Stato di eccezione, stato dello spirito
di Pedro Bento e Marina Cavalcanti
INTRODUZIONE
Questo articolo si sviluppa su due versanti, affronteremo e discuteremo il cinema brasiliano attuale muovendo da una riflessione sul lungometraggio Estado de Exceção (Stato di eccezione), che verrà trasmesso dalla tv brasiliana via cavo nel mese di marzo. Il testo si propone di rivelare una tendenza dominante nel cinema brasiliano contemporaneo, che finisce per sottrarre interesse per altre forme di cinema, che chiameremo cinema degli effetti o estetica realista. Sosterremo che il film in questione non partecipa di quella modalità espressiva, in quanto la sua forma è costruita su altri paradigmi e cerca di discostarsi radicalmente dal realismo proposto da tale cinema. Per diverse ragioni e in molti sensi, intendiamo esporre come nella realizzazione e nelle attese Estado de Exceção non può essere inteso come un realista nel medesimo senso di ciò che caratterizzeremo come estetica degli effetti. Il nucleo di questa problematica verrà esposto attraverso una riflessione essenzialmente cinematografica.
Estado de Exceção è un film diretto da Juan Posada nel 2012. Il film è una fiction che segue una successione di situazioni vissute da una guarnigione di quattro agenti di polizia nella mattina – che è al tempo stesso il Venerdì Santo e il giorno di São Jorge[1] – fino al giorno successivo, il Sabato di Pasqua. Il narratore del film, il capitano Jorge, è a fine carriera, istigato dall’insinuazione di una cospirazione, vuole la rovina di un giovane e promettente tenente. In parallelo ai fatti narrati, vi è il tentativo del capitano di interpretare un sogno (punto di partenza a cui il film torna sempre ricorsivamente) in cui vede in immagini deliranti la sua propria morte in relazione alla figura mistica di San Giorgio. Il film si divide in quattro sezioni: mattina, sera, notte e mattina. Questa divisione accompagna il cammino graduale dalla serenità alla follia di ciascuno dei personaggi con conseguenze sorprendenti. Il film mette in questione e contraddice gli elementi di un approccio estetico dominante che impone un approccio cristallizzato ai temi che lo permeano.
1 – Lo stato attuale di un genere cinematografico
In questo cinema della violenza brasiliano, in generale, si è cercato di rappresentare lo stato di eccezione sperimentato in una società molto violenta e quindi sempre più rappacificata, in film che trasmettono una violenza implicita occultata in immagini tanto sobriamente evidenti ed esplicite. Crediamo che queste immagini e suoni offrano al pubblico una forma previamente moralizzata di un problema che richiederebbe riflessione. Il ricorso a una fotografia e a una disposizione spettacolare delle immagini e dei suoni per trattare una questione sociale risulta in qualcosa di ambivalente e problematico. Dietro a queste opere vi è la credenza in qualcosa di simile a Dio, qualcosa che si sviluppa in spettacoli di dannazione, in cui si gode la maestria fotografica in grado di tradurre splendidamente una simile incomprensione. Rimane solo la soddisfazione di trasformare l’incomprensibile di tali processi sociali e della violenza a questi intrinseca in belle immagini, e così forse credere che qualcosa si esaurisca o si spieghi, anche per questo il film dovrebbe ridursi allo statuto di semplice messa in scena, rappresentazione. La cosa curiosa è che concetti come Verità e Realtà sono istantaneamente incorporati nel vocabolario implicito di tali film, tutti ostentatamente neutri, tutti impegnati a ritrarre la violenza in modo apparentemente documentario. Ora, come trasformare qualcosa in implicito altrimenti che attraverso un uso architettato degli artifici del linguaggio?
