philosophy and social criticism

Il nostro pazzo Duce: la perizia di Tommaso Senise

Mussolini

di Francesco Paolella

La follia fascista

«Vorrei, e sarebbe il mio debito, essere al caso d’aver dottrina di psichiatra e di frenologo di studio consumato in Sorbona: da poter indagare e conoscere con più partita perizia la follia tetra del Marco Aurelio ipocalcico dalle gambe a ìcchese: autoerotòmane affetto da violenza ereditaria. Da discrivere e pingere in aula magna que’ due mascelloni del teratocèfalo e rachitoide babbèo, e l’esoftalmo dello spiritato, le sue finte furie di tiranno che impallidiva uno sparo. Da giuntarvi, a tanta lezione, un’altra ancora non meno vera circa la ebefrenica avventatezza del conturbernio e della coorte pretoria: ed altra ed altre circa la demenza totale d’un poppolo frenetizzato: che prestava le sue giovani carni, muscoli e petti in parata, a tutti i mimi imperiali del mortuario smargiasso, avendolo inargentato salvatore della Patria. E vorrei e dovrei pur essere un frenologo di quelli da mille lire a consulto: vedutoché a valerci tanta destruzione delle vite e delle fulgide cose lo non è suta altra causa, o ratio, che la incontinenza alcolica d’un bicchierante»[1].

Non molto tempo dopo il momento in cui Carlo Emilio Gadda scriveva queste parole, iniziando il suo «libello» sul Duce e sulla “follia” del fascismo, un alienista napoletano, Tommaso Senise[2], provò davvero a scrivere una specie di perizia psichiatrica su Mussolini (e anche su Hitler)[3].

Senise si diceva spinto dal desiderio di interrogarsi e di fare i conti con lo scandalo rappresentato dai totalitarismi neri e dal consenso di massa di cui avevano goduto. Ovvero: avrebbe voluto comprendere soprattutto la follia collettiva che aveva colpito milioni e milioni di persone:

«Rimane il fatto innegabile che milioni di persone – almeno apparentemente sane di mente – hanno seguìto, in buona o in male fede, cotesti due uomini [Mussolini e Hitler], li hanno serviti o almeno subiti, hanno accettato i loro programmi, hanno applaudito alle loro azioni. Dunque milioni di persone, sane di mente, sia pure ingenue o sciocche, si sono lasciate guidare da due folli, e in somma questi due folli hanno fatto la loro storia e la storia del mondo»[4].

Senise non riuscì a risolvere questo rompicapo, che, ancora in seguito, avrebbe dato tanto da pensare. Più modestamente, ma con un «furore» davvero notevole, si cimenta invece a raccontarci gli eccessi e le aberrazioni di quei «due folli».

"Benito Mussolini"Qui vogliamo concentrarci soltanto sulla “perizia” (perizia per modo di dire, visto che – sembra superfluo ricordarlo – Senise non conobbe direttamente né Mussolini, né Hitler) sul dittatore italiano. Il nostro psichiatra ripercorre nel suo libretto (un cinquantina di pagine in tutto) la biografia di Mussolini, ne studia i comportamenti e le parole, ne fa una disamina delle scelte in politica estera come in quella interna: il suo obiettivo era quello di arrivare a una vera e propria «diagnosi». Immaginando di rivolgersi a un pubblico di lettori digiuni di cose psichiatriche, Senise sente di dover precisare subito che esistono forme molto diverse di pazzia, alcune delle quali non intaccano minimamente la lucidità mentale di una persona e che, quindi, non è facile né immediato che siano riconosciute come tali da un occhio non esperto. Riconoscendo in Mussolini una condizione morbosa originaria del sistema nervoso (condizione morbosa che la crisi del regime e la disfatta della guerra mondiale non avrebbero fatto altro che aggravare), Senise individua tre aspetti psicopatologici essenziali:

«1° da un lato l’accentuazione, l’esaltamento di tutti gl’istinti, dei sentimenti più bassi, delle qualità più elementari della mente;

2° dall’altro la deficienza o l’assenza dei sentimenti più nobili e delle forme più elevate dell’intelletto;

3° e, quale risultato di tali serie di eccessi da un lato e di difetti dall’altro, innumerevoli disordini ed errori della condotta nei rapporti familiari, sociali, nazionali ed internazionali»[5].

