philosophy and social criticism

Metropoli(s) di Magdalena Tulli

Giulia Zoppi

Magdalena Tulli, Sogni e pietre, traduzione di Raffaella Belletti, Voland, Roma 2010.

Metropolis di Fritz Lang

Nata nel 1955, Magdalena Tulli vive a Varsavia dove svolge l’attività di psicologa e traduttrice (ha tradotto, tra gli altri, Proust e Italo Calvino). Con Sogni e pietre si è aggiudicata nel 1995 il premio della Fondazione Koscielski, e con il suo ultimo romanzo, L’imperfezione, del 2007, è stata tra i finalisti al premio Nike, il più prestigioso riconoscimento letterario polacco. I suoi libri sono tradotti in tedesco, francese e inglese – e a proposito di traduzioni, il traduttore americano di Sogni e pietre, Bill Johnston, ha trovato la definizione più adeguata per questo romanzo breve dalla bellezza fulminante: «un poema in prosa», chiudendo in una semplice espressione ciò che semplice, facile e accattivante non è.

Risulta illuminante la «nota del traduttore» che in poche pagine rivela ai lettori italiani il profilo culturale e il milieu da cui proviene la scrittrice e psicologa polacca, la cui conoscenza di Calvino si riflette nell’amore per il gioco con le parole e l’invenzione di mondi, sovvertendo gli ordini, capovolgendo il senso. Come il suo amato Calvino, Tulli è infatti creatrice di un sistema di pensiero che ha la struttura «perfetta» del caos, dando ragione a chi ha paragonato il suo stile a quello evocato dal «realismo magico», se non fosse che la vitalità di quel mondo, generandosi tra le culture del Sudamerica, è capace di annettere vita e morte senza ombra di nichilismo o distruttività, mentre qui la parola è innervata da echi apocalittici, come un pesante bagaglio proveniente dal Vecchio Mondo: corrotto sin dalla nascita e portatore di un Male invincibile.

Sogni e pietre è il tentativo in prosa di descrivere la genesi di una città, Varsavia, mai riconoscibile, né per le reali somiglianze toponomastiche, né per un vero e proprio aggancio con la storia della città (al punto che essa non può che farsi pretesto, escamotage letterario e lirico, metafora della nascita, della crescita e del decadimento urbanistico, morale e filosofico, di un luogo che non ha un’identità precisa, ma i contorni di un agglomerato sociale e economico, costruito secondo un progetto umano e quindi, progressivamente deperibile).

Si parte da un’ipotesi ideale: l’origine della città descritta come se fosse una cosmogonia, la creazione di un mondo somigliante a un grande albero che genera i frutti, a cui si frappone, per antitesi, un progetto meccanico, la «macchina», qualcosa che perde immediatamente la bellezza arcadica e naturale, per acquisire l’intelligenza di un sistema ideato e manipolato dall’uomo. La città albero è l’antagonista della città macchina, come il sogno si ribella alla pietra.

Nessuna delle antinomie risulta vittoriosa sulle altre: gli oggetti, le case, gli uomini senza volto né nome, sono destinati all’oblio. La città vive per poter scomparire e il tempo è un dispositivo infernale che non perdona: nessun giorno è uguale ad un altro. Meravigliosa, in senso etimologico, la metafora della tristezza che scorre nei gangli attivi della città, la inonda, la mortifica. Essa appare e si appropria del centro vitale, come di ogni suo angolo. Rifugiarsi nella stazione è una possibile via d’uscita, forse preferibile alle altre, finché la tristezza non arriverà anche là, e si prenderà la forza di tutti gli uomini che vi abitano per ricoprirla di un colore uniforme. Il sogno, generato probabilmente dalla città albero, è falso quanto corruttibile sono le pietre che hanno edificato la città macchina: tutto sembra oscurarsi agli occhi dell’uomo, per assumere i contorni inquietanti di un incubo.

La città della Tulli ora sembra assomigliare sempre di più alla Metropolis di Fritz Lang, un concentrato di tecnica sotto la lente impietosa dell’espressionismo. Circola un disagio profondo, potrebbe essere la fine dell’umanità, quando si deve riconoscere amaramente il fallimento di ogni felicità possibile. Nessun desiderio perdura, nessun sogno può rimanere tale, solo la pietra avrà la capacità di resistere, ed esistere, a dispetto del resto.

Sogni e pietre è una scommessa difficile ma vinta. Sarebbe interessante affidarne la lettura a quegli architetti utopisti che costruiscono le città pensando agli uomini, ignorando la forza, l’energia e il dolore che ogni pietra depositata conserva nella memoria. La città dell’autrice vive e muore a prescindere di ogni volontà. Essa descrive l’uomo, il mondo di oggi e la nostra incapacità di governare il tempo. Tulli ha ideato un mostro che ha tentacoli lunghi e una luminosità sinistra: un po’ Kafka, un po’ Schulz, ma soprattutto una scrittura che riluce di paura.

[da Il manifesto, 24 luglio 2010]

Creative         Commons License
This opera by t ysm is licensed under a Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 3.0 Unported License.
Based on a work at www.tysm.org.

ISSN:2037-0857