philosophy and social criticism

Sulla mia pelle

Eugenio Baldi

Sulla mia pelle, il film di Alessio Cremonini presentato al Festival del Cinema di Venezia 2018, è un lavoro prezioso.

Lo è non solo in quanto ben fatto, ma perché mette in scena in modo freddo e rigoroso un importante avvenimento che ha segnato la storia giudiziaria italiana degli ultimi dieci anni: la morte di Stefano Cucchi avvenuta in seguito alle percosse subite durante l’iter della sua carcerazione, dovuta al possesso di sostanze stupefacenti.

Le pesanti ferite che negli atti ufficiali furono attribuite ad urti causati da un attacco epilettico o ad una caduta dalle scale, risultarono però non corrispondere a verità perché i danni riportati dalla vittima, il cui arresto è avvenuto il 15 ottobre 2009 e la morte sette giorni dopo, il 22 ottobre, dimostrarono la loro drammatica origine.

Il film mette in scena l’ultima settimana di vita di Stefano Cucchi.

Per introdurre il protagonista, il regista seleziona, con una sequenza veloce, scene di vita quotidiana che lo mostrano durante gli allenamenti in palestra, lo jogging, nel suo lavoro in cantiere e mentre fa uso di droghe.

<iframe width=”560″ height=”315″ src=”https://www.youtube.com/embed/ep-O2Nl0P0s?rel=0″ frameborder=”0″ allow=”autoplay; encrypted-media” allowfullscreen></iframe>

Tuttavia molto presto il montaggio si fa sempre più lento e pesante, Cremonini opta sapientemente per utilizzare quasi solo inquadrature fisse che trasmettono ansia e claustrofobia, grazie anche all’ uso abbondante di scene in interni e questo perché gli ultimi giorni di vita sono quelli che vedono Stefano in stato di fermo in centrale, poi in carcere e infine nell’ospedale carcerario, dove fu ricoverato a causa dei pesanti danni fisici subìti durante il pestaggio da parte di alcuni membri delle forze dell’ordine.

La violenza, consumata nella stanze della centrale però, non viene mai mostrata direttamente, la si intuisce nella sequenza in cui il ragazzo si reca nella stanza “delle foto” accompagnato da alcuni carabinieri, luogo, come suggerisce il film, in cui verrà pestato a sangue.

Stefano negherà sempre di essere stato vittima di pestaggi per paura delle possibili ritorsioni e confesserà la verità solo a poche persone, quelle di cui sente di potersi fidare o che ritiene innocue per la propria incolumità, come un’infermiera, il medico responsabile del carcere e un vicino di cella.

Questa  messinscena è estremamente significativa: il regista in qualche modo non sostiene direttamente la teoria del protagonista, ma la rende ovvia e l’unica plausibile e ciò è dovuto anche al fatto che a quasi dieci anni dall’accaduto, non è stata ancora fatta chiarezza sui fatti, anche se sappiamo che nel 2017, dopo una strenua battaglia legale sostenuta dalla famiglia e dalla sorella Ilaria, sono stati rinviati a giudizio alcuni carabinieri insieme ad altre persone ritenute responsabili di non aver dichiarato la verità su come si svolsero i fatti che portarono all’omicidio di Stefano.

 

Ma non è solo una scelta estetica ad aver spinto Cremonini ad utilizzare molte riprese fisse: Stefano era divenuto quasi incapace di muoversi e la sua immobilità insieme alla sua vulnerabilità, non ci lasciano scampo.

Ed è questa la forza espressiva di un’opera che nel farsi denuncia, annichilisce e ci fa sentire soli e disarmati, come inerme e solo si trovò Stefano sul letto di ospedale.

 

Di violenza si tratta non solo sul piano fisico ma anche morale, quando cavilli burocratici impediranno ai genitori di andare a trovare il figlio in carcere, suscitando nei familiari grande sgomento e senso di solitudine (lo stesso che Stefano proverà per non aver potuto incontrare il suo legale).

Questo capolavoro di empatia è coronato dalla recitazione di Alessandro Borghi, straordinario nei panni del protagonista, tanto nelle smorfie, quanto nei gesti e nella voce, mezzi espressivi con i quali riesce a trasmettere la sofferenza fisica e mentale di Stefano, vinto dall’impotenza e amareggiato, per non aver potuto vedere né il suo avvocato né un amico che lo confortasse.

Anche se le scene in ospedale, quelle in cui pensa al futuro, alle delusioni recate ai genitori, ci fanno pensare che in lui l’istinto di sopravvivenza non sembra essere morto, aggrappandolo alla vita, nonostante tutto.

Nella descrizione del personaggio e dei fatti relativi alla sua carcerazione, Cremonini ha cercato il massimo realismo, affidandosi agli atti ufficiali, a registrazioni audio e alla memoria dei familiari, per restituire verità giudiziaria alla sua opera.

La famiglia, che ha partecipato alla produzione del film, che l’ha fortemente voluto e che era presente in sala al momento della prima, nella Sala Darsena del lido di Venezia, ha contribuito con la sua testimonianza a rendere questa pellicola indimenticabile.

Il film è ben interpretato da Jasmine Trinca nel ruolo di Ilaria, la sorella di Stefano e da Max Tortora e Milvia Marigliano nel ruolo dei genitori.

Se dal punto di vista visivo e fotografico l’opera risulta molto fredda dal punto di vista emotivo è calda e commovente; un film molto importante e urgente, che lascia dubbi che meritano di essere risolti.

 

[cite]

 

tysm review
philosophy and social criticism
issn: 2037-0857
creative commons license this opera by t ysm is licensed under a creative commons attribuzione-non opere derivate 3.0 unported license.
based on a work at www.tysm.org