Inevitabilmente, in un personaggio come Mussolini pubblico e privato, personale e politico per così dire, non possono che confondersi; lo psichiatra napoletano si muove continuamente fra questi due poli, e finisce per “psichiatrizzare” i trattati internazionali o le scelte di gestione dell’ordine pubblico. Comunque sia, tutto in Mussolini avrebbe rivelato una aberrazione mentale che lo avrebbe condotto a una altrettanto intrinseca criminalità.

downloadSenise va a pescare prove da ogni ambito della vita di Mussolini, dagli infiniti aneddoti (veri o presenti, e quanti costruiti dal Duce stesso?) sulle sue passioni e sui suoi tic. Così, ad esempio, le «straordinarie misure di polizia» volute da Mussolini una volta preso il potere, per tenerselo stretto, vengono lette come un «esaltamento dell’istinto di conservazione» – come se un regime che volesse farsi dittatura potesse fare altrimenti. La lotta (repressiva e preventiva) contro tutti i potenziali avversari (fascisti e antifascisti) viene poi collegata alla possibile presenza nel dittatore di «idee persecutorie».

Non potevano poi mancare – ed eccoci ritornare per un momento a Eros e Priapo – gli eccessi della vita erotica di Mussolini: non soltanto l’elenco di tutti i guasti di una vita dissoluta e infedele, ma soprattutto l’esistenza in lui di un «protervo cinico esibizionismo». Non soltanto il Duce collezionava amanti e figli illegittimi, ma non aveva in sé alcun senso del pudore, né il sentimento della dignità personale (tanto più importante per un Presidente del Consiglio). E nonostante ciò, riusciva – vero campione di ipocrisia – a esaltare pubblicamente il valore e la santità della famiglia italiana. In Mussolini insomma era esaltato, e non senza orgoglio, tutto ciò che era basso, rozzo, volgare.

Un uomo instabile, volubile, diffidente, rancoroso, collerico; e che aveva di sé, delle proprie capacità, un’idea esagerata. Tutti sanno che Mussolini amava esporsi e mostrarsi in tanti ruoli (sportivo, contadino, pilota, violinista). Una versatilità da attore – torneremo su questo punto – che sicuramente gli tornava utile, avendo egli compreso molto bene tutta l’importanza delle fotografie, delle cineprese e della comunicazione di massa per avere e conservare il consenso. Il Duce, ad ogni modo, mancava per Senise dei sentimenti più nobili, del senso critico, della capacità di controllarsi:

«In Mussolini la seconda categoria di forze (quelle inibitive) era assolutamente deficiente o mancante – deficienza o mancanza aggravata dall’esaltamento delle funzioni psichiche elementari di cui abbiamo innanzi parlato –, donde il prevalere d’una condotta istintiva, impulsiva, volgare, violenta, aggressiva, instabile, contraddittoria, che si risolveva in un danno a sé stesso, alla sua famiglia, all’Italia tutta, all’interno e all’estero»[6].

Un uomo irrequieto, schiavo di un «eccitamento psicomotorio cronico», che sarebbe già stata diagnosticabile dalla giovinezza: Mussolini non sarebbe stato trasformato (rovinato) dal suo enorme potere e dal successo, ma questi disturbi lo avrebbero accompagnato da sempre. Tutta una lunga parte del volumetto di Senise è dedicata ad accumulare prove di questa follia mussoliniana: dalla violenza fascista delle origini ai tanti voltafaccia in politica estera. Una instabilità e una umoralità nelle scelte assolute, da cui Senise conclude

«Come si vede dalla rapida rassegna compiuta dei rapporti del governo italiano con molti stati esteri fra il 1922 e il 1940, Mussolini ebbe con ciascuno di essi periodi di amicizia e di cordialità, consacrati in veri e propri trattati. Probabilmente ciò rispondeva ad una breve fase di euforia del suo temperamento e dei suoi sentimenti – inclini prevalentemente all’odio e alla collera –, o almeno ad una pausa del suo malumore cronico»[7].

Per Mussolini sarebbe esistito solo Mussolini, con le sue fissazioni e i suoi cambi repentini di idee. Idee eppure efficaci, in qualche modo. Anche se estemporanei e, a tratti, clowneschi, gli slogan e le parole d’ordine (dalla battaglia del grano all’autarchia), funzionavano o sembravano funzionare: il «Fondatore dell’Impero» e di tante città (anche se fatte di tanta cartapesta!) ci sapeva fare. Ma questo – evidentemente – non poteva contare, né essere oggetto di riflessione, in un saggio (anche se “purificato” dall’obiettività scientifica) scritto nell’Italia del 1947.

Alla fine, Senise emette una diagnosi di ipomania: ovvero, uno stato di mite eccitazione permanente, provocato da fattori endogeni, costituzionali; un esaltamento che, probabilmente, doveva alternarsi con episodi depressivi (oggi si parlerebbe di ciclotimia). Mussolini era un maniaco cronico, «un vero e proprio ammalato di mente», non solo un eccentrico o, per altri versi, un criminale. La sua malattia avrebbe avuto in sé anche spunti deliranti (ma non deliri veri e propri) e si sarebbe via via trasmessa a tutto il popolo fascista e, per certi versi, a tutta l’Italia: il bisogno d una guerra permanente contro tutto e tutti, il bisogno continuo di fare e disfare, di combattere.

