philosophy and social criticism

Stato d’eccezione permanente

di Christian Marazzi

Come andrà a finire lo scontro tra democratici e repubblicani attorno al tetto del debito pubblico americano? Lo sapremo tra sei giorni, forse a un solo minuto prima di quello che, se i due partiti non riuscissero a trovare un accordo, potrebbe essere il default, il fallimento, del paese che a tutt’oggi, benché in modo sempre più fragile, detiene la leadership economica, finanziaria e soprattutto militare del mondo occidentale. Un po’ come è accaduto a Grecia e Spagna, con la differenza che per questi paesi sono stati i mercati, con la complicità della troika, a determinarne le sorti, cioè a imporre misure d’austerità senza precedenti. Mentre nel caso degli Stati Uniti la crisi del debito pubblico è tutta interna, è tutta politica, ed è una crisi che svela un problema di fondo, quello dell’ingovernabilità o, come si dice oggi, della governance without government.

Che questo gioco della roulette russa sia estremamente pericolosa non ci sono dubbi e le preoccupazioni espresse da Cina, Giappone e Russia non sono di facciata. Basti pensare che i cinesi detengono qualcosa come 1.28 trilioni di dollari di Buoni del Tesoro statunitense, oltre ad avere investimenti diretti in America: un mancato accordo sull’innalzamento del tetto del debito svaluterebbe pesantemente tutti questi attivi. Basti pensare agli effetti di un inevitabile crollo del dollaro sullo yen, che verrebbe immediatamente rivalutato, vanificando in un batter d’occhio le politiche di rilancio del primo ministro giapponese Abe. I mercati finanziari di tutto il mondo rischiano davvero di andare in tilt, e questo dopo mesi di speculazione positiva su quei segnali di ripresa delle economie che, seppur minimi, ci sono pur stati.

E allora, come andrà a finire? Probabilmente così: di fronte al cinico ricatto repubblicano, cioè quello di fare un passo indietro sulla riforma della sanità pubblica, ossia sul diritto alla salute dei cittadini americani (da cui 44 milioni sono esclusi), come condizione politica per evitare il default, Obama alla fine sceglierà di rinunciare a una parte della sua riforma sociale, magari posticipandola fino al prossimo scontro con i cupi avversari. Il mondo intero tirerà un respiro di sollievo, i repubblicani canteranno il loro inno di vittoria liberista, Obama passerà alla storia come un bravo negoziatore, uomo di solidi principi democratici, ma capace di realpolitik. E qualche milione di cittadini americani dovrà aspettare ancora qualche anno per vedere tutelata la propria salute.

Dopo mesi di tensione, di vero e proprio stato d’eccezione, si ritornerà al business as usual, alla normalità della gestione amministrativa del potere. Il Welfare State sarà di nuovo ridimensionato e l’austerità europea si rivelerà l’unica via possibile per ridare fiato alle leggi del libero mercato. D’altronde, è da oltre trent’anni che la shock economy (Naomi Klein) la fa da padrona: dal golpe cileno in poi, il neoliberismo della scuola di Chicago ha sempre sfruttato qualsiasi rischio di catastrofe per far passare le sue controriforme, altrimenti politicamente impossibili. Il che ha però un prezzo politico molto elevato, quello di farci vivere costantemente in uno stato d’emergenza in cui, come nello stato di natura del tutti contro tutti, l’interesse collettivo viene schiacciato sotto il peso una volta di quell’interesse, l’altra di un altro. Una sorta di regolarità senza regole, di normalità della crisi senza la volontà politica di uscirne.

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tysm literary review, Vol 6, No. 8,  September 2013

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