Su questi film il nodo problematico si instaura attraverso una questione sociale a sfondo etico, si discute molto di quello che dovrebbe essere la funzione dello Stato e di come la società dovrebbe comportarsi di fronte alla violenza. E a volte si arriva a una sorta di lamento che dice “come siamo potuti arrivare fino a questo punto?”, o ancora “è incomprensibile che ciò possa accadere.” Nei momenti peggiori di questi dibattiti, lo Stato e la società diventano soggetti di una carenza di attenzione, e la responsabilità ricade su un’idea, un’idea senza volto, astratta. Forse ciò assicura un certo sollievo, in quanto Stato e società possono essere sempre un Altro. Si accetta il film come un veridico ritratto della violenza, quasi una specie di fiction documentaria, che sicuramente convince lo spettatore del suo realismo attraverso elementi di forte impatto, elaborati con cura all’interno di una estetica del realismo. È possibile che la violenza che si cela dietro tali progetti si confonda con una violenza del cinema stesso, che ridotto a una storia di immagini suggestive splendidamente rappresentate espone solo la presenza di un’estetica inconfondibile. Crediamo che, in base a questo modo di rappresentare, la violenza si trasformi in una estetica, un’estetica che si è affermata da poco più di un decennio in Brasile, e che si è diffusa come genere di film in tutto il mondo.
2 – STATO DI ECCEZIONE: IL FILM
Stato di eccezione sarebbe un parto di questo genere? Pensiamo di no. In Stato di eccezione appare evidente, a partire dalla drammaturgia, un’opzione di fuga dalla tendenza usurata attuale del cinema degli effetti, altrimenti chiamata estetica delle favelas. Nei dialoghi, il testo non scommette su una presunta ingenuità dei personaggi che lo recitano, i temi trattati vanno in direzioni che evocano questioni filosofiche sul significato di queste rappresentazioni (la polizia, gli abusi, il popolo) piuttosto che su una vita banale o “realistica” di un gruppo “ritratto”. La caratterizzazione tanto della polizia quanto della popolazione va nella medesima direzione, cerca di universalizzare ciò che è la polizia o il popolo attraverso elementi minimi, che si negano a una descrizione temporale definita, nel passato o nel presente. La suggestiva fotografia in bianco e nero contribuisce ad enfatizzare questo clima di incertezza. La macchina da presa di Miguel Vassy è violenta e soggettiva. Con l’impianto sonoro delirante di Emiliano Sette lo spettatore è posto di fronte a uno spazio intangibile di impressioni che interferiscono direttamente con la percezione. Quello che vediamo sono indubbiamente rappresentazioni reali, immagini filmate in movimento e non il loro simulacro, ma l’angoscia della ripresa e il terrore del suono non rappresentano una realtà documentata, quale quella che avevamo attribuito a un banale realismo. In breve, non si tratta di accettare ingenuamente un reale dato, al contrario il film invita lo spettatore a vivere l’esperienza di un delirio.
Analizziamo una scena che chiarisce questo mutamento di prospettiva in uno dei momenti in cui il film opera una serie di attacchi alla logica di un cinema realista, attacchi che si intensificano ulteriormente quando una visione totale e assoluta di ciò che è accaduto si pone come necessaria ma tuttavia non accade: nel primo capitolo del film una guarnigione di tre poliziotti è alla deriva in una grande piazza, quando si rendono conto di essere circondati da un gruppo di passanti. La banda non compare nella scena attraverso l’inquadratura di una piccola folla, ma attraverso gli sguardi spaventati dei tre ufficiali, e dalle urla di sfida di questa supposta banda. Lo spettatore non vede questa banda, deve quindi credere a ciò che i poliziotti inquadrati dicono al suo approssimarsi. A un certo punto qualcuno getta un sasso contro il tenente Cristino. Non abbiamo un’inquadratura di chi getta il sasso, né un piano che riprenda una “pietra” in aria dopo essere stata lanciata. Abbiamo solo il piano di reazione del tenente che soffre per qualcosa e il suono della pietra che colpisce il suo corpo. La consapevolezza che una pietra è stata scagliata contro un agente di polizia è possibile a posteriori, attraverso i dialoghi su ciò che è successo. La parola produce un evento che l’immagine non è stata in grado di rivelare, e la parola è anche un modo possibile per comprendere un mondo di contraddizioni e di cose che non si offrono in modo chiaro ai sensi e altrettanto poco alla mente.
