philosophy and social criticism

Scaffali indipendenti

Maria Teresa Carbone

Immaginiamo (non ci vuole grande fantasia) che in Italia, e nel resto del mondo, sia in corso all’insaputa dei più una guerra che, pur non cruenta, lascia ogni anno sul campo morti e feriti e vede contrapposti soggetti ben diversi per mole. Da un lato, le poderose armate delle catene librarie (Feltrinelli, Mondadori, Fnac, ora anche le Librerie Coop) che si scontrano tra loro ad armi più o meno pari. Dall’altro, una miriade di guerrieri solitari, le librerie indipendenti, che si battono per non essere sopraffatte da questi avversari tanto più muscolosi di loro, stringendo alleanze o escogitando sempre nuove strategie di sopravvivenza. Naturale che in una fase, come questa, di crisi, il conflitto si faccia più violento e il panorama disegnato giorno dopo giorno da quelli che suonano come veri e propri bollettini di guerra appaia confuso e contraddittorio.

Unchained success, «Successo scatenato», titolava per esempio giorni fa il «Boston Globe», segnalando un’imprevedibile capacità di tenuta delle librerie indipendenti contro i big rivals: «C’è un luogo comune secondo cui le librerie indipendenti stanno crollando e scompariranno presto, ma sono convinto che sia un cliché datato», dice John Mutter, responsabile del sito specializzato «Shelf Awareness». E l’ultimo magazine del «Sole 24 ore» sottolinea il successo di alcune librerie francesi, come La griffe noire, a Saint-Maur-des-Fossès, che ha sbaragliato la concorrenza dei megastore ed è diventata il punto di riferimento di non pochi parigini pronti a farsi mezz’ora di treno pur di non perdere gli illuminati consigli del libraio, Gérard Collard.

In Italia, però, il quadro si presenta meno confortante. Cliccando su www.vigata.org/libreriadelgiallo/letteraagliamici.shtml, si legge il desolato messaggio con cui Tecla Dozio ha annunciato ai clienti la chiusura, il 31 marzo, della milanese Libreria del giallo. Chiusura definitiva, dopo una serie di falsi allarmi negli anni passati, perché, scrive Dozio, questa volta «non è solo la solita e cronica mancanza di denaro, ma la consapevolezza di non avere possibilità reali». E chiusa anche, sebbene qualcuno speri di poterla resuscitare, la Lef di Firenze, luogo di incontro degli intellettuali cattolici, ben oltre i confini della città. Due storie che ne nascondono tante altre, a giudicare da quanto è scritto nel sito della torinese Massena 28, specializzata in libri di viaggio e narrativa straniera: «Questa libreria ha quasi tre anni ed è quasi un miracolo che ci sia ancora. Ne chiudono molte, di librerie indipendenti. Più d’una, a Torino, proprio in questi giorni».
Che la recessione abbia accelerato un processo avviato da tempo, lo dimostra un film americano di una dozzina d’anni fa, You’ve Got Mail, (in italiano C’è posta per te), dove la bella e brava libraia indipendente Meg Ryan veniva sconfitta dal megastore aperto proditoriamente nel suo quartiere, tranne innamorarsi, ovviamente riamata, del proprietario dello stesso (Tom Hanks), scoprendone le virtù nascoste e forse accingendosi a mettere la sua competenza al servizio della non più odiata catena. A quanto pare, però, la grigia realtà non concede questi happy endings, a giudicare dal tono con cui il vicentino Alberto Galla, titolare di una delle più antiche librerie italiane, commenta i casi di punti-vendita indipendenti fagocitati dai «supermercati del libro». L’ultimo, la mantovana Nautilus di Luca Nicolini passata in mano alle librerie.Coop, ha sollevato in giro reazioni piuttosto sconcertate, ma – dice Galla – «non si può biasimare un collega che ha fatto una scelta pragmatica: di fronte allo sbarco di un gigante, i tentativi di contrastarlo in una situazione di crisi rischiano di essere inutili. L’importante è che sia stato pattuito un modo per valorizzare le ricchezze di una libreria nata nello specifico contesto di Mantova, anche se nel passaggio dalla posizione di “indipendente” a quella di “dipendente”, il pericolo che l’identità della libreria si trasformi è grande».

