L’utopia rovesciata del diritto
di Marco Dotti
Stefano Bolla, L’avvocato con gli stivali. L’immagine popolare dell’avvocato e la fiaba di Charles Perrault, Casagrande, Bellinzona 2009.
Nell’isola di Cassade descritta da Rabelais, Pantagruele osservava i vascelli carichi di selvaggina e spezie che erano arrivati da ogni parte della terra. Stupito, l’ingenuo Pantagruele non faceva che chiedere agli abitanti del posto chi fossero i beneficiari di tali e tante prelibatezze. Quel cibo, si sentì rispondere, «noi lo chiamiamo corruzione» e serve per foraggiare i giudici e i loro aiutanti. L’importazione di selvaggina sull’isola di Cassade, oltre a corrispondere a pieno allo stereotipo della giustizia come luogo di abuso e malaffare, possiede però anche una sua verità «materiale».
Stefano Bolla, avvocato e storico del diritto, in un suo bel libro recentemente pubblicato da Casagrande sottolinea infatti come la selvaggina dell’isola non svolga solo un ruolo di metafora astratta dell’avidità di magistrati e legulei, ma metta in luce quanto certe prelibatezze gastronomiche – in particolare spezie e droghe – fossero, nei secoli passati, tributi speciali e spesso assolutamente comuni indispensabili a far girare la ruota della giustizia.
Nella Francia del XVII secolo, erano proprio le spezie, accanto alla cacciagione, a rappresentare il compenso più usuale per servigi e favori resi dall’avvocato o dal giudice, al punto che il termine stesso di épices finì poi per designare, in tono quasi sempre spregiativo, venalità e ruberie tipiche degli uomini di legge. Ai giudici, d’altronde, la legge non consentiva di accettare altri doni all’infuori di quelli «commestibili». Forse anche per questa ragione, in numerose caricature dell’epoca analizzate e messe fra loro in relazione nel delizioso, divertente e divertito saggio di Bolla, in una visione antropomorfa del «corpo sociale» il mondo del diritto è rappresentato strettamente legato alle funzioni digestive e basse dell’organismo.
Non diversamente, Erasmo da Rotterdam, in uno dei suoi Adagia, identificava il centro del mondo con uno stuolo di «insaziati e insaziabili ventri-giudici e ventri-avvocati». Rabelais, invece, colloca la sua isola di Cassade proprio agli antipodi di quella di Utopia immaginata da Tommaso Moro.
Se nell’isola di Utopia non c’era spazio per i cavilli e le astuzie di avvocati e giudici, nella più umana Cassade trionfa invece il malaffare, i magistrati hanno unghie così lunghe e taglienti che «nulla di ciò che afferrano gli sfugge».
Il lavoro di Bolla parte però da un’insolita lettura di una fra le più celeberrime fiabe di Perrault, il Gatto con gli stivali.
L’uomo di legge, come figura socialmente tipica delle contraddizioni della giustizia, è chiamato in causa soltanto nelle prime righe del racconto di Perrault, quando si discute di un’eredità divisa «senza tirare in ballo l’avvocato né il notaio».
Proprio partendo da questa assenza, giustificata o meno che sia, Bolla costruisce il suo percorso, ricco di spunti piacevoli e attualissime e meno piacevoli affinità col presente.