Progetti per il passato di Ana Blandiana
Marco Dotti
Ana Blandiana, Progetti per il passato e altri racconti, a cura e traduzione di Marco Cugno, Anfora edizioni, Milano 2008.
In una raccolta di saggi pubblicata nel 1976 con il titolo Io scrivo,tu scrivi, lui, lei scrive, riferendosi alla non facile condizione di diritti e libertà di espressione sotto il regime di Nicolae Ceausescu, la poetessa rumena Ana Blandiana affermava che esistono autori «ossessionati dalle categorie morali che, pur senza volerlo, arrivano a contatto con il politico». A lei, nata a Timisoara il 25 marzo del ’42 e appartenente a una generazione che comprende, tra gli altri, Nichita Stanescu e Ileana Malancioiu, era successo esattamente così.
Il suo primo confronto, «stupito e drammatico», con il politico si trasformò presto in uno scontro durissimo, forse perche’ radicato su contraddizioni profonde comuni a gran parte degli scrittori: l’idea che l’artista possa bastare a se stesso, vivendo in un mondo di completa autoreferenzialità. L’artista si crede o si vuole indipendente dalle circostanze del mondo eppure, specialmente nel caso della poesia, non riesce a impedire a se stesso «di soffrire per tutti, di essere, dunque, dipendente dal dolore degli altri». Questa contraddizione, che a prima vista può apparire ingenua, va ovviamente riconsiderata tenendo conto del contesto al quale le parole di Ana Blandiana si riferivano.
Sono parole che precedono di pochi anni uno dei periodi più neri della storia letteraria, e non solo letteraria, della Romania: il cosiddetto «decennio satanico». In tal modo lo definiva il critico Mircea Zaciu riferendosi a quegli anni ’80 che, con toni aberranti e paradossali, mischiando la semplice corruzione sociale e politica alle persistenze della vecchia censura ideologica, esasperarono il corto circuito tra la vita reale e culturale del paese e quella “simulata” dalle gerarchie. In un contesto di delazione sistematizzata e di controllo pressoché totale della produzione artistica – in Romania come in gran parte dei paesi dell’Est – al poeta veniva comunque attribuita una sorta di aura che, indipendentemente da quanto scritto o affermato, poteva improvvisamente trasformarsi in un elemento “antisociale”, quasi demoniaco e pericoloso per i delicati equilibri del sistema e quindi in un corpo del reato tanto immateriale, quanto temuto.
I poeti – osservava ancora Ana Blandiana – sono detentori di un’arma difficile da annientare completamente, la metafora. «In un mondo in cui non si possono nominare le cose in modo diretto, la metafora, questa comparazione cui manca un termine (come dicono i professori di letteratura), riesce a trasportare (come dicono i professori di greco), il senso mascherato da cui nasce il pensiero, dunque la rivolta».
Risalgono proprio alla fine degli anni Settanta e agli inizi dell’Ottanta le prose fantastiche di Ana Blandiana raccolte ora da Marco Cugno nel volume titolato Progetti per il passato e altri racconti. Come sottolinea Cugno nella sua attenta e documentatissima postfazione, il ruolo che la Blandiana attribuisce alla metafora nell’ambito della poesia viene svolto, in questi racconti, dale sfasature temporali e dai meccanismi narrativi del genere fantastico. La scelta di un genere comunque ricco di tradizione anche nel contesto letterario romeno sembra dunque legata a ragioni contingenti. Ogni opera, infatti, doveva passare rigorosissimi e spesso irrazionali controlli di censura, per questo la maschera di un genere che da Mihai Eminescu a Caragiale, da Urmuz a Bakonski fino al Mircea Eliade di prima dell’esilio (con La signorina Christina del ’36) aveva gia’ fatto bella mostra di sé nel canone delle lettere di Romania poteva aiutare a far passare messaggi non necessariamente sovversivi o antisociali, ma che a forza di pressioni e distorsioni finivano per diventarlo. «Non si trattava – così ricordava l’autrice in un convegno sul rapporto tra intellettuali e rivoluzioni tenutosi a Roma nel 1991 – di testi politici, ma di semplice letteratura», eppure «in una societa’ in cui l’unica materia prima abbondante era la menzogna e l’unica realta’ incontrovertibile era l’apparato repressivo», anche “la verita’ estetica si trasformava in un atto sovversivo, quindi politico».
Il “fantastico” dei Progetti per il passato persona sembra rispondere alla necessita’ di questa continua oscillazione tra il piano reale e quello dell’evocazione costante di altri fatti, con un procedimento di mise en abime che spesso maschera vere e proprie dichiarazioni di poetica (e di politica). Non a caso,è spesso legato a fatti realmente accaduti, ma presentati dall’autrice in maniera tale da sfigurarli fino all’inverosimile rendendoli “incredibili”. Il lettore si trova così alle prese con una sorta di “iperrealismo fantastico” che non si oppone al reale, ma lo affianca offrendo – sono parole dell’autrice – «una rappresentazione piu’ piena di significati». Anche l’uso frequente della narrazione in prima uno dei racconti antologizzati nel volume, La chiesa fantastica, si apre con una di queste dichiarazioni. «La realtà dilata a volte con arroganza i suoi confini e allora le zone compromesse – per anni, per decenni, addirittura per secoli – ambigue, di incerta appartenenza». Ecco perché “realta’ e irrealtà coesistono, parallele” fino a che una certa circostanza non le pone a contatto costringendole a diventare reciprocamente rivelatrici.
Tra gli altri racconti, sei in tutto, il piu’ ricco di suggestioni è senz’altro quello che da’ il titolo al volume e ha per oggetto la rievocazione di un episodio particolarmente traumatico nella storia della Romania: la deportazione nel Baragan delle popolazioni del Banato, tragedia su cui si è cominciato a parlare solo dopo il crollo del regime. Si tratta proprio di uno di quegli eventi che seppure realmente accaduti – osserva Blandiana – per la loro drammatica e assurda atrocita’ appartengono a buon diritto al dominio, forse non meno crudele, del “fantastico”.
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