philosophy and social criticism

L’età dell’ignoranza

Marco Dotti

nota su: Fabrizio Tonello, L’età dell’ignoranza. È possibile una democrazia senza cultura?, Bruno Mondadori, Milano 2012.

«Dottori a quindici anni, stupidi per sempre». Forse è troppo quanto nella sua Storia di Francia scriveva il buon Jules Michelet avendo di mira certi studiosissimi clerici, costretti a “latinizzare”, a “sottilizzare”, a meravigliare i parenti con lucuzioni ardite e poi inviati per il mondo a diffondere un’ignoranza che, per certe categorie, combaciava alla perfezione con la parola “cultura”. Troppo o forse poco, l’ignoranza, al pari della stupidità, assume strane e lunghissime derive, ma solitamente ha una ragione certa, indipendentemente dai luoghi e dai tempi: la crisi di istruzione e formazione che innesta inevitabili retoriche sulla “crisi di civiltà”. Una crisi, quella dell’istruzione, che ha raggiunto livelli di pandemia planetaria se stiamo ai fatti, ma anche alle parole di Martha Nussbaum giustamente richiamate da Fabrizio Tonello in apertura del suo ultimo lavoro. La crisi economica, i crack di borse e mercati ci fanno schiavi di formule e numeri e perdere di vista il concreto. E il concreto, scrive Nusbaumm, è «una crisi che lavora in silenzio, come un cancro; una crisi destinata a essere, in prospettiva, ben più dannosa per il futuro della democrazia: la crisi mondiale dell’istruzione».

Oggi abbiamo scrittrici-insegnanti – da Paola Mastocola in giù – che pontificano per ogni dove con ovvietà su ragazzi che non studiano, sulla sconfitta di modelli educativi troppo permissivi, con dati, risultati di test e cifre alla mano talmente scontati e incolori da chiedersi se dinanzi al livello così basso della loro critica, il presunto alibi del “non studiare” non sia piuttosto una resistenza implicita a un modello notevole di società già percepito in nuce come malato. Un modello che per i privilegiatissimi “sots à jamais” di Michelet era tutt’altro che permissivo – il che smonterebbe sul nascere certe critiche del tutto destoricizzate.

C’è una tendenza generale ad abbassare l’asticella in nome dell’antintellettualismo e di una vulgata che vede nella motivazione nient’altro che una disposizione patologica, quando va bene. Una tendenza che, in virtù di un alibi pratico, fa credere a molti di aver saltato in alto, molto più in alto degli altri, anche quando non si salta affatto. Sono diversi dal “male” che vorrebbero denunciare, certi portatori sani di ignoranza che hanno sempre tra le labbra paroline chiave come “giovani”, “bamboccioni”, “Sessantotto” e via discorrendo? O sono altre forme del male a cui vorrebbero porre rimedio, ma non sono in grado nemmeno di diagnosticare con relativa certezza?

Il male è chiaramente altrove, ma queste figure viventi del sintomo qualcosa sul male lo possono pur sempre – e sempre involontariamente – attestare. Ciò che non colgono – o non vogliono cogliere – è il contesto.

“Ignorante”, suggerisce Tonello, è «colui il quale manchi delle risorse etico-cognitive necessarie per confrontarsi con il mondo in cui viviamo», ovvero un essere umano magari con cinque lauree, ma assolutamente privo di intelligenza del contesto. Se questo si può dire di molti ragazzi, non di meno lo si potrebbe dire per i filosofi da talk show e persino per le maestrine che a forza di lambiccarsi con la penna rossa, hanno finito per dimenticarsi che ne esistono di ben altri colori.

L’ignoranza sistemica produce solo e soltanto altra ignoranza ma è buona per procurarsi un alibi sotto forma di cattiva critica. Questa cattiva critica è precisamente lo schermo di una crisi globale che in Italia trova la sua avanguardia nella forma esemplare assunta dalla liquidazione dei saperi umanistici, a vantaggio di un tecnicismo disperante e, a ben vedere, disperato. Una crisi che sta travolgendo le condizioni ideali e materiali della “formazione”, scolastica e non. Ma è proprio dalle condizioni materiali che bisogna partire, per capire quanto sia dirompente ciò che silenziosamente mina le basi stesse della nostra vita comune. In fondo, come già avvertiva Gregory Bateson, è nel processo sociale che i giovani acquisiscono «la capacità di cercare contesti e sequenze di un tipo piuttosto che di un altro». Da questa discende anche la capacità di orientarsi in un mondo che, retoricamente, ci dicono essere in continuo mutamento, sempre più “connesso”, ma connesso a cosa e a chi?

Un mondo forse mai come in questo tempo inchiodato al falso dilemma se sia preferibile la condizione di poverissimo servo sciocco o di ricchissimo padrone ignorante. Non ci resta che la terza via: essere consapevoli, ma liberi. Costi quel che costi, orientarsi nel disastro non è certo un modo per scongiurarne gli effetti, ma almeno non offre alibi. La sfida educativa è una sfida pratica epocale. Il resto lo possiamo lasciare volentieri all’inferno dell’ignoranza dei colti e al purgatorio delle maestrine dalle buone intenzioni. 

[da il manifesto, 7 settembre 2012]

Creative Commons LicenseThis opera by t ysm is licensed under a Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 3.0 Unported License. Based on a work at www.tysm.org.

ISSN:2037-0857