Non che Galla abbia paura dei cambiamenti, visto che la storia della sua libreria – anzi, delle sue librerie – è una storia di metamorfosi (e traslochi): «La libreria Galla, nata nel 1880, già ai primi del ‘900 si trovava nel pieno centro di Vicenza, all’incrocio tra cardo e decumano, cioè tra corso Palladio e corso Fogazzaro, un punto così conosciuto che ne era nato un toponimo, il “Canton di Galla”. Senza saperlo, mio bisnonno Giovanni, il fondatore, inventò anche il «multitasking»: rendendosi conto che la vendita dei libri non sarebbe bastata per far quadrare i conti (proprio come succede oggi, tra l’altro), inviò una lettera promozionale in cui spiegava che nel suo negozio avrebbe venduto qualsiasi prodotto potesse soddisfare il cliente: volumi, ma anche giornali, carta da regalo, giocattoli, perfino sementi. La seconda guerra mondiale segnò una frattura, la libreria fu distrutta dai bombardamenti, molti famigliari morirono nella resistenza, ma nel ’46 si ricominciò. La sede si trasferì ancora su corso Palladio in uno spazio più grande, che era libreria, cartoleria, casa editrice, negozio di giocattoli e di arredi sacri. Negli anni ’80, nuovo trasloco, ed è stato in quel periodo che ho cominciato a occuparmi della libreria anche io, che avevo seguito il primo corso per librai della scuola Mauri».
Finita la fase eroica, la Galla diventa rapidamente un prototipo di libreria moderna. Vengono dismesse le attività «collaterali», si distacca la cartoleria e nasce un gruppo che, accanto alla «casa madre», Galla 1880, comprende una libreria specializzata in concorsi e informatica (Galla 2000), una libreria per ragazzi (Girapagina) e altri due punti-vendita: uno dei quali a Valdagno, avviato con un libraio veronese, potrebbe servire come modello per una nuova formula di libreria indipendente in cogestione. Ma Galla, che pure catastrofista non è, non offre un quadro roseo della situazione, perché negli ultimi anni a Vicenza sono sbarcate le catene, una Feltrinelli «sotto mentite spoglie» in un centro commerciale, due Mondadori, una Giunti e presto, si dice, una Coop, che sommate all’«impero Galla» e ad altre due o tre librerie indipendenti, sembrano troppo per una città colta ma che conta centomila abitanti, duecentomila con il territorio circostante. «E il vero problema è che questi giganti hanno una situazione finanziaria diversa dalla nostra, non devono fare i conti giorno per giorno, possono prescindere da risultati economici immediati e in questo modo rischiano di stravolgere completamente il mercato».

Pessimista senza sfumature è invece Katia Gabrielli, «anima» (per una volta la parola non è disdicevole) della Libreria Fahrenheit, tre locali con una vetrina che dall’89 si affaccia su Campo dei Fiori a Roma. Katia è combattiva, rivendica per Fahrenheit una serie di primati («siamo stati la prima libreria romana aperta la sera, la prima aperta la domenica»), è ancora convinta delle scelte che l’hanno guidata in questi vent’anni, e che hanno fatto di Fahrenheit una «libreria di qualità». Ma si dichiara stanca di una fatica «che peggiora ogni giorno»: «E ora che c’è la crisi, la situazione sarà più dura, gli editori si accaniranno in cerca del bestseller, e noi finiremo strozzati dai megastore che possono applicare sconti del venticinque o del trenta per cento. Il nostro è un mestiere in via di estinzione, si parla di librerie indipendenti, ma ognuna fa storia a sé, non ci sono regole fisse, mentre il mercato ti spinge a tenere solo i libri “vendibili”. Un bel ragionamento, se lo segui fino in fondo accantoni Tolstoj e metti sul banco Pulsatilla…».

Sul banco di Tombolini Pulsatilla non la trovi di certo. Perché la libreria Tombolini di Roma, solo di pochi anni più «giovane» di Galla (è stata fondata nel 1885 e non ha mai cambiato la sede, in via IV Novembre, nonostante periodici aumenti di affitto ne mettano a repentaglio la sopravvivenza), è rimasta una libreria all’antica, che non solo limita al massimo le novità ed è specializzata in testi di filologia, filosofia, archeologia e storia medievale, ma presenta i suoi volumi secondo il metodo tradizionale, quello pre-Feltrinelli, di costa e non di piatto, ossia con la copertina in vista. Una scelta, questa, che sconcerta parte dei visitatori: non gli habitués, naturalmente, che ancora esistono e resistono («anche se l’età media sale…», osserva sorridendo il proprietario, Enzo Orieti), ma i turisti occasionali entrati per acquistare una cartolina o sbirciare le vetrinette dove sono esposti oggetti di porcellana. Perché in effetti anche Tombolini deve fare i conti con i tempi che cambiano, e – come un secolo fa il vecchio Giovanni Galla – sta praticando il «multitasking». «In questo modo – concede Orieti, lievemente incerto di fronte alle novità introdotte dai suoi soci – qualche risultato lo abbiamo ottenuto, ma forse la maggiore apertura verso il futuro ce la dà il sito, dove stiamo travasando il nostro catalogo».
Ma che la sopravvivenza delle librerie (indipendenti e non) sia affidata a Internet è da vedere. «Al recente convegno di Orvieto promosso da editori e librai – dice Alberto Galla – il direttore di Mondadori, Gian Arturo Ferrari, ha detto che il futuro appartiene ai “contenuti liquidi”. Per quello che mi riguarda non lo escludo, ma personalmente la vedo in modo diverso: sono contento di avere vissuto una stagione meravigliosa per le librerie, e adesso che sto per compiere cinquant’anni, mi auguro solo di avere il tempo e il modo di prepararmi a una pensione dignitosa».

[articolo apparso su il manifesto del 15 aprile 2009]