televisive (p.es. Salvatores e Tornatore).
Per quanto concerne invece gli anni novanta, gli anni ribattezzati con il vintage, il discorso si struttura differentemente da come era per i capitoli precedenti visto la mole maggiore di produzioni analizzate, tra cui spicca l’apertura verso il cinema definitivo di Ciprì e Maresco (a cui l’autore aveva già dedicato tempo fa una piccola ma preziosissima monografia) e verso alcune esperienze eccezionali di produzioni italiane in found footage (Grifi, Gianikian e Ricci Lucchi, A. Marrazzi).

Consumando nostalgia

L’analisi di Morreale si fa particolarmente acuminata nei capitoli che affrontano il rapporto tra il mondo critico-letterario – con i suoi “attori” e le sue “maschere” – e quello cinematografico.
Nel capitolo dedicato alla “cinefilia” del passato, risultano penetranti tutte le riflessioni presenti, che riguardano autori del calibro di Italo Calvino, Gabriele Baldini, Oreste Del Buono, Leonardo Sciascia e Gesualdo Bufalino: scrittori che hanno intrattenuto col cinema un rapporto particolare e importante. E particolarmente interessanti ci paiono le pagine su Calvino e sulla sua idea di cinema – suffragata anche, ovviamente, da quel documento importantissimo che è il testo che l’autore di nascita cubana scrisse, “ispirandosi” a Fellini, dal titolo Autobiografia di uno spettatore – riassumibile come ‹‹nostalgia della distanza››, dove la distanza è la spia di una visione che per toccare la profondità del reale deve dilatare i propri confini, perdere le proprie nette sfumature di realismo.

Significativo al riguardo è la spiegazione che fa Morreale sulla personale presa di distanza di Calvino dal cinema che non sa più essere distante da un “certo” realismo:

Il disamore di Calvino per il cinema del dopoguerra si sovrappone impercettibilmente al proprio disagio per l’Italia presente. Se nel cinema italiano del 1945 (e nell’essere spettatori italiani di cinema in quegli anni) è, diversamente da quello hollywoodiano degli anni trenta, contemporaneo, il fastidio verso di esso è anche il fastidio per ciò che l’Italia è oggi. È come se il cinema mettesse forzosamente lo scrittore davanti a ciò che egli cerca di sublimare o circoscrivere, razionalizzare nelle proprie opere […]. Allora il regista contemporaneo più tipico, quello che Calvino ama dolorosamente di più, sarà quello che porta al massimo grado questo disagio e questa biografia di una nazione, ossia appunto Fellini. E non apparirà più bizzarro che le divagazioni autobiografiche di Calvino partano a commento del cinema di Fellini (ma sarebbe meglio dire: in reazione a esso). Fellini è insomma un doppio impossibile di Calvino, è tutto quello che la scrittura (e in particolare in quegli anni) cerca di esorcizzare […].

Oltre al “consumo” particolare della nostalgia attraverso il cinema da parte del mondo letterario Morreale prende in esame anche il “consumo” per così dire dal basso, a partire dagli anni ’70 fino ad oggi (nel passaggio dal camp al trash). E, in questo caso, scorrono man mano esempi significativi: dalla nascita della rivista Il patalogo passando per la pratica “fai-da-te” della videoregistrazione (nel recente passato); alla nascita del fenomeno delle fanzine (neologismo, unione dei termini fanatic, appassionato, e magazine, rivista: si tratta quindi di riviste, a bassa tiratura e spesso autoprodotte, ora con l’avvento di internet sul web) e della rivalutazione del trash come fenomeno denominato stracult (nel recente presente).
Nell’ultimo capitolo Morreale affronta invece un discorso che cerca di andare “oltre” la dialettica cinema-analisi sociologica e antropologica per allargare il discorso di tale dialettica non solo alle immagini cinematografiche ma ad altre tipologie di immagini (letterarie, televisive etc.).

E questi sforzi aprono squarci di ulteriore approfondimento molto interessanti, come i riferimenti alle relazioni, oggi, tra la pratica del “marketing emozionale” e la nostalgia come forma di consumo culturale (e, a questo punto, dovremmo aggiungere, forse, “invenzione emozionale”), seguendo gli studi di Appadurai; oppure la focalizzazione sull’ “incorporazione” della nostalgia oggi – una nostalgia tradotta in un fattore inter-soggettivo, tra storia pubblica e privata – in alcune voci di scrittori italiani contemporanei.

Il tutto allora, a questo punto, date la penetrante resa e le molteplici aperture di senso, può quantomeno far augurare e auspicare un seguito a questa importante ricerca.

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ISSN:2037-0857