Nostalgie totalitarie
Massimo Recalcati
Siamo nel 1938: il fanatismo nazifascista spinge irreversibilmente il mondo verso il baratro della seconda guerra mondiale. I regimi totalitari cancellano la democrazia nel nome di una causa assoluta, che annulla ogni spazio critico. Mussolini, Hitler e Stalin si offrono come figure aberranti di padri primordiali che divorano spietatamente i loro figli. Sulle soglie di questa apocalisse Jacques Lacan pubblica, come voce enciclopedica interna al progetto editoriale più ampio dell’Encyclopédie française, curato dall’eminente psicologo Henri Wallon, un breve ma intenso saggio dal titolo I complessi familiari nella formazione dell’individuo (Einaudi, Torino 2005). Diversi i temi che rendono questo testo degno di interesse, non solo per ricostruire il percorso teorico di Jacques Lacan ma anche come contributo per intendere i problemi attuali del legame familiare. Innanzitutto quello relativo alla decomposizione della famiglia ordinata attorno al perno costituito dall’autorità simbolica del padre edipico. Si tratta del tema – che in realtà Lacan svilupperà in modo adeguato solo nell’ultima parte del suo insegnamento – del «declino sociale dell’Imago paterna». La sua attualità è evidente: la famiglia contemporanea appare senza centro di gravità, stratificata, disordinata, irriducibile a una formazione nucleare e incline piuttosto ad assumere organizzazioni tendenzialmente plurali: le adozioni, l’aumento delle separazioni coniugali e delle relative stratificazioni multiple dei legami tra diversi gruppi familiari, la gravidanza affidata a una persona esterna alla coppia, le famiglie monogenitoriali, le adozioni nelle coppie omosessuali, l’inseminazione artificiale, sono fenomeni che hanno smembrato il modello della cellula familiare occidentale costituito da una coppia eterosessuale con figli. Ma anche la crisi generalizzata del modello educativo fondato sul potere dell’interdizione simbolica introduce un motivo altrettanto corrosivo nella tenuta dell’unità del legame familiare. Sostenere oggi la funzione formatrice della rinuncia e del sacrificio è sempre più difficile: l’assenza o il declino dei riferimenti normativi all’Ideale finisce per rendere la rinuncia al godimento pulsionale sempre più priva di senso. Di qui il diffondersi dei nuovi sintomi della contemporaneità (anoressie, bulimie, tossicomanie, depressioni) accomunati dal ritiro narcisistico indirizzato verso un godimento pulsionale chiuso su se stesso, monadico, asessuato e rigorosamente sterile.
Queste trasformazioni, che investono la famiglia contemporanea, sono un esempio di come le verità strutturali sostenute dalla psicoanalisi (per esempio il complesso edipico come complesso cardine nello sviluppo cosiddetto psico-sessuale) sono inevitabilmente intrecciate con le trasformazioni storiche e politiche dei legami sociali. Nel testo di Lacan questo intreccio costituisce un motivo teorico cruciale. La sua prospettiva è quella di immergere con forza le strutture della psicoanalisi nella dimensione sociale. Innanzitutto introducendo i complessi familiari (di svezzamento, di intrusione ed edipico) a partire dall’idea che la pura naturalità dell’istinto sia da sempre catturata nella rete della cultura che, come tale, non è una rete fuori dal tempo ma al contrario è soggetta, a sua volta, a trasformazioni e a stratificazioni sociali articolate.
In tal senso, questo libretto del 1938, scritto da un Lacan ancora prestrutturalista, come ricorda puntualmente nella sua lucida post-fazione Jacques-Alain Miller, contiene già una risposta convincente a coloro (per esempio Judith Butler) che rimproverano alla dottrina lacaniana di sganciare le leggi simboliche e le sue figure (tra tutte quella del Nome del Padre) dalla loro radice sociale per elevarle al rango di idoli fuori dal tempo, di norme ideali sovrastoriche. Al contrario, Lacan puntualizza come la nozione stessa di realtà non si costituita affatto sugli elementi di una natura originaria, ma sia sempre fabbricata dall’azione complessa delle forme sociali della cultura. La nozione ingenuamente «mentale» di individuo non può dunque essere scorporata dalla sua esistenza sociale.
L’istinto naturale, del resto, non esiste (come non esistono né una maternità né una paternità naturali ma solo il riconoscimento simbolico, materno o paterno, di un figlio), ma subisce una trasformazione sociale preliminare. Questa trasformazione viene enunciata da Lacan come una «prima sublimazione della realtà » che trova nel complesso Edipico il suo prototipo fondamentale: perché vi sia accesso dell’individuo al campo delle relazioni sociali è necessaria una separazione simbolica dall’ombra mortifera della madre; è necessario passare attraverso il complesso di svezzamento. Vale la pena notare che questa identificazione del materno come «fattore di morte» costituisce un altro aspetto decisivo nell’insegnamento di Lacan, che però non deve oscurare come il materno vi appaia anche come il luogo originario del dono d’amore, del segno di riconoscimento essenziale a strappare la vita di ciascuno dalla sua matrice puramente biologica.
Ma qual è il problema davvero cruciale e tremendamente attuale di questo saggio? Di fronte all’affermazione incontrastata del totalitarismo, di fronte al dilagare di legami sociali istituiti sulla totale sottomissione alla potenza ipnotica del capo, Lacan constata la carenza simbolica del padre contemporaneo in netto anticipo su quella letteratura sociologico-psicologica che negli ultimi vent’anni ha inseguito, con ben più modesti esiti e mezzi teorici, il tema del padre assente. Già nel 1938 il padre appare a Lacan come debole, carente, dalla personalità sempre più «assente, umiliata o posticcia». Tale carenza è generatrice di un malessere inedito, irriducibile ai quadri sintomatici classici studiati da Freud. Appaiono nuovi sintomi, resistenti alla nozione simbolica di messaggio inconscio da decifrare: fenomeni psicosomatici, anoressie mentali, tossicomanie. Straordinaria chiaroveggenza clinica di Lacan.