Il governo psichiatrico

È curioso notare come il nostro psichiatra si riferisca spesso e volentieri a Cesare Lombroso e, in particolare, alle ricerche di questi sui «pazzi politici», sui rivoluzionari, anche e soprattutto a proposito delle possibili, auspicate soluzioni al problema: come difendersi? Come riconoscere e neutralizzare un maniaco come Mussolini o un paranoico come Hitler[8]? E certamente Senise riconosce qui, implicitamente, tutto il potenziale suggestivo di uomini politici di quel tipo.

Se i «pazzi politici» fossero come i «pazzi comuni», fossero allucinati, facessero discorsi inconcludenti, sarebbe facilissimo individuarli e impedire loro di fare politica. Invece sono appunto maniaci o paranoici e mantengono spesso inalterate le facoltà mentali, percettive, e la memoria; e magari hanno innate doti istrioniche e affabulatorie, sembrano sinceri e sanno fare proseliti (a milioni). Senise riferisce la soluzione “preventiva” proposta da Lombroso (e Laschi)[9]: introdurre provvidenze sociali, per cercare di educare ed elevare il corpo elettorale e, così, migliorare le capacità di selezione e discernimento di quest’ultimo. Ma questa via, attenta soprattutto ai fattori ambientali e sociali, si rivelò del tutto insufficiente secondo Senise; per il quale – fedele al credo dominante nella psichiatria dell’epoca – la pazzia «in realtà è nei cervelli e non nelle cose». Piuttosto, «un rimedio contro i pazzi politici (ma non certo contro i delitti politici) potrebbe consistere nel sottoporre a visita sanitaria, e segnatamente neuro-psichiatrica, tutt’i candidati politici e in modo particolare quelli eletti deputati al parlamento, prima che iniziassero il loro mandato. Tale giudizio sanitario dovrebbe essere basato non tanto sul risultato dell’esame neuro-psichico attuale quanto su la vita del soggetto, su l’esame degli scritti e dei discorsi, su la condotta politica (coerenza, combattività, eventuali persecuzioni, ecc.).

Per la nomina a ministro bisognerebbe creare addirittura un Consiglio Superiore Sanitario di Controllo, composto di un medico, di un chirurgo e di almeno tre neuro-psichiatri, il quale Consiglio dovrebbe dare non solo il proprio “nulla osta” per la nomina a ministro ma dovrebbe anche periodicamente esaminare il ministro stesso nelle sue funzioni somatiche e psichiche»[10].

Dunque, servirebbero visite preventive, ma non soltanto: occorrerebbe mettere in piedi una vera e propria selezione medica che dovrebbe neutralizzare i guasti della violenza politica, ma, in ultima analisi, anche dagli eccessi della democrazia. In una formula, una via neuropolitica per salvarsi dalle dittature.

Data l’impraticabilità di questa soluzione “ideale”, Senise deve ripiegare alla fine in una difesa del ruolo della «libertà assoluta di stampa» affinché quest’ultima possa vigilare concretamente sul rischio di trovarsi di nuovo uno psicopatico al governo.

L’istrione

Dieci anni prima che Tommaso Senise si mettesse a scrivere della pazzia di Mussolini, e quando quindi quest’ultimo governava onnipotente e (forse) tranquillo a Roma, già alcuni antifascisti si erano messi a pensare al dittatore romagnolo dal punto di vista psicologico; intellettuali come ad esempio Carlo Rosselli presero sul serio quei suoi tratti che, per la maggior parte dei commentatori stranieri come degli stessi avversari dell’epoca, erano soltanto dei suoi caratteri ridicoli e grotteschi. Pensiamo in particolare a quanto scrisse Camillo Berneri, un anarchico “anomalo”, esule antifascista in mezza Europa, che si occupò molto del Mussolini «grande attore» e dell’importanza del suo «istrionismo» per il successo del fascismo.

Berneri, che nel 1934 pubblicò in Spagna un libro su questo tema, e fu tra i pochi a cogliere chiaramente la predisposizione psicologica del popolo italiano, nelle sue caratteristiche più profonde, al culto del Duce.

