philosophy and social criticism

Suspiria

di Eugenio Baldi

Dirigere il remake di un capolavoro non è mai semplice e spesso non è nemmeno una scelta comprensibile quando l’originale è un film ben reperibile e tecnicamente non datato. Certo il Suspiriadi Dario Argento, film del 1977, è dal punto di vista visivo e degli effetti speciali figlio del suo tempo, ma, seppur non realistico, resta comunque terrificante anche per uno spettatore odierno, continuando quindi a essere molto efficace.

All’ultimo festival del cinema di Venezia il regista Luca Guadagnino ha presentato la sua versione dell’horror, un progetto che doveva essere realizzato da molto tempo. Ciò che stupisce inizialmente è la durata del film, ben un’ora in più del precedente; questo ha permesso all’autore di inserire varie sottotrame e nuovi personaggi. Ciò che rimane dell’originale sono il soggetto e, purtroppo per l’indipendenza del film, il titolo. Perché stiamo comunque vedendo Suspiria, ma un Suspiriaben lontano dal livello del capolavoro di Argento e riuscire ad evitare il confronto non è sempre semplice, anche se è ciò a cui Guadagnino aspira. Ciononostante Guadagnino dirige con la chiara intenzione di distaccarsi dall’opera di Argento per creare qualcosa di proprio, diverso dal precedente sotto molti aspetti e in questo riesce senza dubbi.

La fotografia è sicuramente una delle note più positive del film: la trasformazione della scuola di balletto classico (del film di Argento) in una di danza moderna ha permesso la messa in scena di coreografie intriganti e visivamente molto suggestive. Ogni scena è studiata con rigore e attenzione tecnica sia per il montaggio che per la fotografia, in particolare le scene degli omicidi risultano di grande impatto emotivo.

Gli omicidi rimangono splatter come nella versione di Argento, ma sono gestiti con tempi completamente diversi. Se nel film del ’77 il regista romano crea una tensione crescente che ha culmine con i violenti assassinii, Guadagnino opta per i cosiddetti “scarejump”, scatti improvvisi che, abbinati a una violenza esasperata, creano più disgusto che paura. Questo tipo di messa in scena è forzato da una scelta di sceneggiatura che influenza il film sin da una delle prime scene, ma che invece di creare tensione (è chiaro l’intento) riesce nell’opposto, nullificandola.

Questo alleggerimento è causato anche dalle presenza delle varie sottotrame (di cui sopra), sviluppate gradualmente nella storia principale grazie ad un montaggio alternato. Esse risultano interessanti come tentativo di rinnovare la trama di un film che altrimenti sarebbe già stato magistralmente diretto, ma risultano confuse e gestite con tempistiche sbagliate; l’intento era quello di aggiungere colpi di scena e dettagli raccapriccianti, intento fallito in quanto risultano troppo scontate o addirittura ininfluenti per la trama, lasciando nello spettatore il senso di aver visto qualcosa di troppo senza che ce ne fosse motivo.

Il fatto di aver ambientato la storia a Berlino permette al regista di parlare di politica, di storia, di una città divisa dal muro in cui però l’attività culturale è fervente. Al contrario dell’originale, ambientato a Friburgo, nei pressi della Foresta Nera, dove le riprese esterne sono raramente utilizzate (perlopiù per conferire alla scuola l’aspetto di un luogo onirico, infatti la decontestualizzazione e il suo trovarsi in nessun tempo e sostanzialmente in nessun luogo sono alcuni dei punti di forza maggiori del film di Argento) qui invece l’ambientazione è molto importante: la sorte di alcuni personaggi è indissolubilmente legata alla situazione politica vigente e non è un aspetto secondario, ma questo riportare alla realtà una storia di streghe e maledizioni è qualcosa che convince fino a un certo punto, poiché oltretutto l’analisi sociale risulta superficiale e non graffiante, ovvero qualcosa senza il quale il film forse sarebbe progredito più speditamente e meglio. 

La colonna sonora è stata composta da Thom Yorke che, giustamente, crea qualcosa di completamente diverso da quanto scritto dai Goblin ai tempi. Il classico motivetto spettrale e frenetico è sostituito da un lungo album di respiro ampio e intenso. Ci sono pezzi elettronici, altri strumentali più classici, in alcuni non è nemmeno presente la voce; l’unico filo conduttore comune è un senso di malinconia e angoscia continuo. Lo stesso artista ha dichiarato di essersi ispirato più alla colonna sonora di Blade Runner, alla musica elettronica primitiva di Pierre Henry e a gruppi tedeschi anni ’70 come Faust e Can, contemporanei all’ambientazione del film che non a qualsiasi altro riferimento.

Guadagnino sembra più a suo agio nella regia delle scene più emotive e toccanti che, come dimostrato dal buon film Call me by your name,padroneggia molto bene e in Suspiria l’ampio spazio dedicato alla storia dell’anziano signore, su cui ci si sofferma molto, conferma questa ipotesi. Lo troviamo invece più fuori luogo nella gestione delle scene splatter, sempre più numerose durante l’avanzare della storia. Il montaggio infatti, non sempre riesce a mantenere alta la tensione e alcune scene inserite stonano con l’atmosfera creatasi (soprattutto nel finale dove il lugubre e il gotico raggiungono i loro acmi, ma vengono inutilmente alleggeriti da certe sequenze non funzionali al climax).

Forse sono proprio la gestione dei tempi e la sceneggiatura i problemi principali di un film che riesce a offrire poco se non alcune scene interessanti visivamente, risultando un’opera non del tutto compiuta né nel genere horror che nel thriller o nello splatter (forse perché un po’ troppo schiacciata dal peso del film di Argento che rende impossibile evitare il confronto).

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TYSM REVIEW
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ISSN: 2037-0857
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