3 – STATO DELLO SPIRITO E CINEMA MODERNO
Questi elementi assicurano che le azioni dei personaggi del film siano sempre più incondizionate, e sempre meno determinabili. Quello che vediamo sono agenti (ritrazione dall’azione) e le loro espressioni come simbolo (e non come riflesso) che articolano diversi processi, paradossalmente tanto determinanti quanto casuali, in un movimento che non può essere rappresentato all’interno di una struttura in costante mutamento. In questo modo, anche se ci troviamo di fronte a immagini reali, divengono problematici i giudizi sui fatti e le conclusioni sulla loro verità.
Vediamo cosa significa rappresentare fatti reali, e chiediamoci con cautela se il cinema può corrispondere a simile compito. Solitamente si dice che qualcosa è un fatto quando non si presta a dubbi, quando si mostra nella più pura evidenza. L’evidenza di qualcosa non può accadere in modo soggettivo, si considera parte della natura di un fatto che sia il risultato di una osservazione oggettiva, e pertanto che non derivi da una semplice impressione particolare. Nella nostra società vi è, tuttavia, una istanza che può giudicare e determinare l’evidenza dei fatti e poi giudicarli secondo la sua verità, tale istanza è un meccanismo accettato al cuore della cultura occidentale che struttura il sistema delle leggi come noi lo conosciamo, essendo in funzione e intorno ad esso che queste società sono organizzate formalmente. In base a tale meccanismo, la legge dovrebbe funzionare come esempio di neutralità, a questa istanza viene dato il nome di corte di giustizia. Scrive Michel Foucault, nella Microfisica del potere:
“Guardiamo attentamente cosa significa la disposizione spaziale del tribunale, la disposizione delle persone che si trovano in un tribunale. Ciò quantomeno implica un’ideologia. Come è questa disposizione? Un tavolo, dietro questo tavolo, che distanzia al contempo le due parti, stanno terzi, i giudici. La loro posizione indica in primo luogo che sono neutri in relazione l’una e all’altra parte e ad un tempo significa che il loro giudizio non è determinato in anticipo, che verrà stabilito dopo l’indagine ascoltando entrambe le parti, secondo alcuni standard di verità e di un certo numero di idee su ciò che sia giusto e ingiusto e infine, che la sua decisione avrà il peso dell’autorità “
Alla luce di riflessione introdotta da Foucault, incontriamo elementi che ci dimostrano che forse ciò che oggi si contempla come fatto reale non è altro che un mero accordo descritto e stabilito secondo una struttura che funziona all’interno dello Stato. A partire da questa struttura si può pensare nuovamente la questione sociale sotto un presupposto che le è esterno e stabilito a priori. Infatti l’insieme delle leggi e delle richieste a un tribunale sono pensate e introdotte nella società in modo da esporre – prima dell’azione – ciò che è condannabile, e stabilire attraverso un elemento apparentemente neutro una nozione di verità e di giustizia che evoca come principio fondante la fede nella neutralità di un elemento terzo. Ora, l’elemento terzo imparziale che coordina il giudizio equo tra due parti in opposizione in tribunale, come interpretato da Foucault, non manca di evidenziare qualche somiglianza con il ruolo della macchina da presa nel cinema di effetti prodotto di recente in Brasile. Quello che si vede sullo schermo pretende mostrare la realtà così com’è, vale a dire, con la premessa molto ben organizzata che il ruolo della macchina da presa è neutrale e imparziale.
Nella forma, Stato di eccezione preserva le lezioni del cinema moderno e cerca, al fondo degli eventi, di fuggire dagli elementi capaci di evidenziare una causalità, mostrando personaggi che agiscono in maniera imprevedibile e inaspettata, minando gradualmente le aspettative del pubblico di congetturare sui suoi esiti. Insistiamo sul fatto che è in questo luogo dell’uomo in quanto incondizionato – in cui le azioni non saranno spiegazioni socio-storiche o sociologiche – è da qui che si propone una drammaturgia critica che solleva una possibile riflessione sul potere, sull’agire, e, infine, sulla libertà. Propone ciò che chiameremo cinema di spirito, fondato essenzialmente su stati di spirito, e questo saggio si propone di dimostrarlo.