«Questo libro, più psicologico che storico-politico, tenta di rispondere alla domanda: Mussolini è un grande uomo politico? E risponde di sì. Ma aggiunge e spiega che, per essere un grande uomo politico, è necessario essere un grande attore. La tesi non è originale: il nostro personaggio è già stato giudicato grande attore da parecchie personalità del mondo letterario, scientifico e politico. Se H. G. Wells ha visto in Mussolini un “volgare attore popolare” il professor G. Salvemini, lo storico del fascismo italiano, lo ha definito “un commediante meraviglioso” e il suo miglior biografo antifascista, Alceste De Ambris, disse di Mussolini:

“Come istrione è veramente un genio”. Si potrebbero raccogliere molti giudizi simili a quelli citati, ma questi giudizi non farebbero che delineare la figura di Mussolini, mentre è necessario dipingerla, situarla in una atmosfera: la psicosi di un popolo»[11].

Mussolini seppe in altri termini capire e sfruttare una sorta di “psicosi collettiva” come giornalista, come tribuno, come politico. L’idolatria per il Duce (il «Rodolfo Valentino della politica») trovava una corrispondenza nella sua capacità di «recitare la commedia»:

«Mussolini è dunque un tiranno. Ma ama recitare la sua parte. Non è capace di nascondere i suoi odi, le sue passioni. Ogni volta che sta per ordinare o ha ordinato delle rappresaglie, si rileva un crescendo nella sua virulenza scritta o parlata. E’ un passionale che non ha il controllo di se stesso»[12].

 

tysm literary review

vol. 12, no. 20

october 2014

creative commons licensethis opera by t ysm is licensed under a creative commons attribuzione-non opere derivate 3.0 unported license. based on a work at www.tysm.org.

issn:2037-08

Ritroviamo qui come l’eco del discorso di Senise. Anche Berneri, da intellettuale che si interessava anche di psicoanalisi, tentò di fare una specie di “diagnosi a distanza” su Mussolini: nel quale ritrova un «dualismo psichico», una coabitazione di sensibilità e crudeltà, sincerità e simulazione, viltà e coraggio. Mussolini era un «nevrotico», allo stesso tempo timido e brutale: ed era ovviamente alla sua infanzia che sarebbe stato necessario rivolgersi per tentare di comprendere quella “teatralità” così spiccata e che nascondeva una acuta «debolezza morale». Anche Berneri ha voluto rileggere la vita di Mussolini come un perenne alternarsi di

 

«inclinazioni estreme che ripiegano su se stesse, brevi periodi d’euforia seguiti da periodi di melancolia e di abulia»[13].

 

Resta il fatto che il fascismo seppe trasmettere il suo stile, che era (ed è) fin troppo facile ridurre a caricatura, al popolo italiano, facendone (anche se superficialmente, come pensava il Pasolini corsaro) il “popolo del Duce”[14].

[1]Carlo Emilio Gadda, Eros e Priapo (Da furore a cenere), Garzanti, Milano 2002, p. 25.

[2]Tommaso Senise lavorava nell’ospedale psichiatrico di Napoli dal 1913 ed era libero docente di neuropsichiatria nell’università di quella città. Dal 1921 era anche direttore della rivista “Il cervello”. Nel 1941 aveva pubblicato Il riso in fisiopatologia, un libro sulla semeoitica del riso (cfr. Paolo Francesco Peloso, La guerra dentro. La psichiatria italiana tra fascismo e resistenza (1922-1945), Ombre corte, Verona 2008, p. 225).

[3]Tommaso Senise, Mussolini e Hitler dal punto di vista psichiatrico, Biblioteca de “Il cervello”, Napoli 1947.

[4]Ivi, pp. V-VI.

[5]Ivi, p. 9 (corsivo nostro).

[6]Ivi, p. 15.

[7]Ivi, p. 33.

[8]«Hitler era tutt’insieme un paranoico megalomane (di ambizione, di grandezza, di egemonia), un paranoico persecutore, un paranoico mistico-religioso: da questa triade delirante, le cui manifestazioni raggiungevano spesso gradi altissimi di esaltamento, di accanimento, di ferocia, scaturivano innumerevoli mostruosi delitti, ch’egli compiva o faceva compiere con inaudita crudeltà. Hitler era davvero un pazzo-criminale tipo. La sua vita, le due gesta rappresentano un grandioso imperituro capitolo di patologia mentale» (ivi, p. 55).

[9]Cfr. soprattutto Cesare Lombroso e Rodolfo Laschi, Il delitto politico e le rivoluzioni in rapporto al diritto, all’antropologia criminale ed alla scienza di governo, Fratelli Bocca, Torino 1890.

[10]Ivi, p. 63.

[11]Camillo Berneri, Mussolini grande attore. Scritti su razzismo, dittatura e psicologia delle masse, Spartaco, Santa Maria Capua Vetere 2007, p. 27, corsivo nel testo.

[12]Ivi, pp. 68-69.

[13]Ivi, p. 83.

[14]Cfr. su questo il recente Christopher Duggan, Il popolo del Duce. Storia emotiva dell’Italia fascista, Laterza, Roma-Bari 2013.