Il gioco dell’arte secondo Maria Lai
Rossella Porcheddu
Parte tutto dallo sguardo. Occhi che leggono, comprendono e rivivono. Con mani sapienti l’artista elabora una storia, che rifiorisce in chi la osserva e si arricchisce ogni volta di nuovi significati. Contro l’indifferenza del fruitore contemporaneo, che si trascina stanco nei musei, incapace di assimilare le opere, si impone il pensiero di un’artista in costante dialogo con il proprio tempo. Ancora oggi, all’età di novantuno anni, Maria Lai cerca l’altra se stessa, quella sconosciuta con cui giocare e creare intrecci di fili e ricordi, bambini di pane e fate di stoffa. Attingendo alla tradizione della propria terra e raccontando antiche leggende, l’artista sarda ha creato opere universali. “Cose tanto semplici che nessuno capisce”.
Il muro fu il primo foglio bianco, il carbone la matita. Durante l’infanzia, vissuta tra Ulassai e Cardedu, Maria Lai imparò a disegnare ‘con tutto il braccio’ e stimolò la fantasia attraverso il rapporto con una natura selvaggia e incantata. Libera di sognare, si sentiva come una capretta ansiosa di precipizi. L’incontro con grandi maestri, dal poeta Salvatore Cambosu allo scultore Francesco Ciusa, e la fuga dall’isola, le aprirono la strada verso il mondo. Successivamente agli studi romani con Marino Mazzacurati, Maria Lai si iscrisse all’Accademia di Venezia. Arturo Martini, infastidito e incuriosito dall’allieva sarda, la costrinse a una dura lotta con se stessa. Dallo scultore veneto imparò a costruire vuoti, non la forma chiusa ma respiri, per suggerire spazi lontani. Il vuoto allude all’infinito, a quell’universo da cui l’uomo deriva.
Nutrimento per la mente
Maria Lai ci invita a cena: ogni ospite osserva, ammira, assapora i profumi, e infine sceglie dalla tavola imbandita ciò che desidera portare alla propria bocca. Nutrimento per la mente, l’opera d’arte viene offerta allo spettatore, senza la cui interpretazione sarebbe sterile tela o inutile scultura. Dagli anni Sessanta del secolo scorso fino ad oggi, l’artista ogliastrina ha realizzato opere in ceramica e stoffa, installazioni e interventi site-specific. Un groviglio di fili per tessere libri, parole di legno per innaffiare alberi in rima, cemento per pani e pesci che numerosi affollano scarpate e strade, grandi pareti e fragili pagine. Impastando pani e disegnando memorie, Maria Lai non ha mai abbandonato la dimensione ludica, grazie alla quale reinventa, oggi come ieri, la propria vita. “Giocavo con grande serietà e a un certo punto qualcuno i miei giochi li ha chiamati arte”.
Il coinvolgimento sociale del 1981
Nasce da una leggenda per restare nella storia. L’intera comunità di Ulassai, paese natale di Maria Lai, ha dato vita trent’anni fa all’intervento Legarsi alla montagna, azione teatrale sbocciata da una fiaba antica, rimbalzata di bocca in bocca: una bambina, recatasi sulla montagna per portare cibo ai pastori, rinchiusi in una grotta a causa del temporale, si salva da morte certa inseguendo un nastro azzurro, mentre il solido rifugio seppellisce i pavidi compaesani. Ventisei chilometri di tessuto di jeans hanno stretto le case fra loro e legato l’intero paese alla montagna, per chiedere pace. “Ogni temporale a Ulassai è la fine del mondo perché il tuono si ripete all’infinito, ed è un continuo brontolio minaccioso, la pioggia trascina sempre pietre che cadono sui tetti delle case”. Ulassai è una grotta in cui le persone si rifugiano per sottrarsi al temporale, minaccioso e pauroso più che in ogni altro luogo. E lì rimangono, atterriti, immobili, incapaci di reagire. Turandosi le orecchie per non sentire i tuoni sbarrano le vie di comunicazione al mondo esterno, si rendono sordi ai richiami estranei al loro paese; mettendosi al riparo si precludono vie di fuga e di conoscenza. Stimolo ad uscire dalla propria quotidianità, il nastro è simbolo dell’arte che può rendere gli uomini liberi.
I luoghi dell’arte a portata di mano
Aprire un dialogo sulla ridefinizione dell’arte contemporanea. Nascono con questo scopo i quattro mazzi di carte che Maria Lai ha realizzato nel 2001. Si gioca a poker e si scoprono, tra dubbi e certezze, i severi principi dell’artista sarda. “Con queste carte mi sono chiarita le idee, è un’opera di cui avevo bisogno. Ho stabilito un codice di lettura, la mia regola”. Emblema del pensiero di Maria Lai, i mazzi bianchi e neri stimolano la riflessione sull’arte. Grazie agli insegnamenti di uno o più maestri, l’autore realizza un’opera, modellata con le materie offerte dalla tradizione o desunte dal proprio tempo. Porge la sua creazione allo spettatore, perché possa far scorrere lo sguardo su di essa, individuare i pieni e i vuoti, e affinché possa coglierne un significato nascosto, personale ed autentico. A chi, davanti a un’opera, si domanda cosa raffigura, Maria Lai risponde che l’arte non rappresenta, ma costruisce interpretazioni del mondo. A coloro che si chiedono “a cosa pensava l’autore?” replica che l’artista non rifletteva, ma costruiva trappole per i propri sogni. E a chi non sa se artisti si nasce o si diventa, suggerisce che artisti si nasce, nella difficile scelta della libertà, e artisti si diventa, nell’apprendistato più lungo di qualsiasi altro mestiere.
Memorie di fili e di vento
Sostenitrice di una didattica dell’arte che insegni nelle scuole l’esercizio creativo della lettura, perché i bambini di oggi non diventino adulti incapaci di comprendere, l’artista ogliastrina crede che solo la conoscenza possa dar voce alle molte opere che riposano mute nei musei di tutto il mondo. Forte del legame con la terra d’origine, dove tutt’oggi vive, ha scavalcato la dimensione del locale per realizzare opere dal respiro universale. Cucendo janas, le fate della tradizione sarda, ci racconta di un tempo in cui le donne impararono a tessere grazie a quegli esseri impalpabili, che le spinsero a liberarsi dalla schiavitù maschile. L’arte come mezzo di riscatto e di salvezza per l’umanità. Costruendo un dio d’acciaio, imponente installazione nel Parco Eolico di Ulassai, ci parla del vento generoso di Sardegna, che regala luce, offre lavoro e tutela l’ambiente. Srotolando chilometri e chilometri di tessuto per legare le case del paese natio alla montagna, ci ha donato un racconto di confini e barriere, paure e condivisione. Maria Lai narra con semplicità la storia dell’uomo, incoraggiando un viaggio oltre il tempo e lo spazio, verso l’infinito, la contemplazione, il silenzio. E sebbene abbia esposto in tutto il mondo, conquistato fama internazionale e sia nota oggi al grande pubblico, timidamente confessa: “Vorrei che il mio nome sparisse, vorrei essere altro per non sentirmi dire che ho fatto delle cose importanti”.
tysm, n. 1, dicembre 2010
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