philosophy and social criticism

Politica per narcisisti

Francesco Paolella

Giovanni Orsina, La democrazia del narcisismo: breve storia dell’antipolitica, Marsilio, 2018

Questo libro rappresenta il tentativo di allestire una specie di contro-storia della crisi della democrazia italiana, ossia della delegittimazione senza ritorno delle élite e della successiva affermazione dei diversi populismi oggi vincenti. Per meglio dire, questo libro è il tentativo di iniziare a scrivere una storia naturale della società italiana contemporanea, con tutte le pulsioni, gli odi e, talvolta, le violenze che l’attraversano. Orsina ha scritto un libro schiettamente pessimista: la crisi della democrazia è grave ovunque – e in Italia è ben più grave che negli altri paesi avanzati – ed ha cause non soltanto, anzi non prevalentemente economiche.

Mai l’occidente ha conosciuto un periodo così lungo di pace e di benessere così diffuso; eppure tutti sembrano essere scontenti, tutti sono in qualche modo sempre delusi, tutti si sentono traditi e, in primo luogo, dalle classi dirigenti. Senza cadere in facili pregiudizi sulla inopportunità o sulla pericolosità del suffragio universale, è indubbio però che la vita democratica ha bisogno, per funzionare, di limiti certi e di una forte dose di autodisciplina. Il problema è che gli ultimi decenni hanno visto l’esplosione di un nuovo tipo di “uomo democratico”: il narcisista, un uomo isolato nella sua soggettività e che crede di poter avere un’opinione su tutto.

Il narcisista manca – si sa – di realismo: giudica tutto in base al proprio sentire e al proprio benessere. Questa mancanza di realismo ingenera illusioni e conseguenti frustrazioni: le aspettative verso chi sta in alto, verso chi governa e deve garantire condizioni di vita sempre migliori (welfare, sicurezza, crescita), non possono ovviamente essere tutte soddisfatte. Le facili “promesse elettorali”, per parte loro, non fanno che acuire il senso di delegittimazione verso la delega elettorale: si vota sempre più spesso, ma votare diventa sempre più inutile. I regimi democratici cadono in un circolo vizioso molto pericoloso, per il quale non esiste ad oggi una cura e da cui deriva una vera degenerazione del politico: le smanie di una sempre maggiore emancipazione individuale, la rottura di ogni senso sociale, la fine del principio di autorità, finiscono per spingere la politica verso un nichilismo senza ritorno. E’ una situazione paradossale, già ben descritta da Tocqueville: più aumenta l’uguaglianza fra i cittadini e più cresce il desiderio di più uguaglianza, desiderio che, insoddisfatto, non può che generare frustrazione, rabbia e la “scoperta” di sempre nuovi capri espiatori.

Per l’Italia, come dicevamo, le cose sembrano andare peggio: la crisi dei partiti, esplosa nel ’92-’93 con l’imponente cortocircuito mediatico-giudiziario, non si è mai risolta. E si è rivelata una sciocca illusione quella di chi credeva che sarebbero bastate la “rivoluzione” di Mani pulite e l’affermazione della “questione morale” per far diventare l’Italia un paese normale. Orsina risale giustamente agli anni Sessanta e al periodo, breve e velleitario, della contestazione, per individuare i primi passi di una crisi che ci ha consegnato ad anni di contrapposte opzioni antipolitiche (berlusconiani contro antiberlusconiani) e poi alla vitoria di diversi movimenti post-ideologici.

La “partitocrazia” è diventata, e anzitutto per responsabilità proprie, il capro espiatorio perfetto: rifacendosi al grande studio di Canetti su Massa e potere, Orsina tenta qui di applicare le riflessioni dello scrittore bulgaro proprio all’Italia dei primi anni Novanta: in quel periodo, ma anche in seguito, il voto non è più stato soprattutto un segno di appartenenza e il frutto di una scelta razionale per la vita collettiva, ma anche un modo per vendicarsi, per dare la morte politica al potente di volta in volta da sacrificare, e per sfogare una rabbia tanto velleitaria quanto irresponsabile.

 

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