Io, Montespan. Incontro con Jean Teulé
M. D.
Quando ha cominciato, Jean Teulé lo ha fatto quasi per caso. “Fu la signora Julliard, della casa editrice omonima, a chiamarmi”, ci racconta con il suo tono cordiale e divertito, in una tristissima Milano, dove l’abbiamo incontrato in occasione della pubblicazione per l’editore Neri Pozza del suo Il marchese di Montespan (traduzione di Riccardo Fedriga, Neri Pozza, 2009). “Allora”, prosegue, “lavoravo per il cinema e la televisione e mai e poi mai avrei pensato di mettermi a scrivere un romanzo. Ebbene, quando Julliard mi propose un contratto, senza alcuna condizione precisa, senza un’idea, senza un titolo, mi dissi che si doveva trattare di un caso di follia. Siccome i gesti un po’ folli mi piacciono, e la follia è contagiosa decisi di accettare. Evidentemente ci ho preso gusto, perché per la scrittura ho abbandonato tutto: il cinema, il disegno, la televisione. Sono quasi venti anni che scrivo romanzi, tutti per la stessa casa editrice, che non mi sogno certo di lasciare”. Le tentazioni e le offerte, però, non devono essergli mancate, soprattutto in questo periodo. In pochi mesi, infatti, Le Montespan ha venduto circa trecentomila copie, ha ricevuto premi e consensi pressoché unanimi, e ha consacrato Jean Teulé come uno dei più popolari autori di romanzi storici.
Quando le è venuta l’idea di scrivere un romanzo sul marchese di Montespan?
In Francia quando si fa il nome di Montespan lo si declina sempre al femminile. Si dice “la Montespan”, sottintendendoe si tratti sempre e soltanto di Françoise-Athénaïs de Mortemart marchesa di Montespan, la concubina del Re Sole. Persino la canzone popolare Le Roi a fait battre tambour, cantata anche da Yves Montand e, qui in Italia, da Fabrizio de André, dice ben poco del marito, anche se qualcosa dice. L’avrò sentita mille volte, quella canzone, ma mai mi ero posto domande sull’identità, la storia, la vita soprattutto del marchese. Un giorno, per caso, mi trovavo a casa di amici e per ingannare il tempo mi sono messo a leggere una rivista di storia che trattava, in particolare, proprio la storia del marchese di Montespan. Come, mi sono detto, esisteva anche un marchese? Certamente tutti conoscono la vicenda e tutti sanno dell’esistenza di questo nobile a cui Luigi XIV letteralmente rubò la moglie per farne la sua amante preferita, ma lo si tratta quasi fosse una comprimario in un pantomima che non lo riguarda o lo riguarda ben poco. Destino singolare per il “cornuto” più celebre del Grand Siècle, che addirittura sul suo stemma e sulla propria carrozza aveva fatto issare due enormi corna di cervo per denunciare a tutti l’oltraggio di cui era stato vittima. Un tipo umano davvero singolare questo marchese – così mi sono detto -, merita un approfondimento. Scavando e ricercando tra le fonti, mi sono addentrato sempre più in una storia che mi sembrava degna di grande considerazione e rispetto. A modo suo, in fondo, Louis-Henri de Montespan era un revolté che declinava la sua rivolta con continui affronti al re. Il lavoro, quindi, è nato quasi per caso, ma non per caso mi sono messo a scavare nella vita di quest’uomo mal compreso persino dai più arguti fra i suoi contemporanei, basti pensare a Molière che lo ridicolizza nel suo Anfitrione. Nella commedia è Giove a trascorrere la notte con Alcmena, moglie di Anfitrione, ma non è difficile scorgere dietro i panni di Giove, re fra gli dei, quelli di un ometto alto si è no un metro e sessanta che si credeva dio fra gli uomini e si faceva chiamare Re Sole. Dietro il volto di Anfitrione, si cela ovviamente quello del povero marchese di Montesman. Se Giove giace con la tua donna, bisogna essergli grati di tale privilegio, figuriamoci se a giacere con lei è un re che si crede dio. Che cosa avrebbe dovuto dire il marchese che di ritorno a casa dopo una guerra fallimentare durata undici anni trovò sua moglie incinta pronta a offrirgli un “dono regale”? In Francia si tengono sempre in gran conto le parole di Molière, ma come non osservare che lui, proprio lui, di Montespan non aveva compreso proprio nulla?
Che cosa non aveva capito?
