Stato sociale, quale futuro?
di Christian Marazzi
Nel giugno del 1937, proprio quando l’esperimento del New Deal di Franklin Roosevelt stava dando i suoi frutti migliori, con produzione, profitti e salari tornati ai livelli precrisi del 1929, il presidente americano dovette piegarsi all’ortodossia di politici e economisti conservatori, secondo cui il debito pubblico era troppo elevato. Roosevelt tagliò la spesa pubblica, diede una stretta al credito e aumentò le tasse. Poco dopo l’America piombò di nuovo nella crisi economica (1938). Fu solo il colossale programma di riarmo che permise all’economia statunitense di riprendere a crescere, recuperando lo stesso vigore degli anni durante i quali il primo esperimento di Stato sociale moderno aveva salvato il Paese dalla depressione. “Se la spesa negli armamenti risolverà davvero il problema della disoccupazione, allora è iniziato un grande esperimento” (…) “Potremo imparare un paio di trucchetti che verranno utili quando arriverà il giorno della pace”, disse Keynes (1939).
Da liberale illuminato, Keynes non era certo un guerrafondaio. È che l’esperimento del programma di spesa per l’armamento dimostrava la necessità dell’intervento pubblico a tutto campo per risollevare le sorti di un’economia distrutta dalle politiche economiche liberiste che avevano portato dritti alla crisi del 1929, facendola scoppiare con politiche monetarie ortodosse. La guerra fu il prezzo pagato per l’affermazione dello Stato sociale che nei trent’anni che seguirono permise alla crescita economica di essere non solo robusta, ma anche redistributiva e inclusiva. “Vedemmo nella guerra la conferma della teoria keynesiana”, scrisse John Kenneth Galbraith, l’economista che più si adoperò per divulgare il credo del grande economista britannico.
Anche oggi, la crisi pandemica e la guerra contro il Corona virus stanno dimostrando che lo Stato sociale è indispensabile per contrastare la disoccupazione, la povertà, il crollo della produzione in molti settori dell’economia. Anche oggi, si tratta di un esperimento per così dire forzato, ma che restituisce legittimità al ruolo dello Stato dopo decenni di politiche liberiste, responsabili dell’aumento spaventoso delle disuguaglianze e della precarietà esistenziale. Non è affatto detto che questo esperimento riuscirà a sopravvivere una volta usciti dalla crisi pandemica, “quando arriverà il giorno della pace”.
I mercati già si attendono una ripresa dell’inflazione, col rischio reale che i tassi di interesse aumentino prima ancora che la ripresa economica possa dare i suoi frutti migliori. Come dicono gli economisti liberisti, “i mercati hanno sempre ragione”. Bontà loro. Ma sarà sul debito pubblico che ne vedremo delle belle, con le voci conservatrici che, invocando “responsabilmente” la disciplina del disavanzo, si alzeranno per porre fine al nascente Stato sociale, che è poi il loro vero obiettivo. Anche questa sarà una guerra, una guerra politica.