Ciò che sembra più interessante di questo film è che si avvicina la letteratura, nel senso che permette una esperienza simile a quella della lettura. L’esperienza di essere più che lo spettatore di una trama, l’esperienza di essere un altro, e cercare una base per determinare questo altro (i personaggi) quando questo non viene spiegato, ma solo si rivela. Così il film non è costruito da una rete di causalità, ma è costituito da personaggi che non si spiegano, da paure incomprensibili, e da ruoli senza rappresentazione. Di questi appaiono solo tracce, e queste sono incorporate brutalmente. La tensione tra accadere e non accadere è tanto urgente che le azioni sembrano scaturire da qualcosa di improbabile e sorprendente.
L’analisi di Deleuze delle innovazioni estetiche introdotte dal neo-realismo italiano nelle prime righe di “L’immagine-tempo” può forse aiutarci a capire meglio il film e il suo rapporto con il reale:
“Contro coloro che hanno definito il neo-realismo italiano per il suo contenuto sociale Bazin invocava la necessità di criteri formali estetici. Si trattava, secondo lui, di una nuova forma di realtà, che si suppone essere dispersiva, ellittica, errante o oscillante, che opera per blocchi, con collegamenti deliberatamente deboli ed eventi fluttuanti. Il reale non era più rappresentato o riprodotto, ma “visto”. Piuttosto che rappresentare un reale già decifrato, il neorealismo dava visione a un reale sempre ambiguo, da decifrare, ” Gilles Deleuze, L’immagine-tempo
Nel movimento del neorealismo incontriamo un cinema con un volto sconosciuto, una nuova tendenza viene così inaugurata quando l’immagine viene staccata dalla sua realtà concreta e comincia a galleggiare tra i sentimenti e le espressioni provenienti dalla stessa immagine, e non più dalla ripresa di una realtà concreta. In questa relazione la realtà non pre-esiste ma è creata all’interno del cinema, nelle immagini che si circoscrivono dando vita l’una all’altra. Questo rapporto è anche presente nel film che stiamo analizzando. Stato di eccezione può essere descritto in poche parole per la convinzione che ha il suo senso come immagine, ovvero come linguaggio e articolazione del senso dell’immagine. E prima ciò possa eventualmente essere confuso con un elogio della “irrealtà”, occorre prestare attenzione alla sobrietà e prudenza in tale atteggiamento attuale al cinema.
CONCLUSIONE
In questo saggio abbiamo confrontato la forma del film Stato di eccezione con una estetica determinata. Naturalmente, il nostro obiettivo non era quello di trasformare la critica a un cinema dominante in una denuncia formale, ma riscattare alcuni paradigmi del cinema moderno, sempre molto presenti nei film che presentano una forma impegnativa e, al tempo stesso, tanto carenti in questo cinema di effetti che abbiamo caratterizzato nel testo.
Ciò detto, rimane il desiderio che l’arte si fondi a partire da intenzioni veridiche. Naturalmente il caso, il dialogo, l’imprevisto possono avere un ruolo chiave in una determinata opera. Ma è nell’intenzione che si costruisce e si rinnova l’opera d’arte. Crediamo che chiarire ed evidenziare possibili intenzioni che stanno dietro un progetto ci collochi su un cammino più sicuro, mentre il percorso contrario è seguito da artisti che riescono, a volte, a produrre un lavoro splendido, ma in modo del tutto accidentale. Stato di eccezione Il film è stato proiettato al Festival del Cinema di Rio – 2012 e durante la 36a Mostra Internazionale del cinema – San Paolo. Il film è stato visto da circa 400 spettatori e con la sua uscita prevista per il 18 marzo in un canale TV via cavo, ha un pubblico potenziale di 12 milioni di spettatori in Brasile.
Ringraziamo i registi Luiz Rosemberg Filho e Ricardo Miranda, per i libri di Pasolini che ci hanno concesso in prestito, per le conversazioni illuminanti, e per l’impegno costante dei due, ciascuno a suo modo, a mettere in questione le forme e i limiti del linguaggio cinematografico ad ogni nuovo film.
[1] São Jorge è il santo guerriero che gode di particolare devozione in Brasile in ragione del suo apparentamento con Ogun, dio guerriero della religione candomblé. [n.d.t.]
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tysm literary review, Vol 4, No. 7– juin 2013
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