Prima di tutto non aveva compreso che Montespan era uno dei pochi, se non il solo fra i nobili che amasse davvero la propria donna a dispetto di tutto e di tutti (a dispetto anche della marchesa, ovviamente) e non la trattasse come un semplice oggetto da esibizione o mercimonio. Chi, alla corte di Luigi XIV, avrebbe rinunciato al privilegio – molto gradito ai nobili del tempo – di vedere la propria donna nel letto del monarca? Questo per il “cornuto” significava scalata sociale, ricchezza, un certo potere. Montespan dice semplicemente no, e tenta una vendetta terribile. In un’epoca in cui i matrimoni erano dettati da convenienza e esigenze di casato, trovare qualcuno che si dichiara folle d’amore e si firma “Montespan, separato, inseparabile” è, quanto meno, un fatto singolare. Ma non solo, perché Montespan è, in molti suoi aspetti, un eversivo che anticipa di circa un secolo la Rivoluzione e, con il suo senso di indipendenza, mette radicalmente in crisi la mentalità dell’ancien régime. È eversivo perché l’amore, quando rompe costumi e convenzioni sociali, è fondamentalmente un fatto eversivo. Oltraggia il re, si rifiuta di cedergli la propria sposa e sceglie di farsi divorare dai debiti, piuttosto che legittimare l’unione. Anzi, celebra addirittura il funerale della propria compagna, quando questa è ancora in vita. Solo fiori, su una cassa da morto, come testimonianza di dedizione assoluta.
Come nei precedenti Oh, Verlaine (Nutrimenti) e Io, Villon (Neri Pozzi), anche in questo lavoro lei riserva ampie descrizioni alla Parigi di un tempo, ridisegnandone in qualche modo la mappa….
Ciò che più di tutto mi colpisce è l’odore delle cose. Quando scrivo provo a immaginarmi l’odore materiale dei luoghi, delle strade. Molti lettori, quando mi avvicinano mi fanno un complimento straordinario. Mi dicono: “Signor Teulé, i suoi libri hanno un odore”. Certamente, la carta, l’inchiostro hanno il loro odore, ma se anche ciò che scrivo possiede un odore proprio il merito credo sia dell’atmosfera in cui mi immergo e da cui mi faccio attraversare. Le pagine sono come strade, a percorrerle qualcosa ti rimane addosso, si impregnano nella misura stessa in cui ci si impregna di vita, fosse anche la più bassa. La letteratura ha la forza di rendere questo “qualcosa” di indefinito, di indefinibile – una forza che il cinema, ad esempio, quasi mai possiede. E comunque, mi permetta di dire che il Grand Siècle, da tutti considerato un po’ troppo “televisivamente” come secolo di profumi, pizzi e merletti è stato il più sporco, fetido, immondo della storia di Francia. Il Re Sole si lavava si e no una volta al mese, puzzava come l’ultimo degli stallieri, ma a dispetto di un nobilissimo stalliere, si imbrattava coi propri escrementi e trasudava così l’aria della fine, la propria e quella di un regime iniquo.
Come si spiega, se se lo spiega, il grande successo del suo romanzo?
È vero che i romanzi storici, generalmente, interessano la comunità dei lettori. Credo che qui, però, si sia innescato un certo processo proiettivo. Se pensa che la residenza estiva del primo ministro è tutt’ora, come ai tempi di Luigi XIV, Versailles e che il primo provvedimento di Sarkozy è stata la revoca di tale concessione, per attribuirla a sé come presidente, se a questo il fatto aggiunge che Sarkozy (di Berlusconi non parlo, è anche peggio) è alto esattamente come il Re Sole, e poi condisce tutto con una serie infinita di dicerie, love stories più o meno clandestine, passerella e infine nozze con la donna oggetto di turno… Insomma, credo che la gente, i miei lettori quanto meno, non ne possano più di tutto questo carrozzone e si dicano: se non una rivoluzione, che venga almeno un Montespan e dica il suo “no, signor presidente, di qui non si passa”!
A che cosa sta lavorando ora?
Il mio prossimo romanzo è già terminato, ed è in uscita a maggio sempre per Julliard. Si intitola Mangez-le, e tratta di un povero contadino divorato dalla folla, al mercato, perché considerato una sorta di menagramo. La storia è ambientata nel XIX secolo, dopo la guerra con la Prussia, e tratta di una questione ahi noi destinata a ripetersi: nei grandi periodi di crisi si cerca sempre un capro espiatorio. C’è da chiedersi, osservando i casi del passato, chi o quale sarà il prossimo. In Francia, ma anche in Italia, si percepisce quest’aria di attesa. La gente ha paura, trema, e quando tre e ha paura è pronta a tutto. Anche a divorare i propri simili.