Libia, quel deserto strategico
Marinella Correggia
Se il petrolio è una delle cause economiche dei bombardamenti Nato sulla Libia (e di tanti altri conflitti), chissà se anche per il Sole e il deserto si faranno guerre? O se la corsa allo sfruttamento energetico rinnovabile dei deserti assolati sarà pacifica? Il deserto libico è strategicamente situato e con il fotovoltaico potrebbe produrre energia a volontà per Europa e Africa. Nel luglio 2007 l’Arab Water World Magazine riportava uno studio commissionato dal governo della Germania, un paese Nato che a) non sta bombardando la Libia, b) nel solare investe moltissimo: ha una sua Sun Valley nella normalmente nebbiosa pianura fra Norimberga e Berlino, dove le industrie petrolchimiche pre-unificazione si sono riconvertite alla produzione di tecnologia solare, anche e soprattutto per l’export. Lo studio riferiva che l’Europa avrebbe potuto in alcuni decenni tagliare del 70% le emissioni di anidride carbonica – il principale gas serra – relative alla produzione di energia elettrica, e uscire dal nucleare, approvvigionandosi in energia elettrica presso i deserti della regione Mena, acronimo di Medio Oriente e Nordafrica: proprio l’area adesso incandescente, che ha circa il 57% di riserve provate mondiali di petrolio e oltre il 40% di quelle di gas.
Ogni chilometro quadrato di deserto, non coltivabile oltre che fortemente irraggiato, riceve energia solare pari in media a 1,5 milioni di barili di petrolio all’anno. Sempre nel 2007 il Dipartimento Usa per l’Energia affermava che la Libia, per la bassissima umidità e i numerosi giorni soleggiati, presentava le condizioni ideali per l’utilizzo delle tecnologie solari. Insomma il paese petrolifero, molto vicino all’Europa alla quale già la lega il gasdotto sottomarino Greenstream, con le opportune infrastrutture di trasmissione sarebbe un fornitore ideale per la vorace Europa anche in un’era post-petrolifera.
Nel 2009 è nato il consorzio tedesco di imprese (ma include anche Deutsche Bank) chiamato Desertec Foundation, con l’obiettivo di produrre nei deserti Mena il 15% del fabbisogno energetico euroccidentale (con la creazione di una rete di centrali elettriche e infrastrutture per inviare energia elettrica a lunga distanza) ma anche, bontà loro, una significativa porzione di energia per il consumo interno dei paesi produttori (che con i loro enormi problemi idrici, avrebbero molto bisogno di energia anche per dissalare l’acqua di mare). Lo slogan è: «I deserti del mondo ricevono in sei ore dal Sole più energia di quanta gli umani ne consumino in un anno». Ottimistico: certo la costruzione della tecnologia solare richiede essa stessa energia e materie prime, quindi la potenzialità energetica dei deserti si tradurrebbe nel reale solo parzialmente. E poi parliamo di sola energia elettrica. Nondimeno, le potenzialità (e il business) paiono enormi.
Sempre nel 2009 si è tenuta a Erfurt (sempre in Germania, dove è ora in corso la Settimana del Sole) un’importante conferenza dal titolo «Renewable Solar Energy in Mena Region». Per la Libia partecipava l’autority governativa per l’energia rinnovabile (Reaol). Il titolo della sua relazione era «Libya, the hearth of sunbelt». La Reaol indicava i suoi piani per soddisfare la domanda interna di energia elettrica (arrivare al 30% di rinnovabili – fotovoltaico, eolico, solare termico – entro il 2030, per usi residenziali e per la dissalazione) ma indicava anche le possibilità di un «partenariato strategico»: «Produrre energia in Libia, consumarla in Europa»; grazie a una media di 3.500 ore di sole all’anno e a una radiazione solare pari a 7,5 kWh al giorno per metro quadrato.
[da il manifesto, 16 maggio 2011]
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