Senza tacere mai
Fabrizio Baleani
A proposito di Paul Henry-Thiry D’Holbach, Lettere a Eugenie, edizioni orecchio di van gogh, Falconara Marittima 2010.
Paul-Henry Thiry D’Holbach fu una figura centrale dell’Illuminismo. Promotore e autore egli stesso di centinaia di voci scientifiche ed etnologiche della celebre Encyclopedie,infaticabile animatore dei principali cenacoli culturali del suo tempo nonché divulgatore dei maggiori gioielli della letteratura atea e clandestina europea. Tra queste, le Lettere a Eugenie. Si tratta di una traccia, l’unica rinvenibile in lingua italiana, di un progetto per demolire la teologia cristiana, esposto, a partire dal 1761, in una cospicua serie di scritti anonimi o protetti da pseudonimi. L’opera rappresenta un severissimo giudizio rivolto dal barone alla superstizione religiosa fomentata dal clero. Il sottotitolo suona, infatti, “Antidoto contro i pregiudizi.” Le dodici lettere si presentano sotto la forma di un romanzo epistolare che nasconde un dialogo filosofico di cui soltanto una voce, quella dell’autore, è udibile. Egli intrattiene una fitta corrispondenza con una giovane “assai distinta per rango e costumi”. La mette in guardia su dogmi insensati al cui vertice campeggia un Dio fasullo, spauracchio universale, utile all’egemonia morale d’una maneggiona e astuta schiatta di chierici. L’”eretico”scrittore francese allergico ai pareri svolazzanti delle tonache, sceglie il linguaggio medico per descrivere il lento cammino intrapreso da questa dolce ragazza verso la guarigione. Le lettres costituiscono una sorta di cura, una terapia corrente sulla carta: le missive medicinali aiutano Eugenie a guarire allontanandola per sempre dai preconcetti infettivi della religione e l’autore-dottore si preoccupa di seguire da vicino i progressi della sua paziente. L’arte retorico-espressiva di D’Holbach, oscilla tra la facezia popolare e immediata, congiunta a un’indignazione vibrante, e la fredda efficacia del ragionamento scientifico.
Con questa varietà di registri egli mira all’emersione dei temi essenziali della critica antireligiosa e antiteologica dalle chiuse pagine dei filosofi e dall’ombra di una sanguinosa attività censoria per mostrarli ai lettori più soggetti alla propaganda clericale.
Eugenie anche in quanto donna, moglie e futura madre costituisce un bersaglio delle ingannevoli sirene del pregiudizio religioso e un emblema di quanti siano costretti a dibattersi interiormente contro la sua forza. Sotto la finzione letteraria e uno spirito polemico rinfocolato da accanite battaglie per la difesa del proprio ateismo, D’Holbach conduce un attacco serrato e puntuale contro i preconcetti della religio, vera e propria impostura da debellare, soggiacente a un credo monoteistico, superstizioso e falso. I cardini di questa fantasticheria elevata a legge dalla credulità collettiva e dall’opera mistificatrice dei preti, cadono sotto l’implacabile logica holbacchiana. La distinzione tra naturale e soprannaturale è una delle assurdità sgretolate dall’autore delle lettere. Egli dichiara inintelligibile il concetto di “soprannaturale”. Se l’uomo, come tutti gli altri enti, è naturale, non potrà avere alcuna comunicazione possibile con ciò che è estraneo alla sua natura e alle sue leggi.
Il secondo pregiudizio propagandato dai teologi cristiani consiste nell’ammettere come possibile
un rapporto di continuità tra infinito e finito, come se fossero termini omogenei di una possibile relazione. È invece evidente che una tale proporzione è impossibile perché, se si desse un finito distinto dall’infinito e posto in relazione con esso, l’infinito non sarebbe più tale, verrebbe limitato dal finito. Questo non può dunque essere che una modalità di esistenza immanente all’infinito. Su tale pregiudizio si fonda l’illusione di poter interpellare con un “tu” l’infinito, rinnovando ogni giorno il sogno titanico di colloquiare con la divinità. Conseguente è il terzo pregiudizio, ossia l’idea di un dio concepito a immagine e somiglianza dell’uomo. Il dio della tradizione biblica è pensato alla stregua di un re capriccioso e crudele, che si rivela solo ad alcuni a detrimento di tutti gli altri, sospendendo e contraddicendo, con sospetta liceità, il proprio volere attraverso i miracoli. L’assoluto si dimostra così pura finzione. La religione si svela contraria alla natura che essa dipinge come corrotta. Il mandato filosofico di D’Holbach, è teso a preservare l’uomo da chi ne eccita i sogni, le sensazioni, i turbamenti per mettere a tacere ogni accenno di libero pensiero.
Questo principe della laicità avverte come i denigratori dell’ingegno”si siano sforzati ovunque di “innalzare sulle rovine della ragione, l’impero del fanatismo e dell’immaginazione”. Egli concepì la prima grande trasvalutazione di ogni valore, con largo anticipo sui celebrati maestri del sospetto. La prima prospettiva di emancipazione da castighi e punizioni terrorizzanti scorge una morale atea in grado di eliminare quell’incomprensibile fantasmagoria che rende l’uomo doppio, materia e spirito, e riaffidare a ciascuno il consapevole peso-privilegio della responsabilità di se stessi.
In un tempo da vivere senza cielo ne abisso.
tysm, n. 1, dicembre 2010
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