8. Conclusione
Alessandro Simoncini
Seppur priva della capacità di scongelare i meccanismi che stanno alla base del capitalismo spettacolare e della società dei consumi, la fotografia scattata a Marilyn da Arnold Newman nel 1962, lascia apparire il dolore dell’attrice in una fisicità stravolta. A Newman riesce ciò che non può riuscire a Warhol: mostrare “l’innominabile trauma che accompagna la cancellazione” del corpo e dell’anima di Marilyn; e così smascherare “il sorriso spasmodico del feticcio”[248]. Il dolore di Marilyn riesce finalmente ad emergere e a farsi, per un attimo, quello di tutti. O meglio, di tutti quelli che sono costretti a subire l’irrealtà dei dispositivi dello spettacolare integrato, le sue pervasive fantasmagorie. Il volto di Marilyn ritratto da Newman non si rivolge più a noi spettatori tramite la malia dell’immagine-merce, della star-merce. Il feticcio della bellezza ci diviene indifferente. Al suo posto ci interroga lo spettro di un dolore che, ora visibile, “ci appare – per un attimo – intollerabile”[249]. Ma in quel dolore si dà una nuova differente bellezza. Soltanto adesso, per la diva-merce, può tornare abitabile lo spazio socchiuso di una nuova soggettivazione possibile. Che allude, poi, a quella di tutti.
Con la consapevolezza del fatto, però, che nella crisi terminale del moderno i potenti dispositivi del consumo e della comunicazione di massa innervano ancora la sfera sociale e l’immaginario collettivo, governando la condotta dei viventi con la propria estetica spettralità. È in quello spettro che, pur neutralizzate e sussunte allo spettacolare integrato, continuano ad agire le “forze dell’ebbrezza” che eccitano le popolazioni. È anche utilizzando quelle forze – dopo averle catturate nel laboratorio delle avanguardie – che il biopotere del capitale può governa oggi le società delle nostre oligarchiche democrazie spettacolari[250]. Lo fa secondo le modalità di un populismo autoritario che riduce il popolo a pubblico, certo[251]. Ma, facendolo, offre comunque alle masse una pur perversa possibilità di espressione.
Che ciò non produca alcun progresso – bensì più spesso un regresso – per le loro condizioni materiali, non dovrebbe produrre alcuno stupore[252]. Piuttosto occorrerebbe al più presto fare proprio il monito di Benjamin, secondo cui “le masse hanno diritto a un cambiamento dei rapporti di proprietà”[253]. Si tratta di un’indicazione per la politica a venire e, al contempo, di un compito che richiede una duplice convergente capacità: quella di “organizzare il pessimismo” oltre il capitalismo, in modo tale da avviare la costruzione di strutture organizzative, sociali e produttive fondate su una razionalità e su una pratica del comune; e quella di sottrarre al nemico, nel più breve tempo possibile, le forze dell’ebbrezza di cui si è sapientemente appropriato. Quelle forze che – lo si è visto – le avanguardie avevano evocato “per la rivoluzione”[254] e che oggi risultano indispensabili ad un nuovo “di venire rivoluzionario delle genti”[255]. È questo, infatti, il solo modo grazie al quale, componendo emancipatoriamente le loro pratiche di libertà, le donne e gli uomini possono tentare, nonostante tutto, di “scongiurare la vergogna e rispondere all’intollerabile”[256].
[248] M. Pezzella, Il volto di Marilyn, cit, p. 83.
[249] Ivi, p. 85.
[250] Sulla democrazia spettacolare, intesa come messa in scena nella quale “le rappresentanze democratiche diventano vuote rappresentazioni”, cfr. M. Pezzella, Servitù volontaria; Id., Democrazia spettacolare e Id., Carta della democrazia insorgente, tutti in http://www.democraziakmzero.org/.
[252] “Lo stupore perché le cose che viviamo sono «ancora» possibili nel XX secolo è tutt’altro che filosofico”, scriveva Benjamin di fronte al tetro spettacolo del fascismo. W. Benjamin, Tesi sul concetto di storia, cit., p. 33.
[253] W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, cit., p. 301.
[254] W. Benjamin, Il surrealismo, cit., p. 23. Sul tema, cfr. U. Fadini, Lode del collettivo, in G. Perretta (a cura di), Nel tempo dell’adesso. Walter Benjamin tra storia, natura e artificio, Mimesis Milano, Eterotopie, 2002, pp. 45-52; B. Moroncini, Le rovine di Benjamin, in Kainos, 4-5, 2004. Per un’attualizzazione del tema, cfr. M. Lazzarato, Molare e molecolare. Il rapporto tra soggettività e cattura nell’arte, in M. Baravalle (a cura di), L’arte della sovversione, Roma, Manifestolibri, 2009, pp. 57-64.
[255] G. Deleuze, Control et devenir, in Id., Pourparlers, Paris, Minuit, 1990, p. 231.
[256] Ibidem.
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