Terraferma
Paola Di Michele
Film coraggioso quello di Crialese, per il tema trattato e per come lo tratta, parlandoci in modo schietto dell’accoglienza come gesto umano primario e del riconoscersi in quanto esseri umani. Il regista evidenzia, mettendole in contrapposizione, le “leggi” umane dell’accoglienza contro le respingenti e disumane leggi degli Stati.
Il lungometraggio è ambientato in una piccola isola del Mediterraneo – “talmente piccola che non c’è neanche segnata sul mappamondo” –, in cui la vita è difficile e per questo molti fanno progetti per emigrare, per trasferirsi sul continente, sulla “terraferma”. È estate, periodo dell’anno in cui sono più frequenti i viaggi delle “carrette del mare”. Vivendo nel bacino Mediterraneo da anni siamo testimoni degli sbarchi di immigrati: un’“emergenza” umanitaria per chi si schiera dalla parte dello Stato, umana per chi riconosce in quelle persone i propri fratelli e le proprie sorelle. E mai come l’estate passata, davanti allo straordinario insorgere delle popolazioni arabe, si è gridato all’invasione.
Mi volevo soffermare su alcuni aspetti che mi hanno particolarmente colpito. La riunione assembleare tra i pescatori – che mi ha ricordato il comitato di collettivizzazione contadino della Spagna del ’36, ritratto da Loach in Tierra y Libertad –, simbolo di una vita vissuta in comunità, durante la quale, soprattutto da parte del vecchio Ernesto, viene rivendicata con forza l’unica legge che conoscono: quella del mare, quella che non permette di lasciare un uomo in mare. Ma a tale spinta umana Crialese contrappone dei rappresentanti ottusi di uno Stato che questa legge umana sovverte, nega, reprime, condanna con i respingimenti, gli arresti, le espulsioni, i confinamenti coatti nei campi di accoglienza (leggi detenzione), ma anche con il sequestro delle barche usate per portare a riva i “clandestini”, spesso unico mezzo di sostentamento dei pescatori.
La scena dell’approdo dei naufraghi sulla spiaggia. Il piccolo imprenditore del turismo (un bravo Beppe Fiorello), figlio di Ernesto, nega la presenza dei “clandestini”, cioè nega l’evidenza pur di non compromettere i suoi affari e non spaventare i turisti, i quali secondo lui sono lì per “staccare la spina”, per divertirsi e non pensare.
Ma sono proprio loro a soccorrere i naufraghi e qui Crialese fa parlare le immagini più delle parole. L’inquadratura si stringe sulle mani: mani che abbracciano, che aiutano, che accolgono, che dissetano, che accarezzano, ma ci sono anche mani che usano il telefono cellulare per immortalare l’accaduto! E mentre le immagini scorrono ecco che sullo sfondo si stagliano delle righe rosse, sono quelle dei pantaloni dell’Arma. L’inquadratura rimane bassa, a livello dei naufraghi sfiniti e riversi sulla spiaggia. Si continuano a vedere le mani, ma questa volta sono mani guantate che separano, si intravedono non più volti preoccupati ma volti coperti da mascherine sterili: la presa di distanza, il distacco. Non c’è dialogo. I gesti sono lapidari. La contrapposizione tra legge umana e legge dello Stato è evidente.
La relazione tra le due donne: Donatella Finocchiaro nel ruolo di Giulietta (giovane vedova, nuora di Ernesto e madre di Filippo) e l’intensa Timnit T. che interpreta Sara (la donna etiope incinta che Ernesto aveva soccorso in mare assieme a suo figlio adolescente). È un rapporto emblema di quanto possa essere importante riconoscersi, aiutarsi; e preludio a una relazione che quasi sicuramente non si svilupperà ma basata sulla forza creatrice dell’essere donne. L’accoglienza, tra incertezze e timori, che Gabriella dà a Sara nasce dal riconoscersi in quanto persone costrette a lasciarsi alle spalle vite, affetti, ricordi. Tra loro esiste differenza? Anche se non comunicano, entrambe si sentono dalla stessa parte, vogliono una vita migliore, cercano un riscatto, sperano nelle persone care: affermano la vita.
Terraferma è un racconto pacato; eppure aleggia la tragedia fin dalle prime immagini che pongono lo spettatore sott’acqua preso in una rete che si stringe sempre più; l’acqua come elemento che distorce e ovatta i suoni e fa presagire la difficile esistenza di chi da essa fa dipendere la propria vita. È un film meno onirico e teatrale di Mondonuovo (2005), ma tratta della stessa spinta affermativa e dinamica, anche i protagonisti di Terraferma hanno in comune la speranza di una vita migliore. È quella speranza che spinge tanta gente a muoversi, a valicare confini statali, ad affrontare viaggi pericolosi e situazioni drammatiche, a rischiare la vita.
Un film che suscita speranza per le azioni che le donne e gli uomini sanno esprimere anche quando le parole non ci sono perché la lingua non è comune. Ma è comune il senso di umanità espresso dai protagonisti.
di Emanuele Crialese
con Danatella Finocchiaro, Beppe Fiorello, Mimmo Cuticchio, Filippo Pucillo, Timnit T.
Italia, 2011
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