philosophy and social criticism

Una autobiografia spirituale. Gli spettri di Mark Fisher

di Francesco Paolella

Mark Fisher, Spettri della mia vita. Scritti su depressione, hauntologia e futuri perduti, Minimum fax, 2019

Sono scritti d’occasione, questi di Mark Fisher, scomparso due anni fa, ma nei quali è possibile vedere una specie di autobiografia spirituale: i primi anni del nuovo millennio, assieme a quelli subito precedenti, vi sono rappresentati attraverso alcune parole chiave molto efficaci: fantasma, memoria, smarrimento, depressione… Attraverso la lettura di prodotti culturali degli ultimi decenni, Fisher ci mostra come il tempo si sia ormai fermato: viviamo immersi in continue, effimere novità che immediatamente scadono, pur senza scomparire davvero del tutto. La scomparsa del futuro, l’assenza di aspettative realistiche, l’impossibilità anzi di immaginare un futuro possibile – così come di immaginare una vita dopo la fine del capitalismo – spingono al dilagare della nostalgia, al bisogno di ritornare all’atmosfera, al sapore di un passato comunque indefinito. L’insicurezza dominante, l’allentamento dei legami e, più specificamente nel campo della produzione culturale, il diffondersi della precarietà che impedisce, specie per i più giovani, di investire sul nuovo, sulla propria creatività, tutto questo ha provocato un generale rifugiarsi nel già visto, nel già sentito: ciò che appare oggi non è più contrapposto a ciò che appariva ieri. Il futuro non ci investe più traumatizzandoci con cesure stridenti.

La nostra vita postmoderna, con l’universale archiviazione digitale, che non permette più di cancellare davvero qualcosa, ma neppure di riconoscerlo nella sua novità, e, per questo, soffre di profonde patologie della memoria: la tecnologia ci getta in una inguaribile malinconia, che cerchiamo di lenire illudendoci di recuperare un passato più umano, più autentico, di nuovo incantato, di nuovo “perturbante”. E invece – e ce ne accorgiamo appunto davanti alle varie nostalgie che spuntano ovunque (nei dischi, nei dischi, nei romanzi) – tutto ciò suona irrimediabilmente posticcio e ipocrita. Conserviamo tutto, ma dovendolo lasciare dietro le vetrine di un museo. Quest’epoca di anacronismi storici imperanti non può soddisfare davvero; e così, tornare ai terribili anni Settanta – tuttora indigesti e mai davvero superati – suona falso: «Ascoltare oggi i T-Rex non fa piu venire in mente il ’73, ma i programmi nostalgici sul 1973» (pagina 112).

Il mondo attuale è popolato di spettri, o, per citare ancora Fisher: «il nostro zeitgeist e essenzialmente hauntologico. La forza del concetto di Derrida sta nell’idea di essere ossessionati da eventi che non sono mai realmente accaduti, da futuri che non si sono mai realizzati e che restano spettrali» (pagina 151).

Questo aspetto è centrale per comprendere lo «spirito depresso» del nostro tempo. È appunto la depressione l’altro riferimento essenziale di questo volume: ancora a partire dalla fine dei terribili anni Settanta, il nostro mondo ha iniziato a mostrare la propria decrepitezza, l’impossibilità di ogni ottimisimo. Il mondo post-fordista, neoliberale, iperconsumista, per il quale bisogna sempre essere impegnati, nel quale il mercato riesce a saturare ogni spazio, mercificando tutto e dove il tempo libero viene tollerato soltanto se visto come «convalescenza» (pagina 257), è il tempo della più spietata depressione, intesa anzitutto come disposizione filosofica verso la vita: fra Schopenhauer e Spinoza, ci si condanna a rifugiarsi nell’interiorità e proprio mentre questa interiorità diventa sempre più vuota. Ed emerge la rivelazione della vita come esausta consumazione seriale di simulazioni spettrali.

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TYSM REVIEW
PHILOSOPHY AND SOCIAL CRITICISM
ISSN: 2037-0857
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