Il nuovo malessere, la «grande nevrosi contemporanea» che scaturisce dalla carenza della funzione simbolica del padre conduce la psicopatologia a passare dalle manifestazioni dell’isteria – forma del disagio psichico eminentemente simbolica – verso modi della sofferenza sempre più sordi allo scambio simbolico con l’Altro e sempre più dominati da una irresistibile «tendenza psichica alla morte». È ciò che Lacan evoca come «suicidio differito» e che ritroviamo in tutta la sua centralità drammatica nella clinica contemporanea. Ma, forse, ancora più attuale è la paradossale convergenza tra questo declino della funzione simbolica del padre e l’affermazione politica dei padri primordiali del totalitarismo. È su questa contraddizione – straordinariamente attuale – che Lacan punta in realtà il dito. Carenza del padre simbolico e affermazione dispotica dei fondamentalismi esaltati sono due facce della stessa medaglia. La sua tesi è che l’appello delle masse al padre folle e dispotico, al padre della distruzione e della guerra, è un modo patologico per compensare la crisi sociale dell’imago paterna. Dove in effetti manca la funzione simbolica del padre – che come Freud e Lacan ci insegnano ha il compito di accordare la legge col desiderio senza opporre sterilmente l’uno all’altro – dove cioè questa funzione declina e inevitabilmente si indebolisce, può fare la sua apparizione la nostalgia umana per una legge forte, assoluta, inumana capace di rimpiazzare immaginariamente l’impotenza paterna. In questo senso, la tentazione totalitaria, il miraggio della fusione e dell’armonia universale, l’utopia tragica di una comunità che inghiotte le particolarità in un assorbimento reciproco capace di annullare ogni differenza, sono modi patologici per recuperare la forza titanica e ideale del padre, che però in realtà non fanno altro se non esibirne il declino irreversibile e rivelare l’impasto di questa forza con l’ombra terribile di un matriarcato arcaico e mortifero. L’essenza del totalitarismo è infatti la riabilitazione inconscia del potere folle di un padre primordiale che si confonde con quello cannibalico di un matriarcato arcaico. «La più oscura aspirazione alla morte» permea, scrive Lacan, «il miraggio metafisico dell’armonia universale, l’abisso mistico della fusione affettiva, l’utopia sociale di una tutela autoritaria». Per un verso, dunque, nel legame totalitario l’ombra del padre cade sul soggetto, ma per un altro questa caduta avviene proprio come moto nostalgico di ricupero di una matrice perduta da sempre. Il padre primordiale del totalitarismo non è solamente il complemento necessario del padre carente di cui Lacan formula il ritratto, ma è anche il prolungamento del legame vischioso del soggetto con l’Imago materna.
Nondimeno, questa crisi psicologica relativa al tramonto dell’Imago paterna non è estranea, ci ricorda ancora Lacan, all’affermazione della psicoanalisi stessa la quale, appunto, ha contribuito a detronizzare la funzione ideale del padre. Più precisamente, Lacan ci invita a cogliere il doppio filo che orienta la riflessione di Freud sulla funzione paterna. Da una parte l’esperienza biografica di Freud appare marcata dall’incontro con uno sfaldamento e una stratificazione della famiglia coniugale che anticipa le sue più attuali articolazioni. La Vienna di fine ottocento sintetizza paradigmaticamente questa decomposizione dei legami familiari. «Centro di uno stato che era un melting-pot di forme familiari diversissime, dalle più arcaiche alle più evolute, dagli ultimi raggruppamenti agnatizi di contadini slavi fino alle forme più ridotte del focolare piccolo-borghese e quelle più decadenti della coppia instabile, passando per i paternalismi feudali e mercantili». Ebbene, in questo contesto non è un caso che il complesso di Edipo sorga nella mente di un «figlio del patriarcato ebreo».
Dall’altra parte – ecco il secondo filo della riflessione freudiana sulla funzione paterna – Freud opera il maggiore sforzo per riabilitare la centralità della sua funzione simbolica ponendola al centro dello sviluppo psichico dell’essere umano. L’Edipo appare, infatti, come il complesso familiare cardine che opera quella «prima sublimazione della realtà» senza la quale il soggetto resterebbe schiacciato dall’ombra terrificante del cannibalismo materno.
Non è dunque lo stesso Freud a solidificare il riferimento al padre nell’Edipo proprio nel contesto storico e culturale della decomposizione della sua realtà sociale? Non è forse l’Edipo di Freud una risposta nostalgica e sintomatica a questo nuovo teatro della realtà? Per questa ragione Lacan non si schiera con coloro che si «affliggono per il cosiddetto rilassamento del legame familiare», ma ritiene un compito etico della contemporaneità abitare creativamente questo nuovo orizzonte. Come attraversare la carenza del padre senza evocare la nostalgia del suo ideale? «Attorno alla nascita si stringerà sempre un vincolo familiare» – dichiarava in una recente conversazione con Elisabeth Rudinesco, Jacques Derrida. Le forme storico-culturali che assumerà questo vincolo non potranno però riesumare le spoglie del padre simbolico anche perché, come scriverà più tardi Lacan, «la tomba di Mosè è per Freud altrettanto vuota quanto quella di Cristo per Hegel».
[da il manifesto, 19 aprile 2005]